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INTERVISTA. Parla Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil

«Questa sarà una giornata di lotta. Bisogna tornare a parlare di classe»

Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, che Primo maggio è quello del 2023?
Un Primo maggio di lotta perché anticipa le giornate di mobilitazione che avremo a maggio. Io, dopo due volte a Portella della Ginestra, una assieme ad un gigante come Emanuele Macaluso, sarò a Empoli, uno di quei luoghi in cui si è mantenuta la tradizione di una festa di popolo.
Se dal governo non avremo ancora risposte, la nostra reazione sarà ferma e unitaria. Senza escludere nessuno strumento, neanche lo sciopero
Se dovesse incontrare un precario poco convinto di festeggiare e di iscriversi ai sindacati come lo convincerebbe a partecipare alla commemorazione della festa del lavoro?
Premesso che ne incontro tanti di precari, non solo il Primo maggio. Gli direi con semplicità che quando sono stata insegnante precaria anch’io ho capito che solo la lotta collettiva consente di ottenere risultati, solo la consapevolezza di classe. Capisco che sembrano parole d’antan in epoca di individualismo imperante ma bisogna tornare al concetto di classe, di condizioni e interessi di classe perché è l’unico modo di unirci e aiutarci insieme per ottenere risultati. Il sindacato in questi anni ha ottenuto risultati insperati: il blocco dei licenziamenti in pandemia, le conquiste di diritti e salari per i rider e in Amazon. Solo assieme si può

fare.

Domenica sera, alla vigilia del Primo maggio e dell’approvazione del decreto Lavoro, siete convocati a Palazzo Chigi. Come al solito, sarà una mera comunicazione, senza alcun dialogo.
Il metodo è sbagliato ed è in linea con la loro idea neo-corporativa. Andremo per esprimere al governo tutte le nostre critiche e portare le nostre proposte. Dalle anticipazioni, sappiamo che sulla tutela dei salari dall’inflazione le poche risorse per il taglio del cuneo fiscale non bastano per rispondere all’aumento dell’inflazione. serve cambiare totalmente la delega fiscale sulla quale il 4 maggio saremo ascoltati in parlamento. Al netto di quello che ci diranno, vanno fatti cambiamenti strutturali per combattere le disuguaglianze che aiutino lavoratori dipendenti e pensionati, coloro che versano gran parte dell’Irpef attuale. Sulla precarietà si va verso un aumento tramite il prolungamento dei contratti a termine e una cancellazione delle causali. Sul Reddito di cittadinanza siamo davanti a una cancellazione dell’unico strumento contro la povertà. Lo sostituiranno con uno o tanti acronimi, potranno chiamarlo perfino Pippo ma resta il fatto che si creeranno nuovi poveri e si favorirà la guerra fra loro. Questo governo nel frattempo ha deciso di fare regali agli evasori con i condoni in Legge di bilancio e con la depenalizzazione di reati e sanzioni nella conversione del decreto Bollette.

La mobilitazione unitaria con Cisl e Uil che vi porterà in piazza per tre sabati di maggio a Bologna, Milano e Napoli è obiettivamente blanda: non prevede la parola sciopero.
Ma neanche lo esclude. Ovviamente stiamo provando un percorso di mobilitazione lungo che arrivi fino alla prossima legge di Bilancio, quella in cui chiediamo si diano risposte su temi fondamentali come la sanità pubblica, a forte rischio di sopravvivenza a causa dei tagli e delle pensioni, materia su cui la maggioranza di governo ha avuto grande consenso elettorale promettendo di cambiare profondamente la Fornero, senza invece fare niente. Se non avremo risposte, la nostra risposta sarà ferma e unitaria. Senza escludere nessuno strumento.

Sono tante le materie in cui il governo non sta dando risposte: dal Pnrr al perimetro pubblico.
Sul Pnrr siamo alla mancanza totale di trasparenza. Le decisioni sono state accentrate ma non le conosciamo e la cabina di regia a cui partecipiamo è una scatola vuota in cui ancora una volta il governo non comunica alcunché, mentre serve ricordare che il Pnrr riguarda tutto il paese e non solo questo governo. Sul settore pubblico nel Def non sono previste risorse per il rinnovo dei contratti e sulla scuola continua a mancare il personale necessario. L’autonomia differenziata poi rischia di produrre ulteriori divari in una materia decisiva per il futuro del paese