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È QUEER LA FESTA. Centinaia di migliaia di persone al Pride della capitale: danze e rivendicazioni politiche si muovono allo stesso ritmo. In piazza c’è la consapevolezza, ma non lo stupore, che la destra userà questo pezzo di paese per pagare i suoi debiti con i pro vita

 Il Roma Pride arriva sotto il Colosseo - Andrea Sabbadini

Più che una marcia è una marea. Una marea di colori che si affiancano, si intersecano, si contagiano. Sulle bandiere arcobaleno e sui vessilli transgender. Nelle parrucche fluorescenti indossate col sorriso e nei pizzi ostentati con orgoglio. Sui vestiti fuori norma oppure sui corpi nudi. Decorati con i glitter. Sudati, bagnati sotto il sole di giugno che bacia il primo Roma Pride dell’era Meloni.

«SIAMO PIÙ di un milione. Un record. Da qui parte la resistenza al governo e a questa destra che ha ritirato il patrocinio e specula su di noi. Il presidente della regione Lazio Rocca ha alimentato l’omofobia istituzionale chiedendomi di presentargli delle scuse. Si deve vergognare», dice Mario Colamarino, presidente del circolo Mario Mieli e portavoce della mobilitazione. Contare è complicato ma le 40mila presenze registrate dalla questura fanno un po’ sorridere. Il corteo è

enorme.

IN TESTA LO STRISCIONE con lo slogan «Queeresistenza». Dietro, i grandi camion che sparano la musica e da cui partono gli interventi, con la gente accalcata intorno a ballare e ascoltare. Decorato di celeste, rosa e bianco – cinque strisce che riflettono l’esperienza trans – c’è quello di Gender X. Il coordinatore Gioele Lavalle dice: «Il ritiro del patrocinio è significativo per la comunità transgender perché la regione gestisce la sanità e dunque l’accesso ad assistenza e farmaci. Ha ceduto al ricatto di Pro Vita, la stessa associazione che ha diffidato le scuole che permettevano la carriera alias. Abbiamo presentato una controdiffida ma al momento ci risulta tutto bloccato. È molto grave». Sul camion c’è Valery che esplode di gioia: «È il mio primo Pride dopo il coming out. È importante esserci. Questa manifestazione è una festa ma anche un messaggio: siamo qui per restare e abbiamo il diritto di esistere come tutti gli altri».

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RISALENDO IL CORTEO si incontra una macchia color magenta dove sventolano le bandiere con tre cuori arancioni. «Ci sentiamo sicuramente minacciate come famiglie arcobaleno. Ma anche come donne, come cittadine. È il momento di rispettare tutti, principalmente quei bambini che dicono di voler tutelare e invece maltrattano», dice Maria Teresa Carbone. «La paura deve averla chi discrimina, non noi. Noi esistiamo e qualunque realtà politica e sociale ci deve riconoscere», afferma Fabrizio La Paglia, dei Genitori Rainbow.

ALL’OMBRA DI UN PALAZZO due ragazzi siciliani con i fisici scolpiti e i muscoli decorati col glitter, legati l’uno all’altro da una catenella d’oro, dicono di non sentirsi minacciati da questo governo: «Abbiamo la voce giusta per farci sentire». Non è l’opinione prevalente nella manifestazione. Dalla prospettiva di questa piazza si vede bene che la destra meloniana ha scelto di usare questo pezzo di società per pagare i debiti con l’associazionismo pro-vita e il cattolicesimo più integralista. C’è consapevolezza, ma non stupore. Sotto i portici di piazza dei Cinquecento Sofia, donna trans nata in Brasile e cittadina di Roma, dice: «Siamo qui per cercare di cambiare qualcosa. I diritti devono essere universali. C’è ancora troppa discriminazione e non va bene: siamo tutti uguali».

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TRA I CAMION della prima parte del corteo si ascolta molta Donatella Rettore e Lady Gaga. «Mi è sembrato di sentire un rumore / Rumore / Sera / La paura / Io da sola non mi sento sicura / Sicura», canta Raffaella Carrà. E poi Bob Sinclair: «Feel the love generation / Feel the love generation / Come on, come on, come on». In mezzo, invece, la musica è più elettronica, spesso house commerciale. Sfilano i club romani e le serate dell’ambiente queer. C’è il Mucca Assassina, il Cosmopolitan e il Leather Club, che in uno striscione laterale ricorda le sessualità kinky, letteralmente: stravagante, non convenzionale. Viene da lì l’ultima arrivata nella sigla lgbtqiak+. Sempre più lunga.

ALTRI CARRI sono di imprese e multinazionali, dall’American Express alla Tim. Non tutti apprezzano questo aspetto. In fondo c’è il grande spezzone transfemminista del Priot, che partecipa alla mobilitazione ma non ne condivide alcuni elementi. «La Tim sponsorizza sia il Pride che gli Stati generali della natalità. Per noi questa è una giornata di lotta e siamo qui per riappropriarcene, non ci va bene che sia utilizzata dalle grandi aziende per farsi pubblicità strumentalizzando a piacere l’arcobaleno», dice Riccardo Carraro. Sul fianco del camion un cartello recita: «No profitti sui nostri corpi». Qui la musica che prevale è la tekno, con la k. Partono i cori di Non Una Di Meno e viene ricordata Cloe Bianco, la professoressa suicidatasi a causa delle vessazioni transfobiche nel giugno dell’anno scorso. «Domenica prossima saremo a San Donà di Piave per ricordarla», comunicano le attiviste.

INTANTO LA MAREA è ancora a piazza Vittorio e già al Colosseo, contemporaneamente è debordata nelle strade laterali tra lo stupore di alcuni passanti e i sorrisi di altri. Accanto a un uomo e una donna vestiti a nozze e in posa per le foto passano due ragazzi con il reggiseno e le guance colorate. «Sei tu la sposa?», dice uno all’altro che indossa il tulle a mo’ di gonna. Dove gli autobus hanno ripreso a circolare le fermate sono trasformate dai manifestanti in un nuova tappa per il ballo e gli incontri, verso le feste della sera che stanno per iniziare. Ancora oltre, i bar sono affollati di bandiere arcobaleno. È bella Roma