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Bonaccini: “Non mette un euro sui Livelli essenziali delle prestazioni, nessuna garanzia di equità territoriale e rischia di spaccare il Paese su pilastri come sanità e istruzione, per questo va cancellata”

Il presidente della Regione: “Il via libera dell’Assemblea legislativa a due quesiti su iniziativa di PD, Europa verde, Emilia-Romagna coraggiosa, Italia viva, Lista Bonaccini presidente e Movimento 5 stelle. Superato l’ostruzionismo della destra”
 
 
 
 
10/07/2024 09:31

Bologna – L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato la richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata.

“Con una maratona di 24 ore d'Aula per superare l'ostruzionismo della destra- sottolinea il presidente della Regione, Stefano Bonaccini- l'Assemblea legislativa della nostra Regione, dopo quella della Campania di lunedì, ha appena votato due quesiti referendari per cancellare la proposta sbagliata e divisiva del Governo e, in subordine, per stabilire che prima di devolvere qualsiasi funzione, il Parlamento e il Governo debbano definire e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni per tutto il Paese”. Via libera dell’Aula “su iniziativa congiunta di PD, Europa verde, Emilia-Romagna coraggiosa, Italia viva, Lista Bonaccini presidente e Movimento 5 stelle”.

“L'Emilia-Romagna ha sempre sostenuto ogni processo di decentramento che avvicinasse le decisioni ai cittadini e ai territori- prosegue Bonaccini- ma dentro un quadro chiaro di unità dell'Italia e in una logica di solidarietà e uguaglianza dei diritti. La legge Calderoli, che non mette un euro sei Lep e prevede invece che in molte materie si possa procedere all'autonomia differenziata senza alcuna garanzia di equità territoriale, rischia di spaccare ulteriormente il Paese su pilastri essenziali quali la sanità e l'istruzione. Per questo va cancellata”.

“Dopo Emilia-Romagna e Campania, nelle prossime settimane saranno chiamate a pronunciarsi anche le altre Regioni e Toscana, Puglia e Sardegna hanno già annunciato la propria adesione a questa iniziativa. Col voto di cinque Consigli regionali- chiude il presidente della Regione- sarà dunque possibile chiedere l'indizione del referendum, in analogia a quanto ha già fatto il Comitato promotore nazionale la scorsa settimana a Roma”.

“I salari reali sono ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia”, certifica l’Ocse. E anche nei prossimi due anni la crescita sarà contenuta

L’Italia è il Paese che ha registrato il maggior calo dei salari reali tra le maggiori economie dell’Ocse. A dirlo è il report “Prospettive dell’occupazione 2024” redatto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: “Nel primo trimestre del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia”.

Nella maggior parte dei restanti 35 Paesi Ocse si registra invece una crescita su base annua dei salari reali, in un contesto di inflazione in calo. In questa “classifica al contrario” siamo terzultimi, nel senso che fanno peggio di noi solo Repubblica Ceca e Svezia (per un confronto: la Germania registra un -2%, mentre la Francia addirittura il +0,1%).

Tornando all’Italia, il report segnala che “grazie ai rinnovi di importanti contratti collettivi, soprattutto nel settore dei servizi, il numero di dipendenti del settore privato coperti da un contratto collettivo scaduto è sceso nel primo trimestre del 2024 al 16,7% dal 41,9% dell’anno precedente. Ciò ha contribuito a spingere la crescita dei salari negoziati al 2,8% rispetto all’anno precedente”.

Nel complesso, si legge ancora nel report, la crescita dei salari reali “dovrebbe rimanere contenuta nei prossimi due anni: si prevede che i salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025”.

Gli esperti dell’Organizzazione così concludono: “Sebbene questi aumenti siano significativamente inferiori a quelli della maggior parte degli altri Paesi Ocse, consentiranno comunque un recupero di parte del potere d’acquisto perduto, dato che l’inflazione è prevista all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2024”.

 

IL REPORT 

Prospettive dell'occupazione OCSE 2024: Nota Paese: Italia

La strada dell'atomo tracciata dal governo non è realistica e rischia di sottrarre risorse a soluzioni più efficaci, spiegano in una lettera aperta i docenti universitari e i ricercatori del gruppo Energia per l'Italia.

