Quattro prigionere, nel 1944, fecero esplodere un crematorio del campo di sterminio. Ricordiamo la forza e il coraggio di quella rivolta
L'ideologia nazista teorizzava la necessità di sterminare tutti gli ebrei, senza differenza di genere o di età. Alcuni campi di concentramento furono destinati appositamente alle donne: a Ravensbrück ne furono incarcerate più di 100 mila, ad Auschwitz II si trovavano principalmente prigioniere e una zona femminile era presente anche a Bergen-Belsen. Ma benché sia drammaticamente noto che anche le donne furono vittime della persecuzione e dello sterminio nazista, quello che molte e molti ignorano è la brutalità che fu loro riservata e che, in parte, derivava dalla possibilità a loro concessa di concepire e generare figli ebrei. Per questa stessa ragione, le donne ebree in gravidanza venivano quasi sempre destinate ai campi di sterminio, dove erano condotte prontamente nelle camere a gas: questo trattamento le obbligava a nascondere il loro stato, per non essere costrette ad abortire o per non essere uccise.
Leggi tutto: Le donne che fecero esplodere Auschwitz - di Lara Ghiglione
Commenta (0 Commenti)Bufera contro il ministro leghista «dell’istruzione e del merito» Valditara che vorrebbe aprire le scuole ai privati e introdurre le gabbie salariali degli insegnanti. Poi prova a ritrattare. Landini: «Vuole tornare a 50 anni fa».
IL CASO. Il ministro dell’Istruzione "e del merito" Giuseppe Valditara sonda il terreno sulle aziende in classe e la concorrenza tra i docenti. L’aumento dei salari? Un miraggio. Non occorre aspettare l’«autonomia differenziata» Basta dare un’altra spinta alla disgregazione attuale
Il ministro dell’Istruzione "e del merito" Giuseppe Valditara - Ansa
«Alla scuola pubblica mancano finanziamenti che potrebbero arrivare dal privato. E al nord il costo della vita è più alto: vanno trovate soluzioni per il personale scolastico di quei territori – dove è forte la mancanza di docenti – con i sindacati e le regioni». Lo ha detto Il ministro dell’«istruzione e del merito» Giuseppe Valditara, prima di ritrattare. Gabbie salariali? Ma quando mai. Fare entrare i privati nelle scuole? Mai detto. Bisogna abituarsi agli annunci del governo Meloni. È una tattica ed è quello che gli resta. Producono rumore mediatico, scandiscono le giornate all’inizio della settimana, durano il tempo del sottopancia in un talk show e non arrivano al week-end. Basta un «non l’ho mai detto così come dite voi» per ricominciare di nuovo, aprendo un altro file, la settimana successiva.
VALDITARA È UNO SPECIALISTA della materia. Sembra avere ricevuto la delega ai discorsi diffusi prematuramente, in maniera imprecisa o decontestualizzata, comunque ad arte attraverso discorsi improvvisati. O circolari ai docenti e agli studenti. Ricordiamo la rimozione del nazi-fascismo e il revisionismo storico sul comunismo prima, la pedagogia dell’umiliazione poi. Un altro esempio è la differenziazione degli stipendi per i docenti e il personale scolastico in base al costo della vita più alto al Nord che al Sud, oltre che al rendimento e alla funzione svolta, oppure il finanziamento della scuola da parte dei privati. Gli ultimi due annunci sono stati fatti mercoledì scorso.
TANTO RUMORE PER NULLA? Non proprio. Per due ragioni. La prima: queste uscite servono a saggiare le reazioni dell’opinione pubblica. A cominciare dagli oppositori. E a modulare l’ispirazione ideologica che guida l’azione del governo a seconda degli obiettivi. Nel caso di Valditara una solida impostazione conservatrice e reazionaria con il culto dell’impresa e del capitale. Elementi costitutivi delle nuove destre leghiste e post-fasciste, la sintesi di quello che è stato chiamato «neoliberalismo autoritario». Questa politica è marketing e la comunicazione veicola un posizionamento sul mercato elettorale.
GLI ANNUNCI di Valditara fanno parte di un progetto. Lui lo chiama «meritocrazia». Per ingraziarsi la divinità ha cambiato persino la dizione del suo ministero. Differenziare gli stipendi, in ciascuna scuola e non solo tra le regioni, significa valorizzare le «competenze», promuovere le «eccellenze», mettere in competizione gli «esperti» e i «non esperti». Pur di non aumentare i salari più bassi d’Europa si divide il mondo tra «meritevoli» e «non meritevoli».
