Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Dalla lotta ai rave al decreto sicurezza, dalla cancellazione del reddito di cittadinanza all'incentivazione della precarietà: 12 mesi vissuti a colpi di spot

 

Il 22 di ottobre del 2022 il governo guidato da Giorgia Meloni giurava al Quirinale, il 23 la cerimonia della Campanella a Palazzo Chigi per il passaggio di consegne da Mario Draghi alla leader di Fratelli d’Italia, il 31 aveva luogo il primo Consiglio dei ministri e il nuovo esecutivo si qualificava così da sé: via libera al decreto rave. Norme per limitare le manifestazioni pubbliche, elaborate a seguito di un rave party a Modena che aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, ma che contenevano, tra l’altro, anche misure che indebolivano la cosiddetta legge spazzacorrotti. Immediata l’impressione non solamente che il decreto potesse essere una limitazione della libertà di manifestare, ma che questo esecutivo si sarebbe connotato per la capacità di cavalcare l’emotività e procedere con criminalizzazioni di comodo.  

L'emergenza di comodo

Tra Natale e Capodanno arriva il primo decreto sicurezza e nasce una serie di norme in materia di immigrazione, tema che sta molto a cuore al governo, tanto che riesce per lunghi tempi a imporlo sulle prime pagine dei quotidiani e nei media in generale. Prima mossa colpire e limitare l’operatività delle Ong che con le loro navi soccorrono i migranti in mare, sino ad arrivare al decreto Cutro, seguito alla strage di migranti nei mari della Calabria, che potenzia i Centri di permanenza per i rimpatri, nell’ottica di “prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”.

Altre norme hanno poi aumentato il tempo di permanenza dei migranti nei Cpr, sino ad arrivare al decreto dello scorso settembre che prende di mira i minori non accompagnati, presunti mentitori che dovranno, in caso di dubbi sulla loro età, essere sottoposti a rilievi antropometrici. Non solamente, se hanno più di sedici anni è possibile collocarli nelle strutture per adulti, prive naturalmente di servizi a loro adeguati. È stabilita anche una stretta sui permessi per la protezione speciale. Un insieme di misure che ha sollevato una vasta gamma di proteste, dai sindaci, alle forze dell’ordine alle associazioni umanitarie.  

Primo maggio, su coraggio

E il lavoro? Affermare ‘non pervenuto’ sarebbe inesatto, ma per trovare un provvedimento esclusivamente dedicato al problema principe del

Il 27 ottobre saremo nuovamente nelle piazze italiane per ribadire le ragioni dell’appello «Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace», condividendo l’invito di papa Francesco e l’iniziativa di Amnesty International e dell’Associazione delle ong italiane di cooperazione e di solidarietà

ISRAELE/PALESTINA. La distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione non porterà la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas è veleno, se raccolto il conflitto si allarga

Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace

Tante sono le iniziative che si stanno realizzando nelle città italiane e del mondo per dire basta a questa ennesima guerra, per evitare che al terrore seminato da Hamas, vinca la vendetta di Israele sulla popolazione civile di Gaza, dove 2,3 milioni di persone sono imprigionate senza più cibo, servizi sanitari, abitazioni, acqua, un disastro umanitario che nessuno sembra in grado di fermare.

Va detto e ridetto questa è la sconfitta di tutti. Nessuno si può salvare da questa responsabilità di lasciar consumare un crimine di guerra in mondovisione, in attesa dei bollettini di guerra che aggiornano numeri di morti, di distruzioni, di emergenze e richieste di aiuto inascoltate.
Non sarà la distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione a portare la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas e dai suoi alleati, è un seme avvelenato che non va raccolto se non si vuole andare ad una

Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà previste in tutte le città italiane per chiedere lo stop al conflitto israelo-palestinese

 Foto: Marco Merlini

Continua in tutta Italia la mobilitazione per chiedere Pace in Palestina e Israele, con appuntamenti in numerose città in questa fine settimana e in vista dell'iniziativa nazionale diffusa del prossimo venerdì 27 ottobre. Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà sono avvenute nei giorni scorsi a Bologna, Brescia, Milano, Modena.

La Rete italiana pace e disarmo fa sapere che da oggi ai prossimi giorni sono previste iniziative a Reggio Emilia, Massa, Ferrara, Verona, Piacenza, La Spezia, Firenze, convocate sui contenuti e le prospettive del documento "Israele-Palestina: fermiamo la violenza, riprendiamo per mano la Pace", promosso dalla Coalizione "Assisi Pace Giusta" che sta raccogliendo numerose adesioni.

L'obiettivo è di rafforzare le richieste della società civile italiana, con la pressione sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per attivare il cessate il fuoco, fermare le violenze e garantire gli aiuti umanitari, arrivare alla convocazione di una Conferenza di pace che risolva la questione Palestinese applicando la formula dei 'due Stati per i due Popoli', stimolando realtà palestinesi e israeliane ad attivarsi congiuntamente per rendere evidente la loro contrarietà rispetto a chi agisce con violenza contro la Pace.