 

 

 

 

È indispensabile rivedere gli scenari proposti nel Pniec che prevedono l’impiego del nucleare, perché tali ipotesi, oltre a essere palesemente irrealizzabili, sottrarrebbero importanti risorse all’obiettivo della decarbonizzazione per il nostro Paese.

Questo l’appello lanciato in una lettera aperta da Energia per l’Italia, gruppo di docenti e ricercatori di Università e Centri di ricerca impegnati sui temi della transizione energetica.

La premessa è lo scenario che il governo ha tracciato nel Pniec, secondo il quale il nostro Paese potrebbe produrre il 20% del fabbisogno della sua energia elettrica al 2050 tramite nucleare, 140 TWh, nello specifico con SMR (Small Modular Reactors).

Ottenere questo quantitativo – si spiega nella lettera di Energia per l’Italia – richiederebbe l’installazione di almeno 17,5 GW di potenza ipotizzando che ciascun GW possa fornire 8 TWh. Questo corrisponde a un numero che varia da 11 a 18 reattori tradizionali di potenza 1-1,6 GW ciascuno.

Con l’opzione SMR, che è quella indicata, ipotizzando potenze di 100-300 MW il numero di reattori da installare potrebbe andare da 58 a 175.

Questo numero così elevato di reattori, ciascuno dei quali richiederebbe uno specifico e molto complesso processo autorizzativo, dovrebbe essere installato entro il 2050. Va detto che il Pniec comprende anche uno scenario più moderato, con “soli” 8 GW di potenza atomica a metà secolo, ma questo non cambia la sostanza.

In alcune dichiarazioni del 25 giugno 2024 il ministro ha parlato di un “10-11% di produzione elettrica da nucleare” entro il 2030, cioè tra solo sei anni, mentre il Pniec inviato a Bruxelles ipotizza, in uno degli scenari, 0,4 GW installati al 2035.

Per dare una dimensione, dall’inizio del millennio la nuova potenza installata nell’intera Unione europea è di soli 3,2 GW (due soli reattori da 1,6 GW), ipotizzando che il reattore di Flamanville 3 possa essere avviato entro il 2024, ricorda l’appello di Energia per l’Italia.

“Potrà realisticamente il nostro Paese da solo avviare nei prossimi 25 anni una quantità di potenza nucleare che è cinque volte tutta quella installata nell’intera Unione europea negli ultimi 25 anni? E può farlo utilizzando una tecnologia come quella degli SMR che è ancora embrionale?”, si chiede il gruppo di ricercatori.

Il termine “modular” implica una produzione in serie, ma al momento siamo ancora a livello di prototipi: non è possibile prevedere se da questi prototipi si possa effettivamente giungere a una produzione su vasta scala.

Inoltre, il nostro Paese ha ormai perso buona parte delle competenze tecnico-ingegneristiche per costruire nuovi reattori nucleari. E purtroppo, da decenni, non riesce nemmeno a individuare un sito ove costruire il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Quanto altro tempo passerà solo per indicare un numero elevato di siti per le nuove centrali nucleari?

Mentre nel mondo l’installazione di nuova potenza nucleare procede a rilento e nel 2023 è calata di circa 0,6 GW a causa dei reattori dismessi, quella di fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico nello stesso anno è aumentata di ben 510 GW, prosegue l’appello.

Oggi le tecnologie di accumulo (chimico e gravitazionale) sono in grande crescita. I nuovi progressi tecnologici possono avere uno sviluppo significativo in tempi molto brevi. Ad esempio la Cina, che nel 2008 produceva energia elettrica da fotovoltaico per soli 100 TWh, in 15 anni è arrivata a produrne ben 580 TWh (dato 2023), sorpassando la produzione da nucleare (437 TWh), di cui al momento è leader mondiale.

Sicuramente le innovazioni tecnologiche introdotte con i reattori di nuova generazione sono interessanti. Tuttavia, si tratta di soluzioni note già dagli anni ’50 (reattori raffreddati a metalli fusi come sodio, piombo o la miscela eutettica piombo-bismuto) e che finora non hanno visto uno sviluppo significativo al di là dei prototipi. “Appare difficile che questo sviluppo possa avvenire nei tempi brevi richiesti per la transizione ecologica”, osserva Energia per l’Italia.