QUESTA PERÒ non è una prerogativa solo del governo attuale. È l’uovo di colombo che rispunta da trent’anni. Prendiamo il contratto nazionale della scuola, peraltro non rifinanziato per il prossimo triennio. Valditara sostiene di non volerlo modificare. È sufficiente cambiarlo dall’interno, agevolando la politica attuale. Lo ha fatto Patrizio Bianchi, ex ministro del Pd nel governo Draghi. Ricordiamo il suo maldestro tentativo di creare i «docenti esperti»: nozione inventata per differenziare gli stipendi, in base sia al «merito» che all’autonomia di ogni scuola. In questa scia si inserisce anche un’altra proposta di Valditara sul «docente tutor»: «Saranno formati e pagati di più». La tentazione che attraversa la destra e la sinistra neoliberale è nata dallo stesso ceppo: l’«autonomia» scolastica di vent’anni fa ha incubato il processo di trasformazione della scuola in un «quasi mercato». La scuola è un laboratorio. Ciò che viene sperimentato qui vale per tutto il pubblico impiego. E non solo, evidentemente.
IN QUESTA CORNICE si spiegano le velleità di Valditara sui «professionisti aziendali» in classe, sulle «sponsorizzazioni», sulle «sinergie con il sistema produttivo». Sempre che esista un interesse imprenditoriale a partecipare alla vita di un istituto con la «società civile». Idee ricorrenti sin dai tempi di Luigi Berlinguer, smentite da anni. Cortine fumogene che nascondo l’elefante nella stanza. Invece di rifinanziare gli otto miliardi di euro tagliati da un governo Berlusconi nel 2008, in cui sono cresciuti i post-fascisti attuali, si cercano i soldi nelle imprese. Mentre i presidi dell’Anp chiedono di trasformare le scuole in fondazioni. Un altro modo per dividere le regioni, e gli istituti, «ricchi» da quelli «poveri».
NON OCCORRE aspettare la realizzazione del progetto leghista dell’«autonomia differenziata». Basta assecondare il processo di disgregazione, a cominciare da quello in corso nella scuola. Il paese è già a pezzi. Basta dargli un’altra spinta. Ancora uno sforzo
Commenta (0 Commenti)COSTITUZIONE. Casellati incontra Pd e Forza Italia. Presidenzialismo o premierato? Siamo solo agli inizi, mentre incombe l'autonomia di Calderoli
La ministra per le riforme Elisabetta Casellati
Se ne parla. E molto altro non si potrà fare, ancora per diversi mesi. Ma intanto ieri la ministra per le riforme Casellati ha continuato il suo giro d’orizzonte tra i partiti. Ascoltando prima la delegazione di Forza Italia e più di tutti Silvio Berlusconi, che si è fatto sentire al telefono per ripetere il suo mantra presidenzialista. Poi il Pd, che almeno dalla campagna elettorale in avanti ha abbandonato il campo semi presidenziale – francese – per aprire spiragli nella direzioni di rafforzare poteri e stabilità dell’esecutivo. Una posizione quindi lontana in partenza dal presidenzialismo che accomuna la maggioranza di governo. Ma che lascia qualche spazio di mediazione. Almeno per parlarne.
Per i dem l’elezione diretta del presidente della Repubblica non risolverebbe nessuno dei due problemi principali della democrazia italiana, che sarebbero la mancanza di stabilità degli esecutivi e la scarsa partecipazione dei cittadini elettori. La proposta del Pd è dunque di lavorare nella direzione del cancellierato tedesco, che porterebbe con sé una legge elettorale proporzionale, e della sfiducia costruttiva (sempre di importazione tedesca). Per il premierato, inteso come elezione diretta del primo ministro – modello israeliano – sono invece Renzi-Calenda, direzione indicata ai tempi della legge elettorale Italicum, poi dichiarata incostituzionale.
