CRISI UCRAINA. Corruzioni sulle forniture all’esercito e non solo: vari viceministri, cinque governatori e il numero due del governo Zelensky nei guai
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy durante un discorso al parlamento di Kiev - foto GettyImages
Forse le cose stanno esattamente come ha scritto sul suo profilo Twitter Timofii Milovanov, che dirige la Scuola di Economia di Kiev e consiglia il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sulle questioni di finanza pubblica. «Nel nostro paese è in corso una grande svolta culturale: la corruzione è un fatto episodico, ma la lotta alla corruzione è diventata sistemica». Eppure, l’improvvisa sequenza di inchieste, richieste, indiscrezioni e dimissioni che scuote i palazzi del potere e arriva all’ufficio dello stesso Zelensky sembra avere riportato l’Ucraina alla lotta tra clan degli anni passati, una lotta alla quale Stati uniti e Unione europea hanno spesso preso parte.
Domenica la polizia ha arrestato il viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozinskii. Secondo le accuse avrebbe intascato mazzette per 400mila euro sull’acquisto di generatori elettrici, un bene di assoluta necessità per i civili di fronte agli attacchi dell’esercito russo contro la rete energetica. Un altro vice, Oleksii Simonenko, della Procura generale, si è dimesso per una questione di carattere morale: foto scattate in una villa in Spagna nel bel mezzo della guerra.
DOPODICHÉ È STATA LA VOLTA del viceministro della Difesa Vyacheslav Shapovalov, travolto da quello che è già conosciuto, in termini ironici, come lo scandalo delle uova. La storia è vecchia, prezzi delle forniture per l’esercito gonfiati e contratti assegnati a società amiche. Sul punto, però, occorre discutere. Dall’inizio dell’invasione gli apparati dello stato ucraino sono stati letteralmente sommersi da aiuti militari e monetari. Secondo le ultime stime dell’Istituto Kiel per l’economia globale si parla nel complesso di 108 miliardi di dollari, circa la metà del pil nazionale.
Che davanti a questa cifra qualcuno a Kiev si prenda la briga di verificare il prezzo delle uova acquistate dalla Difesa potrebbe essere il segno, come ha scritto Milovanov, di un grandioso cambiamento nelle vicende di un paese segnato da decenni di ruberie. Ma lo scandalo lambisce il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, uno degli uomini più in vista del governo, che è impegnato in affari ben più importanti per le sorti del paese, non ha mai avuto nulla a che fare con il contratto delle uova, e nelle ultime ore ha denunciato una «campagna diffamatoria» che avrebbe come obiettivo ridurre il suo prestigio agli occhi degli interlocutori stranieri.
IL CASO PIÙ PROBLEMATICO riguarda, tuttavia il numero due dell’Amministrazione Zelensky, Kirillo Timoshenko. Il suo nome è associato ormai da mesi a un’inchiesta dell’Ufficio anti corruzione (Nabu). Quel dossier sembra adesso sul punto di essere chiuso, e l’esito solleverebbe forti perplessità sulla gestione di fondi consistenti. Non a caso con Timoshenko hanno lasciato due viceministri dello Sviluppo regionale, Vyacheslav Negoda e Ivan Lukeria, e i governatori di cinque regioni: Kiev, Sumy, Dnipro, Zaporizhzhia, Kherson. La situazione delle ultime due è particolarmente problematica dal punto di vista militare, dato che sono in parte occupate dall’esercito russo.
Alla catena di eventi è necessario aggiungere una tragedia, quella che la scorsa settimana è costata la vita al ministro dell’Interno, Denis Monastirkii, al suo vice, Evgeni Yenin, e al segretario di stato Yurii Lubkovic. I tre erano a bordo di un elicottero caduto a Brovary, nel distretto di Kiev.
SULLE RAGIONI DELL’INCIDENTE il riserbo è ancora massimo. Il ministero dell’Interno ha un peso notevole negli equilibri politici dell’Ucraina, il che dipende, da un lato, dalle relazioni con la Procura generale e con gli organismi anti-corruzione, dall’altro dal controllo diretto sui 90mila uomini della Guardia nazionale, di cui fanno parte anche i battaglioni Azov e Donbass.