Secondo i modelli sviluppati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per avere una possibilità di limitare il riscaldamento globale entro 1,5 °C è necessario che a livello mondiale si raggiunga il picco delle emissioni di CO2 entro il 2025, si attui una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030, si arrivi allo “zero netto” entro il 2050.

“È impossibile che il nucleare nel nostro Paese possa contribuire ai primi due obiettivi e appare molto difficile che possa dare un contributo significativo al raggiungimento del terzo, soprattutto se si scegliesse una soluzione che di fatto non esiste ancora nel mondo dal punto di vista commerciale come gli SMR”, si legge nella lettera.

“Riteniamo – conclude l’appello – che l’intero comparto della ricerca debba ricevere finanziamenti adeguati, incluso quello sul nucleare, area che ha importanti applicazioni ad esempio in campo medico. Tuttavia, è necessaria una netta distinzione tra ricerca e soluzioni tecnologicamente affermate: un ritorno all’energia nucleare in Italia non potrebbe fornire un contributo significativo alla decarbonizzazione del nostro sistema elettrico, né nel breve periodo e nemmeno in tempi più lunghi”.

APPELLI. A sette anni dall'adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
 

Il 7 luglio del 2017 la società civile internazionale e la maggioranza degli Stati del mondo,  fortemente determinata a superare la grande illusione della deterrenza nucleare, ha fatto la storia alle Nazioni Unite con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). È stato il risultato tanto atteso di una spinta decennale a livello mondiale per vietare finalmente e categoricamente le armi nucleari nel diritto internazionale, ed è stato l’inizio di una nuova fase del lavoro della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN, insignita grazie a questo risultato del Premio Nobel per la Pace) per eliminare le armi nucleari. Di questo cammino fanno parte anche Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica, che hanno promosso e coordinano nel nostro Paese la mobilitazione “Italia, ripensaci”.

A sette anni di distanza ricordiamo quello storico e cruciale passaggio confermando il nostro impegno per liberare l’Umanità dalla minaccia nucleare. Da quel giorno sono successe molte cose: il Trattato è entrato in vigore nel 2021 e ha continuato a crescere in termini di Stati membri, il lavoro per metterlo in pratica è iniziato concretamente con due Conferenze degli Stati parti di successo e un solido processo di implementazione tra una riunione e l’altra. Il Trattato è più di un documento, più di una riunione: è una comunità che lavora per porre fine alle armi nucleari nel mondo, e tutti i membri di ICAN sono orgogliosi del ruolo centrale che la Campagna svolge nel promuoverlo e sostenerlo. Con il rischio di utilizzo di armi nucleari in aumento, dobbiamo continuare a promuovere il Trattato TPNW in ogni modo possibile. Rigettando anche le scorrette interpretazioni che lo vorrebbero ostacolo ad altri percorsi di disarmo (che in realtà stavano pericolosamente languendo e che comunque ne sono complementari) o peggio un indebolimento della sicurezza globale. Che invece è minacciata dal pericolo di escalation nucleare.

Alla vigilia del vertice per il 75° anniversario della NATO lo ha ribadito anche un gruppo di ex esponenti politici e militari di spicco dell’Alleanza, chiedendo di porre fine alla sua dipendenza dalle armi nucleari. In una dichiarazione congiunta rilanciata oggi da ICAN gli ex leader affermano che la vera sicurezza può essere trovata solo eliminando la minaccia nucleare: “sarebbe un grave errore per i leader della NATO concludere che le armi nucleari sono più importanti che mai per la difesa dell’Europa”.

Nella dichiarazione si afferma che l’attuale approccio della NATO, che si definisce un’alleanza nucleare, si basa su una strategia di deterrenza ormai superata e costituisce un ostacolo al suo obiettivo di creare un “ambiente di sicurezza per un mondo senza armi nucleari”. Per questo viene chiesto alla NATO di attenuare le tensioni nucleari con la Russia rimuovendo le armi nucleari americane dispiegate in Europa, in quanto non necessarie e con scarso valore militare pratico, esortando invece gli Stati Uniti e la Russia a impegnarsi in un processo di disarmo trasparente e reciproco.

I governi di tutto il mondo, e quindi anche quello Italiano, dovrebbero dunque ascoltare le iniziative e le proposte della società civile internazionale che da tempo sottolinea il pericolo delle armi nucleari, anche quando veniva sottovalutato. Mentre invece le scelte di militarizzazione e di mantenimento degli arsenali nucleari hanno portato a un rafforzamento di questo pericolo con il rischio di escalation.

