Palestina Intervista a Nicola Fratoianni in Palestina con una delegazione di AVS
Prosegue la missione in Palestina di Nicola Fratoianni e altri quattro parlamentari di Avs – Angelo Bonelli, Giuseppe De Cristofaro, Francesco Mari e Marco Grimaldi – accompagnati da Luisa Morgantini, già vicepresidente dell’Europarlamento. Obiettivo della delegazione è vedere con i propri occhi la condizione dei palestinesi sotto occupazione, osservare le pratiche del governo israeliano e incontrare rappresentanti della società civile e della politica palestinese. «L’impressione che si ha da lontano è che, oltre la tragedia infinita di Gaza, sia in corso ovunque un’accelerazione dei processi di espulsione, non solo fisica, ma anche politica della questione palestinese», ci dice Fratoianni, che abbiamo incontrato a Gerusalemme Est.
Ti riferisci alla Cisgiordania e a Gerusalemme?
Sì, girando per due quartieri di Gerusalemme Est, i palestinesi, gli abitanti, ci hanno riferito che dopo il 7 ottobre 2023 tutto corre più velocemente: gli sgomberi, le demolizioni delle case, la violenza dei coloni israeliani, tante violazioni. Essere qui ora significa per noi parlare, ascoltare, confrontarsi, vedere quello che accade e provare ad accendere un faro ulteriore su ciò che sta succedendo.
Ciò che hai descritto viene percepito fino in fondo in Italia, all’interno del Parlamento?
C’è una parte che lo percepisce, che è consapevole, attenta e solidale. Ci sono stati dei passi avanti importanti, anche tra le opposizioni. La mozione unitaria che abbiamo presentato con il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle pochi giorni fa rappresenta un salto di qualità importante, sia sul piano della consapevolezza che su quello della nettezza delle richieste. Per la prima volta tutti insieme abbiamo chiesto cose importanti come il riconoscimento dello Stato palestinese, il blocco di ogni commercio di armi (con Israele), la sospensione del trattato di associazione tra UE e Israele, e l’imposizione di sanzioni contro il governo israeliano, non solo contro i singoli coloni responsabili di violenze e reati. Allo stesso tempo, l’attenzione su ciò che accade fuori da Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme, è meno presente. Per questo ci è parso necessario venire. Sono inoltre in preparazione altre missioni, come la seconda carovana solidale verso Rafah.
Fuori dal Parlamento, però, il movimento pro-Palestina vi ripete che non è abbastanza e che occorre fare di più.
Non so dire cosa sia abbastanza. Certo, sul piano politico mi sembra che quanto abbiamo incluso nella mozione unitaria sia ciò che deve essere posto su quel terreno. È una posizione che pone con grande forza un tema che riguarda in modo drammatico la vicenda palestinese, ma anche, più in generale, il mondo di oggi: la centralità e la difesa del diritto internazionale. Penso al rapporto con la Corte Penale Internazionale, in particolare ai mandati di arresto come quello nei confronti del premier israeliano Netanyahu. O al doppio standard che, ad esempio, la comunità europea utilizza: da un lato rispetto all’invasione russa dell’Ucraina, dall’altro rispetto alla vicenda di Gaza e della Cisgiordania. Il diritto internazionale è il cuore della questione, ed è su questo terreno che occorre posizionare la battaglia politica.
Su questo, come giudichi la linea del governo Meloni?
La vedo molto male. Glielo abbiamo detto molte volte in questi mesi, con il numero enorme di atti parlamentari, interrogazioni e question time che abbiamo presentato. La risposta che viene dal governo italiano oscilla tra l’ipocrisia e la complicità. E l’ipocrisia che si ripete all’infinito diventa complicità.
La giurista italiana Francesca Albanese, Relatrice dell’Onu per i diritti umani nei Territori occupati, è attaccata da più parti per ciò che dice sulle violazioni israeliane a danno dei palestinesi. Le autorità italiane, il governo Meloni, dovrebbero fare di più per difenderla e proteggerla?
Dovrebbero fare molto di più, non perché è italiana, ma per ciò che dice, che non è il frutto di una sua posizione politica, bensì il risultato delle sue osservazioni e dei suoi studi. È il frutto del diritto internazionale. Il fatto che Albanese sia attaccata nel modo in cui è attaccata, e che non sia difesa nel modo in cui dovrebbe essere difesa, conferma che la questione del diritto internazionale – oggi sotto attacco – è in questo momento la più a rischio.
A Gaza si va verso la deportazione dei palestinesi proposta da Donald Trump, o è un piano non realizzabile?
Non so se sia realizzabile o meno. Intanto quelle cose sono state pronunciate di fronte a un silenzio – per fortuna non totale – che di per sé è assai preoccupante. È concreto il rischio di una guerra che non si fermi davanti a nulla, in cui non si trovi lo spazio nel quale possano inserirsi la trattativa e la diplomazia, con il diritto internazionale come leva fondamentale.