Monastirski, 42 anni, aveva assunto l’incarico nel luglio del 2021, dopo le dimissioni di Arsenii Avakov. Yenin, suo coetaneo, era entrato nella squadra dell’Interno un paio di mesi più tardi, dopo avere servito ai vertici della Procura generale e al ministero degli Esteri. Proprio Yenin aveva ideato e coordinato una delle iniziative più efficaci contro l’esercito russo. Piccole squadre di specialisti addestrate per colpire con i droni oltre le linee nemiche. Nel suo ufficio teneva il conto dei carri armati distrutti. Era uno degli uomini che ha reso possibile la difesa di Kiev e la controffensiva nel settore di Kharkiv. Visto il clima di scontro nelle istituzioni, la domanda in queste ore a Kiev è la seguente: chi sarà il prossimo?
FRA I POSSIBILI OBIETTIVI, scrive il portale di informazione Strana, una delle ultime voci indipendenti nel panorama della stampa ucraina, ci sarebbero due fedelissimi di Zelensky come il premier, Denys Shmyal, e il capo dell’amministrazione presidenziale, Andryi Yermak.
Le ragioni di questa campagna non sono, tuttavia, del tutto chiare. Perché colpire intorno a Zelensky? E perché adesso? Sempre secondo Strana, la possibile soluzione passa per il Nabu, che è coinvolto in tutti i casi degli ultimi giorni ed è conosciuto per i rapporti con diversi governi stranieri. L’ipotesi, quindi, è che attori esterni cerchino di ottenere maggiori garanzie sugli investimenti miliardari compiuti negli ultimi mesi, anche a costo di limitare i poteri di Zelensky.
NON SAREBBE LA PRIMA VOLTA. Nel 2014 nel governo ucraino entrarono un ministro lituano, Aivaras Abromavicius, all’Economia, uno georgiano, Aleksander Kvitashvili, alla Sanità, e uno con passaporto americano, Natalia Yaresko, alle Finanze. Allora negli Stati Uniti Joe Biden era vicepresidente
Commenta (0 Commenti)EUROPA. Missione a Bruxelles per il leader dei 5 Stelle che cerca una casa ambientalista per le elezioni del 2024
Giuseppe Conte vola a Bruxelles per un «ampio confronto» con il gruppo dei Verdi in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo. Il leader del M5S lavora da tempo a questo obiettivo, per trovare una collocazione che si trovi nel campo del centrosinistra. Il vertice è stato propiziato dagli ex grillini che nel corso degli anni sono transitati agli ambientalisti e che or a si ritrovano in sintonia con il nuovo corso del presidente del consiglio. «Noi siamo quelli che hanno avviato questo percorso e che si spera che oggi possa trovare una definizione più avanzata – afferma ad esempio Piernicola Pedicini, eletto in Europa nelle liste del M5S e poi passato coi Verdi – ma non so se sono già in grado di concludere».
Dopo la fine del rapporto con Nigel Farage, i 5 Stelle sono rimasti nel gruppo misto. Conte sembra ottimista. «Continueremo ad aggiornarci – spiega – Se si realizzeranno le premesse, e mi sembra che il ‘buongiorno’ ci sia, potremo sicuramente valutare anche un nostro ingresso nel loro gruppo». Poi prende le distanze dal M5S che flirtava con la destra. Parla di un «percorso evolutivo completamente diverso» e spiega che «è cambiato il mondo»: «Quei tempi sono molto lontani». Dopo l’incontro con il commissario del lavoro Nicolas Schmit e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Conte avverte che l’Italia «rischia di andare in controtendenza rispetto al resto dell’Europa». Ieri al parlamento europeo è stata proposta una risoluzione sul reddito mentre «in Italia si taglia il reddito di cittadinanza». Sul salario minimo chiede di non attendere i tempi della direttiva e «offrire a tutti quei lavoratori che hanno buste paga da fame la possibilità di avere un salario minimo legale, senza trucchetti»
Commenta (0 Commenti)«Ci servono 300 tank tedeschi, non dieci o venti». L’Ucraina reclama i Leopard, in Germania un ministro dice sì e un altro forse, Polonia e paesi baltici intanto spediranno i loro, quasi come una sub-Nato. E il russo Lavrov avverte: la guerra con l’Occidente è quasi realtà
ARMI . La ministra degli esteri tedesca apre, quello alla difesa chiude, Varsavia spinge
Olaf Scholz e Mateusz Morawiecki - Ap
Prove di coesione in corso tra i paesi Ue sulla fornitura di carri armati Leopard 2 all’Ucraina. Non sarà facile dopo il ni della Germania e la fumata nera di venerdì scorso al summit di Ramstein. A quanto pare Berlino sperava che l’amministrazione Biden mostrasse di voler fare il suo mettendo a disposizione di Kiev i propri M1 Abrams. Secondo una notizia data dalla Reuters e riportata dalla Süddeutsche Zeitung, a Washington avrebbe dato fastidio il tentativo fatto dai tedeschi di imporre un contributo in carri armati agli Stati Uniti da dispiegare sul fronte ucraino.