La campagna “Italia ripensaci” ha mostrato da tempo come la grande maggioranza dell’opinione pubblica del nostro Paese vorrebbe un percorso di adesione al TPNW, oltre che il ritiro delle testate statunitensi (recentemente aggiornate alla versione B61-12) dalle basi di Aviano e Ghedi. Lo chiedono anche oltre 90 città (tra cui Roma, Torino, Bologna, Brescia) che hanno aderito all’Appello della Campagna ICAN sulla scia delle centinaia di mozioni che dal 2016 hanno chiesto l’approvazione di una norma internazionale che renda illegali le armi nucleari.

Dal 7 luglio del 2017 questa norma c’è e stabilisce una strada concreta di disarmo, a partire dall’assistenza alle vittime e ai rimedi per l’ambiente colpito dai test nucleari: il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari TPNW! Lavoriamo tutte e tutti insieme per renderlo universale e mettere definitivamente le armi nucleari fuori dalla storia.

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La Dichiarazione “True security for NATO requires moving away from nuclear weapons” è disponibile sul sito di ICAN, con l’elenco di tutti i firmatari che comprende ex presidenti, primi ministri, ministri degli Esteri e della Difesa, nonché ex alti dirigenti militari di Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti.

Il documento di fondazione della NATO, il Trattato del Nord Atlantico, non fa alcun riferimento alle armi nucleari. Ma nel 2010, due decenni dopo la fine della Guerra Fredda e solo un anno dopo il discorso di Praga del Presidente Obama in cui esponeva la sua visione di un mondo senza armi nucleari, la NATO si è autodefinita un’alleanza nucleare e le armi nucleari sono ora una parte fondamentale della sua strategia. L’Alleanza dice di essere impegnata a creare un mondo senza armi nucleari, ma allo stesso tempo insiste sul fatto che “finché esisteranno le armi nucleari, rimarrà un’alleanza nucleare”, una posizione che preclude i progressi verso il suo obiettivo dichiarato.

***Senzatomica, Rete Italiana Pace Disarmo

 

legambiente

Sono passati 4 anni ma il nostro pensiero non è cambiato, anzi quanto è accaduto il 3 ed il 16 maggio 2023 e gli ultimi violenti eventi meteo che in pochi minuti hanno arrecato importanti e gravi danni alle nostre comunità, avrebbero dovuto farci capire che il suolo va tutelato e salvaguardato anche se fosse un solo metro quadro. Legambiente ha saputo sostenere – e premiare – quegli amministratori pubblici che hanno avuto a cuore la difesa del suolo e dell’interesse comune fermando, laddove possibile, la cementificazione e l’aggressione al territorio (vogliamo riferirci, per esempio, a tutti quei Sindaci dell’Emilia Romagna che si sono impegnati verso la propria comunità e che hanno difeso il suolo promuovendo trasparenza e legalità nell’azione amministrativa).

Per questi motivi il nostro pieno sostegno va a quei Cittadini sensibili al tema del consumo di suolo che hanno portato e stanno portando avanti le loro istanze.

Non si riesce a capire infatti come, nonostante la lezione degli eventi accaduti nel maggio 2023, si possa proseguire ancora nella cementificazione del suolo col risultato di rendere ancora più vulnerabile il già fragile territorio ravennate.

La prevista opera pubblica di circuitazione dell’abitato di Porto Fuori si porta dietro la possibile edificazione di circa 8 ettari di terreno agricolo oltre che la distruzione di un’ottantina di orti per anziani, adducendo ragioni che sembrano ispirate da vecchie logiche come quella del “cemento come motore di sviluppo economico” che tanti danni hanno inferto all’equilibrio idrogeologico del nostro Paese.

Logiche ormai superate sia dalla nuova consapevolezza ambientale della Cittadinanza sia dalle nuove tecnologie che permettono di perseguire obiettivi di sviluppo più sostenibili. Continueremo a protestare tutti i giorni in difesa del suolo, affinché si giunga ad un vero Consumo Zero e continueremo a farlo, anche se non verremo capiti da tutti, perché siamo convinti che difendere l’Ambiente ed il territorio oggi sia la condizione per garantire un futuro migliore alle generazioni di domani.

Legambiente Ravenna