Casellati ha ringraziato e preso tempo. È molto difficile che dal suo ministero esca una proposta di riforma costituzionale entro l’estate. Prima però c’è, assai più concreta e minacciosa, l’autonomia di Calderoli. Il testo può arrivare in Consiglio dei ministri a inizio febbraio
Commenta (0 Commenti)IMMIGRAZIONE. Forza Italia e Fratelli d’Italia dichiarano inammissibili gli emendamenti della Lega
Maggioranza spaccata sul decreto ong con Forza Italia e Fratelli d’Italia che dichiarano inammissibili 14 emendamenti presentati dalla Lega bloccando così il blitz tentato martedì dal Carroccio. Nel frattempo la Geo Barents, nave di Medici senza frontiere, disobbedendo a quanto previsto dallo stesso decreto interrompe il viaggio verso La Spezia, indicato martedì dal Viminale come porto dove sbarcare 69 naufraghi, per correre in soccorso di un’altra imbarcazione in difficoltà e lungo il tragitto salva altri 61 migranti. In serata la nave ha ripreso la rotta verso lo scalo ligure con a bordo in tutto 237 persone, tra cui 27 donne e 87 minori. Tutti gli interventi sono stati eseguiti «in conformità con il diritto internazionale marittimo», ha specificato Msf aggiungendo di aver correttamente avvisato le autorità italiane «ma non abbiamo ricevuto al momento nessuna risposta».
L’immigrazione torna prepotentemente nel dibattito politico e nelle cronache del Paese. E se per certi versi appare scontato il comportamento della nave di Medici senza frontiere,- nessuna ong si tirerebbe indietro di fronte a una richiesta di aiuto – più clamorosa è la divisione che si è palesata nella maggioranza durante l’esame del dl ong nelle commissioni Affari costituzionali e Trasporti della Camera con la Lega che, contando probabilmente sul sostegno degli alleati, tenta il blitz provando a reintrodurre attraverso 14 emendamenti una serie di provvedimenti presenti nel primi decreto sicurezza di Matteo Salvini ma in seguito aboliti durante i lavori parlamentari: dalla cancellazione della protezione speciale a norme più severe per i ricongiungimenti familiari, dai permessi di soggiorno all’accoglienza per i richiedenti asilo.
Un pacchetto di norme che sarebbe intervenuto anche a modifica della Bossi Fini sull’immigrazione e che provoca l’immediata alzata di scudi delle opposizioni che con una lettera comune chiedono ai presidenti delle due Commissioni, Nazaro Pagano di Fi (Affari costituzionali) e Salvatore Deidda di FdI (Trasporti), di valutare l’ammissibilità degli emendamenti del Carroccio. Richiesta accolta dai presidenti, determinati a «restare nel recinto» dei provvedimenti trattati dal decreto. Oggi alle 11,30 verrà presa una decisione sui ricorsi presentati dalla Lega, mentre dalle 14,30 si cominceranno a votare gli emendamenti al decreto atteso in aula per il 2 febbraio.
Scontata, come si è detto, la decisione presa ieri dalla Geo Barents, la prima ad aver effettuato un salvataggio multiplo da quando il decreto è entrato in vigore. La nave di Msf si stava dirigendo verso La Spezia, porto situato a più di cento ore di navigazione dal punto in cui è stato effettuato il primo soccorso di 69 migranti, quando ha raccolto un allerta lanciato da Alarm Phone e riguardante un’imbarcazione in difficoltà in area Sar libica. Nessuna esitazione da parte dell’equipaggio nell’invertire la rotta per dirigersi verso la nuova operazione di soccorso, intervenendo lungo il tragitto anche in aiuto di un’altra imbarcazione con 61 migranti.
Il Viminale ha già annunciato che accertamenti sul comportamento della nave verranno effettuati una volta che la Geo Barents sarà arrivata nel porto di La Spezia. Stando a quanto previsto dal decreto firmato dal ministro Piantedosi nel caso dovessero essere riscontrate delle infrazioni è prevista una multa compresa tra i 10 mila e i 50 mila euro per il comandante e il fermo per due mesi della nave su disposizione del prefetto. Da parte sua, però, nel frattempo Msf contesta la decisione di assegnare un porto estremamente lontano, costringendo i migranti già esausti a sopportare altre ore di navigazione, e chiede al governo di ripensarci indicando uno scalo più vicino
Commenta (0 Commenti)Il braccio di ferro è finito. Prima Scholz e poi Biden annunciano: invieremo in Ucraina i nostri tank, sia i Leopard che gli Abrams (ancora da costruire). Il consigliere presidenziale ucraino Podolyak: «Un’escalation è inevitabile». La guerra fa un altro balzo in avanti
CARI ARMATI. Prima il sì di Scholz, poi quello di Biden che prima sente gli alleati «Non è un’offensiva contro Mosca», ma Mosca non reagisce bene
Un carrista ucraino nel Donetsk - Epa/Oleg Petrasyuk
Cadono insieme il tabù tedesco sui Leopard e il veto americano sugli Abrams dopo una settimana di scontro frontale fra il governo Scholz e l’amministrazione Biden. Ora è ufficiale: la Germania invierà all’esercito ucraino 14 Leopard-2 della Bundeswehr entro la fine di marzo e in più concede il nulla-osta per la consegna degli altri 61 messi a disposizione degli alleati Nato. In cambio gli Usa metteranno i cingoli sul terreno fornendo a Kiev 31 Abrams-M1, non appena General Dynamics li avrà costruiti.