"In questi giorni di continuo insopportabile orrore - spiegano dalla Rete -, Amnesty International Italia ha deciso di lanciare insieme ad AOI e a tante altre realtà della società civile un appello alle istituzioni italiane per chiedere di rimettere al centro dell'azione politica il rispetto dei diritti umani e della vita delle persone. Al fine di rilanciare i contenuti di questo appello verranno organizzate in tutta Italia per il pomeriggio di venerdì 27 ottobre manifestazioni silenziose in cui poter ribadire tutta l'urgenza di attivare

DIARIO AMERICANO. La cronaca dei tre giorni dei delegati italiani a supporto del lungo sciopero: la nuova leva del sindacato sfida i giganti dell’auto chiedendo un aumento del 40%

La Fiom ai picchetti Uaw: «Compagni oltreoceano» 

La scorsa settimana, con una delegazione della Fiom guidata dal segretario generale Michele De Palma, siamo stati davanti ai cancelli delle fabbriche dell’auto statunitensi, per portare la nostra solidarietà ai lavoratori in sciopero dal 15 settembre e capire questa lotta che ha sorpreso molti; persino il presidente Usa Joe Biden che si è recato ai picchetti per un inedito comizio elettorale.
Anche i lavoratrici di Gm, Ford e Stellantis degli stabilimenti sparsi tra Ohio e Michigan erano sorpresi nel vederci: era la prima volta che una delegazione sindacale straniera (oltre a noi i britannici di Unite e i brasiliani della Gm di San Jose) partecipava a picchetti dello Uaw, lo storico sindacato dei lavoratori dell’automobile fondato nel 1937.

La vertenza è stata preparata con grande cura dal nuovo gruppo dirigente di Uaw – per la prima volta eletto direttamente dalla base – costruendo una piattaforma molto ambiziosa, che di fronte ai profitti record delle Big Three, a condizione di lavoro degradate e a redditi erosi dall’inflazione, chiede aumenti salariali in linea con i dividendi dei gruppi (attorno al 40%), la riduzione d’orario a 32 ore settimanali, la stabilizzazione dei precari, la rivalutazione delle prestazioni del welfare.

Ma in gioco c’è molto di più di un rinnovo contrattuale. Non è solo una vertenza redistributiva, né solo di un settore metalmeccanico, per quanto importante. Questo scontro rimette al centro la possibilità di invertire una tendenza globale che cancella il lavoro come soggetto, dando un segnale di svolta per questi blue collars che, con la stagione neoliberista avviata da Reagan, sono precipitati nella scala sociale da middle class a working poor.

Quando siamo arrivati a Detroit, il segretario della Uaw, Shawn Fain – con addosso la felpa della Fiom che gli abbiamo donato – annuncia l’estensione dello Stand Up Strike alla Kentucky Truck Plant della Ford a Louisville. Non è una fabbrica qualsiasi, è quella che fa più profitti, vi lavorano 8.700 operai che producono i pick-up Super Duty, le Suv Expedition e Lincoln Navigator. La strategia della Uaw, infatti, si basa su una progressiva estensione dello sciopero a oltranza, partendo da un gruppo limitato di stabilimenti per poi estendersi progressivamente agli altri, in corrispondenza con l’andamento delle trattative con le controparti. Che, al momento, non hanno fatto grandi progressi.

L’organizzazione della lotta ruota attorno ai picchetti, sostenuti dalle Locals, le unità di base del sindacato, che raccolgono la grande solidarietà che questa lotta sta raccogliendo nelle comunità coinvolte nelle loro sedi aperte ai lavoratori e ai movimenti di base. Da qui di snoda la catena logistica che sostiene i picchetti. Qui si organizzano i turni, si taglia la legna e si distribuiscono i viveri. Nella Union Hall si può mangiare, si fanno riunioni. Anche feste e raccolte fondi.

Chi sciopera riceve 500 dollari la settimana. A noi, questa enorme cassa di resistenza fa impressione, ma negli Usa si fa fatica con quei soldi. I picchetti sono tantissimi, uno per ogni ingresso delle fabbriche e coinvolgono migliaia di persone. Le lavoratrici, i lavoratori e i volontari ci sommergono di domande, vogliono sapere come si lavora in Stellantis da noi, come è il welfare, la scuola per i figli. Stringiamo mani, ci abbracciamo. Scandiamo slogan a ritmi tutti americani: “No justice, no Jeeps! When we fight, we win! Solidarity forever!” (Senza giustizia niente Jeep! Se lottiamo, vinciamo! Per sempre solidali!)