DA QUI ANCHE la scelta di rinviare una decisione «che non dovrà essere presa in modo affrettato», come suggerito dal ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius, interpellato ieri sull’argomento dalla tv pubblica tedesca Ard. Si tratta di un chiaro invito alla prudenza: «Il Leopard è un mezzo armato pesante che può essere utilizzato anche a scopo offensivo. Bisogna riflettere con molta attenzione prima di decidere di
Leggi tutto: La Polonia e il “patto baltico”: manderemo i nostri Leopard - di Giuseppe Sedia
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. I servizi segreti tedeschi: perdite ucraine «a tre cifre». Bundeswehr senza risorse. In Germania frenano anche i sondaggi, per il 41% la armi inviate vanno bene così, il 26% vuole ridurle
Soldati ucraini fanno fuoco vicino a Bakhmut - Ap
Il giorno dopo il vertice di Ramstein emerge il rapporto riservato trasmesso dai servizi segreti federali ai deputati della commissione sicurezza del Bundestag.
Alla luce delle informazioni raccolte sul campo il Bundesnachrichtendiesnt (Bnd), l’agenzia di intelligence esterna, riassume così la situazione militare sul fronte del Donbass: «Le perdite quotidiane dei soldati ucraini nella battaglia in difesa di Bakhmut si aggirano su numeri a tre cifre» e l’eventuale «caduta della città provocherebbe conseguenze estremamente negative per l’Ucraina, poiché permetterebbe ai russi di penetrare ulteriormente all’interno del Paese».
DUE SCENARI TATTICI da incubo all’attenzione di chi a Berlino deve decidere la strategia della Germania non solo sul caso Leopard. Per la prima volta vengono messi nero su bianco sull’informativa ufficiale di un servizio Nato, immune dall’accusa di disfattismo.
Nonostante i report sulla mutazione del conflitto da guerra di manovra a scontro di trincea non siano certo una novità assoluta: a dicembre la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen si era lasciata sfuggire la stima di 100mila militari ucraini caduti, non così distante dalla proiezione del capo di Stato maggiore della Difesa Usa.
Ma rimbombano a Berlino anche le parole di André Würstner, presidente dell’Associazione forze armate, tutt’altro che anti-atlantista, invitato a parlare di Leopard nel più popolare talk-show della tv pubblica. «La Bundeswehr è nuda. Ci aspettiamo una drastica riduzione di armi fino al 2025 a causa della crisi energetica. Ma quale invio di carri armati a un altro Paese possiamo mai fare?» è il plateale sfogo della “voce” dell’ambiente militare tedesco.
Mentre il segretario generale Spd, Kevin Kühnert, chiede «più artiglieria agli ucraini» prima di ammettere che «i Leopard non saranno comunque le “Wunderwaffen” che permetteranno di vincere la guerra».
SEMBRANO INTUIRLO i tedeschi fotografati nell’ultima rilevazione dell’istituto “Infrastest-Dimap” che restituisce l’opinione pubblica a dieci mesi dall’invasione russa.
Soltanto il 41% dei cittadini approva le attuali consegne di armi all’Ucraina, mentre il 26% chiede addirittura di ridurre gli stock. Fa il paio con il 58% che non crede alla fine della guerra entro il 2023, contrapposto al 23% convinto invece della pace più o meno imminente.
Secondo il 52%, gli sforzi diplomatici del governo Scholz non si stanno rilevando sufficienti per fermare il conflitto, per il 34% vanno bene così, ma appena il 4% chiede di ridurli per lasciare posto allo scontro frontale.
Infine, oltre un terzo dei tedeschi resta dubbioso sull’efficacia delle sanzioni, con il 19% che le considera troppo severe.
Non esattamente un paese pronto a rispondere all’appello di Ramstein. Proprio come lo Stato che prova a districarsi su due piani.
