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Un attacco di droni nel cuore del Mediterraneo, al largo di Malta. Colpita e quasi affondata la nave della Freedom Flotilla. Voleva portare aiuti umanitari a Gaza, ma il blocco di Israele è impenetrabile. Da due mesi non entra più nulla, nella Striscia lo sterminio è per fame

In fondo al male La nave con a bordo 30 attivisti colpita al largo di Malta. Un C-130 israeliano ha sorvolato per ore la zona. Tel Aviv non commenta

La nave Conscience dopo l’attacco in mare foto Epa La nave Conscience dopo l’attacco in mare – foto Epa

A mezzanotte e ventitré di ieri, due droni da guerra hanno colpito diverse volte la nave Conscience della Freedom Flotilla, mentre si trovava in acque internazionali. Il primo sparo ha centrato l’esterno dello scafo, che ha cominciato a imbarcare acqua. Gli altri il ponte di prua e la zona dei generatori, lasciando l’equipaggio senza energia. La radio ha smesso di funzionare e le comunicazioni sono diventate complicate e discontinue. Si è subito sviluppato un incendio e sono giunte sul posto una nave di Cipro del Sud e una maltese. Thiago Avila, della ong, ha dichiarato che la Flotilla ha inviato due barche in supporto ma che le navi maltesi non hanno permesso loro di avvicinarsi. In serata, gli attivisti hanno comunicato di temere un nuovo attacco e che la nave resta gravemente danneggiata. Ma la Guardia costiera maltese blocca lo scafo, impedendogli di giungere in un porto sicuro.

AL MOMENTO dell’attacco la Conscience ospitava trenta operatori umanitari provenienti da Turchia e Azerbaijan, cibo e medicine. Una nave disarmata, ferma a tredici miglia a nord-est di Malta nell’attesa di ricevere il permesso di attraccare al porto per far salire a bordo altri volontari e ulteriori beni essenziali. La Freedom Flotilla Coalition, che dal 2008 organizza azioni con lo scopo di rompere l’assedio israeliano e raggiungere le coste di Gaza, aveva scelto di mantenere il riserbo sulla missione della Conscience. Per evitare di essere bloccata, come già diverse volte è accaduto.

A MALTA si sarebbero dovuti imbarcare decine di altri volontari, tra cui l’attivista Greta Thunberg, che avrebbe proseguito verso Gaza insieme agli altri. In attesa a La Valletta anche due italiani, Simone Zambrin e Chiara Di Silvestro. Ma i meccanismi di boicottaggio godono di sistemi di supporto internazionale che usano la burocrazia come un’arma affilata. «Tutte le missioni hanno registrato ritardi causati dalle autorità marittime – ci ha detto Michele Borgia, che si occupa in Italia della comunicazione per l’ong – Spesso le imbarcazioni vengono controllate e ricontrollate per giorni».

Gli attivisti puntano il dito contro Israele e i suoi partner. Chi poteva avere interesse a mettere fuori uso con le armi una nave umanitaria diretta a Gaza? Non ci sono prove certe ma un C-130 Hercules dell’aeronautica israeliana è partito da Tel Aviv giovedì pomeriggio e ha sorvolato, a bassa quota e per diverse ore, l’area in cui si trovava la Conscience. Secondo i dati di volo disponibili online sui siti di tracciamento e condivisi dalla Cnn, l’aereo è ritornato in Israele sette ore dopo il decollo, quando l’attacco era già stato compiuto. Tel Aviv si è rifiutata di commentare.

QUINDICI ANNI FA, a maggio del 2010 Israele attaccò la Mavi Marmara, una delle sei navi della Freedom Flotilla che tentavano di forzare il blocco navale di Gaza. I militari uccisero nove attivisti turchi. Il presidente Erdogan, tra i primi a denunciare l’attacco di ieri, ha dichiarato la sua solidarietà al gruppo internazionale. Eppure, è stata proprio la Turchia a bloccare per mesi la nave al porto di Istanbul, lasciando che il cibo si deteriorasse e che parte degli aiuti diventasse inservibile. Anche per questo motivo l’imbarcazione doveva attraccare a Malta, dove la attendeva un’agenzia incaricata al trasbordo del nuovo carico umanitario. Agenzia che ha inaspettatamente dichiarato di non intendere far fede al suo impegno e Malta non ha rilasciato il permesso di ingresso nelle sue acque territoriali.

Un’attesa di 48 ore che ha svelato il suo significato quando è giunta alla nave la temuta e familiare notizia. L’attesa in acque internazionali serviva a dar tempo alle pressioni di governi e paesi perché venisse ritirata la bandiera dell’imbarcazione. La Conscience batteva bandiera di Palau. L’identica cosa era accaduta lo scorso anno a un’altra missione della Flotilla che con tre navi, 5mila tonnellate di aiuti e centinaia di osservatori internazionali sarebbe dovuta partire da Istanbul. Il governo turco ritardò la consegna dei permessi fino a quando venne comunicato che la Guinea Bissau intendeva ritirare la sua bandiera.

SOLO NEL 2008, la Dignity riuscì a vincere il blocco e a raggiungere le coste di Gaza. Quella volta, insieme a tanti volontari internazionali, sbarcò anche Vittorio Arrigoni.
«Abbiamo valutato i rischi della missione – ha dichiarato al manifesto l’attivista italiano Simone Zambrin – ma abbiamo deciso di provare a fare quello che i nostri governi, complici, non fanno.

Esiste qualcosa di più genuino che portare cibo e medicine a chi ne ha bisogno? È la nostra resistenza non violenta a un atto disumano».

Dopo due mesi di blocco totale, neanche le associazioni internazionali a Gaza hanno gli strumenti per aiutare la popolazione. La risposta umanitaria «è sull’orlo del collasso totale», ha denunciato la Croce rossa. «Senza un’immediata ripresa delle consegne di aiuti, il Comitato Internazionale (Cicr) non avrà access

o al cibo, ai medicinali e ai beni di prima necessità fondamentali per sostenere molti dei suoi programmi a Gaza», si legge nel comunicato diffuso ieri. Gli ospedali, anche quelli da campo della Cicr, non hanno più medicine.

Vecchie scarpe si vendono a chilo come unica risorse per poter accendere un fuoco per cucinare o scaldarsi. Sempre più famiglie domandano, disperate, un aiuto per i propri figli che si stanno consumando tra fame e malattie, ormai solo costole e colonne vertebrali, senza la forza neanche di piangere. Ma Israele continua a bombardare case e tende, mentre minaccia di espandere ancora le sue operazioni militari.

ALMENO SEI PERSONE sono state uccise ieri a Gaza City, in un attacco a una delle poche cucine di comunità ancora aperte. A Beit Lahiya Israele ha bombardato una casa in cui i parenti vegliavano la salma della vittima di un precedente attacco. I testimoni parlano di più di dodici morti, tutti membri della famiglia Al-Masri. 43 palestine