Al ritorno, dopo tre giorni di picchetti, comizi volanti e riunioni ci portiamo a casa un’esperienza straordinaria, l’incontro con chi lotta che insegna molto più di cento congressi. In quei luoghi “sacri” che sono i picchetti c’è qualcosa che trascende la migliore umanità. I nostri sindacati avranno questo legame speciale per sempre.

* Ufficio internazionale Fiom
** responsabile Fiom Mirafiori
***Rsa Fiom di Cassino

L'assemblea generale Cgil si esprime sul conflitto israelo-palestinese e ricorda i doveri degli organi internazionali contro la violazione dei diritti umani

 

La guerra israelo-palestinese al centro di un ordine del giorno dell’Assemblea generale della Cgil, che ha espresso forte preoccupazione per gli accadimenti che si susseguono dal 7 ottobre e ha lanciato iniziative territoriali per la pace. In coerenza con la storia del sindacato e come già fatto con la recente guerra in Ucraina e in altre regioni del mondo, arriva la condanna con forza di ogni forma di terrorismo e di violenza contro la popolazione civile. 

Davanti all’elevato numero di morti e di feriti su entrambi i fronti e al rapimento di civili israeliani da parte di Hamas la Cgil sottolinea come “questa guerra si sta consumando, ancora una volta, sul corpo delle donne. Si tratta di un vero e proprio crimine che non ha nulla a che vedere con la causa palestinese, ma si aggiunge alla storia del terrorismo internazionale. Siamo di fronte a un'escalation di violenza e di rischio di espansione del conflitto armato all’intera regione dove la popolazione civile, le democrazie e la costruzione di convivenza pacifica sono le vere vittime”. 

Il sindacato ricorda il dovere di tutti di attenersi al rispetto del diritto umanitario internazionale: “Non si può imporre, come sta facendo il governo israeliano un assedio totale sottoponendo la popolazione palestinese della striscia di Gaza a bombardamenti continui, togliendo luce, acqua, cure sanitarie e cibo a oltre due milioni di persone. Se non si riesce a fermare questa ondata, non vi saranno frontiere e barriere al terrorismo e alla guerra”. 

Quindi la richiesta ai governi nazionali, all’Unione europea e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di “mettere in campo tutte le risorse necessarie per fermare le operazioni militari, per la liberazione degli ostaggi e per l’assistenza umanitaria alla popolazione civile, evitando un altro esodo e nuovi profughi che si andranno ad aggiungere a quelli che da 75 anni vivono nei campi profughi della regione. Oggi l’unica bandiera che dobbiamo portare è la bandiera della pace”. 

La Cgil esprime la necessità che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite convochi una conferenza internazionale di pace per riconoscere lo Stato di Palestina come membro pieno dell’Assemblea delle Nazioni Unite, con confini certi, con piena sovranità e responsabilità, sulla base di quanto accordato tra le parti con gli Accordi di Oslo e riconosciuto dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite che dall’inizio del conflitto hanno impostato il quadro legale nella soluzione dei ‘due stati per i due popoli’ con Gerusalemme capitale condivisa. 

“Questa è la strada della pace, della convivenza tra i due popoli, della pacificazione del Medio Oriente – si legge nell’ordine del giorno -. Non è più possibile lasciare una popolazione senza patria e uno stato che continua a espandere i propri insediamenti illegali, mentre crescono odio, violenza e terrore. Rinnoviamo il nostro impegno a costruire il dialogo e il rispetto reciproco tra israeliani e palestinesi, soprattutto in questo difficile e doloroso momento, per dimostrare che la pace e la convivenza è ancora possibile ed è l’unica strada per la sicurezza comune”. 

“Su queste basi e con questi contenuti – conclude - l’Assemblea generale nazionale della Cgil dà mandato a tutte le strutture dell’organizzazione di costruire e promuovere iniziative sui territori, innanzitutto insieme ai soggetti con cui la Cgil ha sottoscritto il manifesto ‘Israele-Palestina: Fermiamo la violenza, riprendiamo per mano la pace’

 

Il leader della Cgil ha inviato una lettera ai segretari di Cisl e Uil: "Vediamoci con celerità per definire il percorso e le modalità della protesta"

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell’Assemblea generale che si è svolta oggi a Roma, ha inviato una lettera ai segretari generali di Uil e Cisl, Pierpaolo Bombardieri e Luigi Sbarra.

“Nell’ambito dell’Assemblea - scrive Landini - abbiamo avuto modo di discutere la proposta che la Uil ci ha sottoposto nella giornata di ieri. L'Assemblea generale della Cgil ha condiviso il giudizio sulla fase e la necessità di avviare un percorso di mobilitazione unitaria con manifestazioni e scioperi, per quanto ci riguarda fino allo sciopero generale”.

“Pertanto - conclude il leader - siamo disponibili a incontrarci con celerità nei prossimi giorni per definire percorso e modalità della mobilitazione”.