Da una parte, l’impedimento strettamente tecnico del revamping dei Leopard ex Bundeswehr, ribadito dal costruttore Rheinmetall che stima tempi lunghissimi la consegna; dall’altra, lo stop tutto politico su chi deve mettere per primo i cingoli sul terreno, che investe direttamente gli Abrams, i tank degli Usa che secondo la Germania devono essere spediti in Ucraina come minimo insieme ai Leopard.
DOMANI LA BUNDESWEHR trasferirà le prime due delle tre batterie antiaeree Patriot, da Rostock a Zamość (Polonia) con l’obiettivo di proteggere lo spazio aereo del sud-est del Paese e rafforzare il fianco Est della Nato. Da lì il confine ucraino dista solo 60 chilometri e la capitale regionale di Lviv appena 110.
Secondo le indiscrezioni dello “Spiegel” i Patriot tedeschi andranno a proteggere un importante stazione di trasbordo dei convogli di armi all’Ucraina
L’assemblea Pd approva il nuovo manifesto dei valori e accoglie il rientro di Speranza. Il nuovo testo vira a sinistra e piace a Schlein. Gelo di Bonaccini: «Sbagliato ignorare le imprese». L’addio senza rancori di Letta: «Non ho abbandonato la nave nella tempesta»
SPARTITI. Approvato il manifesto dei valori più di sinistra. Il nuovo testo critico sul neoliberismo piace a Schlein, Orlando e Speranza. Che sigilla il rientro di Art.1. Il governatore: «Quello del 2008 è attuale»
Stefano Bonaccini, Paola De Micheli, Gianni Cuperlo, Elly Schlein all’Assemblea nazionale costituente del Partito democratico - Roberto Monaldo / LaPresse
Stefano Bonaccini parla per ultimo, dopo quasi sei ore di assemblea del Pd: «Oggi non ho mai sentito risuonare la parola impresa. Per me è inconcepibile per una forza progressista e riformista perché senza impresa non c’è lavoro». E ancora: «Mai più discussioni incomprensibili tra noi sulle regole del congresso». La costituente? «Quella la faremo dopo le primarie, provando a capire come parliamo al paese per farci comprendere in 30 secondi». Il nuovo manifesto dei valori? «A me quello del 2007 pare ancora attuale». C’è n’è anche per Speranza e quelli di Articolo 1, che proprio ieri hanno festeggiato il rientro
Leggi tutto: A battesimo il nuovo Pd. Ma Bonaccini lo smonta subito - di Andrea Carugati, Roma
Commenta (0 Commenti)PARIGI. Manifestazioni in tutto il Paese, «Siamo più di due milioni» dice Philippe Martinez (Cgt)
Una manifestante durante la protesta contro il governo francese - Ap
Corteo impressionante da République a Nation passando per Bastille, ieri pomeriggio, i manifestanti sono rimasti bloccati per ore nella piazza di partenza, non riuscivano a passare nel boulevard Beaumarchais, altri cortei si sono così formati nelle strade vicine, poi convogliati in una seconda marcia parallela. Una prova di forza enorme nella capitale contro la riforma delle pensioni – 400mila secondo la Cgt (80mila per la Prefettura) – che ha fatto seguito a manifestazioni molto consistenti nelle città di provincia, più di 200 cortei in tutto il paese, 50mila a Nantes e Bordeaux, 40mila a Lione, a Marsiglia tra 146mila (dati Cgt) e 26mila (Prefettura), migliaia in una miriade di centri più piccoli. Scioperi partecipati nei trasporti, nel settore energia, nelle scuole, nella funzione pubblica.
I sindacati, tutti uniti, seguiti dall’opposizione di sinistra, hanno vinto la prima battaglia contro il governo: più di 2 milioni di persone per la Cgt, un record, anche se in serata c’è stata la solita battaglia delle cifre con i dati ufficiali (1,12 milioni). Cortei più fitti di quelli che nel 2019 si erano opposti alla prima stesura della riforma delle pensioni, un sistema a punti poi ritirato causa Covid.
