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«Accordo al 100%». Con un vertice privato, Germania e Francia fanno la riforma del patto europeo di stabilità. «Regole severe, le vecchie lo erano solo sulla carta», dice il tedesco Lindner. «Giorgetti? Sentito al telefono», aggiunge il francese Le Maire. Ma l’Italia frena e adesso è isolata nell’incontro decisivo di oggi all’Ecofin

UE/ITALIA. I ministri Le Maire e Lindner «fiduciosi». Telefonata con Giorgetti, che ancora non chiude la partita. Ma l’Italia è messa alle strette

Francia e Germania accelerano sul Patto e annunciano l’intesa Il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner e quello francese Bruno Le Maire - LaPresse

«Ci abbiamo parlato e siamo fiduciosi sull’intesa domani». L’appiglio offerto all’Italia consisterebbe nella disponibilità a rivedere le norme sulla flessibilità «considerando» l’impatto della stretta sui tassi d’interesse. «Andiamo verso un accordo al 100%», conferma giubilante il francese Bruno Le Maire.

RESTANO IN REALTÀ in sospeso due punti non secondari: la velocità con la quale si dovrà raggiungere il parametro sul rapporto deficit/Pil, che di fatto è passato, grazie all’espediente della «clausola di garanzia» reclamata e ottenuta dalla Germania, dal 3% all’1,5%. Il secondo è il margine di deviazione accettabile in merito all’obiettivo annuo sulla spesa. Ma nel complesso i due ostacoli non sembrano più insormontabili se Le Maire già annuncia «la tappa storica nel rafforzamento dell’identità e della sovranità europee».

L’accordo, che Lindner impaziente dava per probabile già ieri sera, dovrebbe essere sancito oggi nel vertice Ecofin che, nonostante le proteste dell’Italia, che avrebbe preferito un incontro in persona, sarà in videoconferenza «per garantire la massima partecipazione». I due ministri guida «comprendono» che la videoconferenza non sia «la cosa migliore» ma assicurano di «aver cercato in qualche modo di trovare il

giusto equilibrio».

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Non è chiaro, al momento se e come sia stato risolto il problema della flessibilità. L’accordo raggiunto nell’ultimo Ecofin fissava un triennio, dal 2025 al 2027, nel quale tenere conto degli interessi per il debito sulle spese strategiche, transizione verde, digitalizzazione e difesa nel conto del deficit. L’Italia mirava a rendere stabile la fase di transizione, nella quale lo scostamento del parametro sul deficit si dovrebbe discutere Paese per Paese con la Commissione. In questo modo il quadro si sarebbe riavvicinato alla proposta iniziale della Commissione, che prevedeva appunto questo tipo di trattative sulla flessibilità e che è stata completamente stravolta dalle clausole di garanzia sia sul deficit che sul debito imposte dalla Germania e dai Paesi rigoristi.

A BOTTA CALDA Giorgetti non commenta e ciò lascia pensare che le resistenze italiane non siano ancora del tutto piegate, anche se molto dipenderà dai margini di «applicabilità», cioè dalla possibilità di investire pur rispettando le nuove regole, che saranno comunque più stringenti di quelle precedenti, all’opposto di quello che ci aspettava inizialmente.

SIA LA PREMIER Gorgia Meloni che il ministro dell’Economia hanno più volte minacciato di bloccare l’accordo negando la firma indispensabile dell’Italia. Ma lo facevano con la garanzia dell’appoggio della Francia, che condivideva le richieste italiane e di fatto permetteva a Meloni di puntare i piedi senza trovarsi isolata.

Se l’intesa tra i due Paesi principali verrà confermata oggi, ed è difficile che non sia così dopo l’annuncio fragoroso e solenne di ieri, il quadro sarà completamente cambiato, sia per l’Italia, che dovrebbe fermare da sola e senza coperture alle spalle la riforma del Patto di stabilità, sia per i paesi che trovano esagerata anche solo la flessibilità per il triennio 2025-27. Il momento della verità sembra essere arrivato