Con questo «grande successo politico», per dirla con le parole del vicecancelliere Robert Habeck, crolla l’ultimo argine all’escalation militare senza limiti e
Leggi tutto: Più guerra per tutti, panzer e tank insieme in Ucraina - di Sebastiano Canetta
Commenta (0 Commenti)Al cospetto del presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani non ha preso l’iniziativa per riproporre il problema della mancata cooperazione da parte della magistratura cairota sul caso di Giulio Regeni. Lo ha rivelato egli stesso alla vigilia del settimo anniversario della scomparsa del giovane ricercatore friuliano, rapito il 25 gennaio 2016 nei pressi della sua casa al Cairo mentre si recava alla quinta commemorazione delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato cadavere orrendamente torturato e mutilato il successivo 3 febbraio sulla strada per Alessandria.
Inaspettatamente però questa volta a “interloquire”, sia pure indirettamente, con il titolare azzurro della Farnesina è il ministro della Difesa Guido Crosetto, il più vicino alla premier Giorgia Meloni: «Lo Stato deve chiedere tutta la verità e pretendere giustizia per Giulio, e contemporaneamente deve tenere rapporti con altri Paesi. Le due cose sono conciliabilissime – ha detto – la fermezza sulla vicenda Regeni e il fatto che lo Stato debba dialogare con altri che sono fondamentali anche per il futuro di tutti noi per il Mediterraneo e per il fronte Sud del Paese».
«Il presidente al-Sisi ha sollevato lui il problema Regeni – spiega Tajani, quasi che questo fatto dia maggior credito al generale golpista -. Ha detto che l’Egitto farà di tutto per eliminare gli ostacoli che ci sono e che rendono difficile il dialogo con l’Italia. Io ho ascoltato e vedremo se alle parole seguiranno i fatti». La sua è una mezza rettifica alle parole frettolosamente pronunciate appena rientrato dal suo viaggio nel Paese arabo conclusosi domenica sera, quando aveva riferito di «aver visto una disponibilità nuova» per dare verità e giustizia ai familiari di Giulio Regeni e pure per «risolvere positivamente» il caso di Patrick Zaki.
Parole sentite troppe volte, pronunciate da ministri e presidenti del Consiglio di ritorno dal Paese, troppo importante per gli equilibri geostrategici ed economici mediterranei, che ormai suonano vuote e difficilmente credibili. Al punto da far sbottare gli stessi genitori, Claudio Regeni e Paola Deffendi: «Noi non abbiamo aspettative, noi pretendiamo – hanno affermato in un’intervista a Repubblica – verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».
Tajani, che oggi alla Camera risponderà alle domande poste sul tema durante il question time, insiste: «Sulla Libia, l’Egitto ha una certa influenza, così come l’ha la Turchia», ed «è determinante nella lotta contro il terrorismo». Dunque, «continuiamo a lavorare per raggiungere la verità, perché i colpevoli dell’omicidio vengano condannati. Continueremo a insistere con l’Egitto perché si possa fare piena luce e i colpevoli possano essere perseguiti. Ma dobbiamo parlare con l’Egitto su altri temi perché noi abbiamo il dovere di garantire la stabilità del Nord dell’Africa e della Libia».
Si può fare l’uno e l’altro, esigere verità sul caso di un concittadino italiano e mantenere i rapporti diplomatici aperti, sembra rispondergli Crosetto. Nessuna divisione interna al governo, però: il ministro della Difesa si riallinea subito dicendosi comunque sicuro «che avremo verità sul caso Regeni», perché, afferma, «penso ci sia la volontà da parte dell’Egitto di cooperare al 100% con l’Italia». Mentre Tajani un po’ tentenna, forse per pudore: «Continueremo ad insistere per far luce su ciò che è accaduto, non c’è dubbio. Ma non ci devono essere neanche da parte di altri strumentalizzazioni politiche»