LA LOTTA CONTRO la riforma delle pensioni, che per i cittadini si riassume nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, nella prima giornata di protesta si è subito trasformata nel catalizzatore di tutto quello che non funziona e preoccupa in questo momento difficile: il carovita, con l’inflazione che mangia i salari che non aumentano, le condizioni del lavoro, sempre più stressanti in molte attività, la tensione dei lunghi mesi del Covid, la paura del futuro con la guerra in Europa e la mancanza di visibilità sugli anni a venire. Di qui la forte presenza di giovani nei cortei, per esprimere un dissenso che va ben al di là delle pensioni. La situazione sociale può essere esplosiva. I gilet gialli sono tornati nei cortei, la benzina oggi è molto più cara di quanto lo fosse nel 2018, quando il prezzo del carburante era stata la scintilla che aveva fatto divampare il fuoco della protesta.
Macron, ieri a Barcellona con una decina di ministri per firmare il Trattato Francia-Spagna (simile a quello dell’Eliseo con la Germania e del Quirinale con l’Italia), era presente come bersaglio nei cortei, raffigurato come Napoleone o un console romano. La preoccupazione domina, gli slogan hanno un fondo tragico: «Pensione/Miseria/cimitero», l’allegra invenzione del Maggio ’68 – «Sous les pavés, la plage» (sotto i pavé, la spiaggia) – è diventato «sous les pavés, la rage» (la rabbia).
Parigi punta a 3 anni in meno della Fornero e resta al retributivo
«La riforma delle pensioni canalizza tutti gli scontenti» ha commentato il segretario della Cgt, Philippe Martinez. Laurent Berger, alla testa della Cfdt riformista (che aveva accompagnato altre riforme precedenti delle pensioni) si è rallegrato della partecipazione, «al di là di quanto pensavamo». I sindacati pensano al seguito: la prossima giornata di protesta sarà il 31 gennaio. Domani scende in piazza la France Insoumise con le organizzazioni dei giovani a Parigi, per la “marcia” di protesta. Il leader Jean-Luc Mélenchon, che ieri mattina era al corteo di Marsiglia, ritiene che con la giornata di ieri è «già una battaglia persa per il governo». Sullo sfondo, c’è una rivalità strisciante tra sindacati e France Insoumise, le altre componenti della Nupes (Verdi, Pcf, Ps) non aderiscono ufficialmente alla marcia di sabato (anche se ci saranno esponenti a titolo individuale), per non camminare sui piedi dei sindacati.
PER IL GOVERNO, l’obiettivo è evitare il blocco del paese. A rischio le forniture di carburanti e l’erogazione dell’energia, oltre ai trasporti. La tattica governativa da anni è sempre la stessa: lasciar “marcire” la protesta, aspettando un cambiamento di umore dell’opinione pubblica. Oggi, l’opinione pubblica è ampiamente dalla parte della protesta, contro la riforma.
Il governo ha perso questa manche, nessuno si entusiasma per le pensioni minime a 1.200 euro o per qualche miglioramento sul calcolo dei “trimestri” di contributi per lavori usuranti o congedi di maternità/paternità, visto che comunque si dovrà lavorare per 43 anni entro la fine della presidenza Macron. Ma l’unità sindacale può essere fratturata dall’emergenza di comitati di base ai margini delle grandi centrali, come è successo a Natale con i controllori dei treni: questo sciopero è stato molto impopolare e se si amplierà questo fenomeno c’è il rischio che l’opinione pubblica cambi posizione.
Francia, sul fine vita decidono i cittadini estratti a sorte
IERI, A PARIGI ci sono stati momenti di tensione nella manifestazione, la Prefettura non è riuscita a evitare qualche scontro, non ha funzionato la formazione di un corteo parallelo. C’è stata qualche decina di fermi, lacrimogeni, vetrine rotte. Il governo presenta il 23 gennaio in Consiglio dei ministri la nuova versione della riforma (20 articoli, 10 di più della prima stesura), poi lo scontro passa al Parlamento, il Rassemblement national promette battaglia all’Assemblée nationale, e non in piazza, e punta a incassare il merito dell’opposizione (aiutata dall’eventuale crescita della violenza nelle piazze).
Ma il governo per il momento tira dritto: ha i numeri per far passare la legge (con i voti, anche se non tutti, dei Républicains). Dalla Spagna, Macron, in difesa della riforma «giusta e responsabile», ha dichiarato: «Perché il patto tra generazioni sia rispettato, la riforma va fatta», l’argomento è l’equilibrio per il sistema per ripartizione, con oggi 1,7 lavoratori per un pensionato, una ratio che peggiorerà nel futuro. Per l’opposizione, ci sono altre strade, a cominciare dal far pagare i più ricchi
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