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Target insufficienti per le rinnovabili elettriche e un occhio di riguardo per l'ulteriore sviluppo del gas. Sul dogma della neutralità energetica un peso eccessivo a CCS e ad altri vettori.

  

“È un bel regalo ai combustibili fossili” e “sembra scritto sette mesi fa, all’apice dello shock del gas legato alla guerra in Ucraina”.

Questi, in breve, i giudizi di alcuni osservatori circa il proposto nuovo Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) inviato la settimana scorsa dal governo italiano a Bruxelles.

È il ruolo preponderante assegnato alla generazione elettrica a gas e quello troppo scarso riservato alle rinnovabili che ha indotto G.B. Zorzoli, Presidente onorario del Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica (FREE), a sostenere che il nuovo Pniec sia un regalo ai produttori di fonti fossili.

Ed è lo stesso ruolo eccessivo del gas e insufficiente delle rinnovabili che ha spinto Michele Governatori, responsabile elettricità e gas del think tank indipendente ECCO, a dire a QualEnergia.it che il documento inviato a Bruxelles, più che nuovo, sembra scritto l’inverno scorso, quando i prezzi del gas avevano raggiunto i massimi storici.

Target troppo bassi per le rinnovabili

La bozza del nuovo Pniec fissa un target complessivo per le rinnovabili del 40,5% del consumo finale lordo di energia al 2030. Si tratta di un dato inferiore al 42,5% indicato dal piano europeo RepowerEU (Il “realistico e non velleitario” Piano Energia e Clima del governo Meloni).

Esiste anche una consolidata regola empirica secondo cui le rinnovabili possono coprire i consumi elettrici finali per una quota quasi doppia rispetto al loro contributo alla copertura del consumo finale lordo di energia in tutte le sue forme.

“Con il 40% di copertura del consumo finale lordo di energia, le Fer dovrebbero soddisfare intorno al 76-77% dei consumi elettrici”, quindi almeno una decina di punti percentuali in più rispetto a quanto prefigurato, ci ha detto Zorzoli.

La quota obiettivo del nuovo Pniec per le rinnovabili elettriche è infatti ferma solo al 65% dei consumi di corrente al 2030; una quota più bassa rispetto a quel 72% che per molte organizzazioni del settore è necessaria per arrivare a metà secolo al 100% di rinnovabili sulla richiesta elettrica.

Tradotta in potenza elettrica, con solo il 65% del consumo finale di corrente, la capacità aggiuntiva di Fer elettriche al 2030 rispetto a quella di riferimento del 2021 risulta di soli 73,3 GW, cioè meno degli 85 GW previsti da Elettricità Futura, l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% della generazione elettrica in Italia.

Si tratta di un target “insufficiente”, ci ha detto Governatori, limitandosi a commentare i soli dati dell’executive summary ufficiale inviato a Bruxelles.

Cicli combinati a gas e cattura della CO2

È interessante notare con quali tecnologie gli autori del nuovo Pniec abbiano colmato il divario fra contributo previsto e contributo potenziale delle Fer, ci ha detto il presidente onorario di FIRE.

“Questo scarto al ribasso delle Fer è dovuto al fatto che per la prima volta è inserita esplicitamente nel Pniec la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS), e con pari dignità rispetto alle misure contenute in tutti gli altri piani”, ha detto Zorzoli.

Assegnare un ruolo così rilevante alla CCS permette al governo italiano di mantenere molto elevato lo sviluppo dei cicli combinati a gas, ha sottolineato l’esponente di FREE.

“La parola ‘gas’ non è mai accompagnata dalla parola ‘riduzione’. Non a caso si dice esplicitamente che il phase out del carbone sarà implementato attraverso la realizzazione di unità termoelettriche addizionali alimentate a gas”, ha aggiunto Zorzoli.

Zorzoli ha poi criticato la presunta neutralità tecnologica del piano, che rappresenta uno dei principi fondanti della politica energetica del governo.

“Alla faccia della neutralità tecnologica e del minimo costo! Quando attribuisci un ruolo così importante alla cattura e stoccaggio della CO2, che ha costi molto più alti di altre soluzioni, con grossi problemi di affidabilità e sicurezza, lo fai per tenere in piedi i cicli combinati, anzi per aumentarli”, ha evidenziato Zorzoli (CCS: da 50 anni al servizio delle fossili, ma per il clima tutto fumo e niente arrosto e La tecnologia CCS che non funziona: il caso Shell in Canada).

Il governo è fermo all’apice della crisi energetica

Nel capitolo sulla sicurezza energetica dell’executive summary del nuovo piano ci sono svariati riferimenti a un “aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia” e a “prezzi record dell’energia dalla seconda metà del 2021”.

Non si menziona però mai che nel frattempo i prezzi del gas e dell’energia sono diminuiti a livelli molto più bassi, grazie anche all’effetto equilibratore del mercato.

In altre parole, misure per mettere al sicuro gli approvvigionamenti di gas, costi quel che costi, come se fossimo ancora nel pieno dell’emergenza, senza tenere conto di una dinamica della domanda senza precedenti.

“Nel primo trimestre del 2023, i consumi di gas in Italia sono scesi del 20% rispetto allo stesso trimestre del 2022, che aveva prezzi simili. Ciò è interessante perché ci dice che la reazione alla crisi comporta degli effetti in buona parte permanenti e non legati alla persistenza dei prezzi alti. Un po’ come all’epoca degli shock petroliferi, quando l’industria e i consumatori cambiarono per sempre i loro comportamenti”, ha detto Governatori.

Sicurezza energetica o hub europeo del gas?

Un altro aspetto preoccupante è che il nuovo Pniec sembra confondere la sicurezza degli approvvigionamenti di gas con l’obiettivo di fare dell’Italia lo hub del gas per le esportazioni verso l’Europa centrale, secondo l’analista di ECCO.

“Non è che sia sbagliato che l’Italia concorra alla sicurezza gas europea. Non capisco però perché questo debba essere finanziato con tariffe italiane per rifare la dorsale adriatica o per i due rigassificatori, quando nella migliore delle ipotesi queste cose peseranno sulle bollette gas italiane e nella peggiore sulle tasse degli italiani”, ci ha detto Governatori.

E non si capisce perché questa strategia venga venduta come misura a favore dell’Italia. Se lo si fa per l’Europa, i costi dovrebbero essere condivisi con gli altri Paesi, ha aggiunto.

Capacity market a favore di chi?

Un ulteriore punto critico è il riferimento al capacity market nell’ambito della sicurezza energetica.

È come se si volesse ricorrere ancora agli impianti a gas usati finora in questo ambito, presumibilmente con nuove aste. Questo sarebbe però inaccettabile, secondo Governatori, perché deve arrivare un programma analogo ma molto più aggiornato per sviluppare gli accumuli, con cui si potrà fare tutto quello che il capacity market richiede.

“Se si ricorre ancora al capacity market così come è disegnato oggi, significa che si vuole dare ancora troppi soldi alle nuove centrali a gas, che fino a ora sono state il vero beneficiario del capacity market”, ci ha detto il responsabile elettricità e gas di ECCO.

Questo non avrebbe senso per il clima, ma neanche per la sicurezza della rete, secondo Governatori.

Nel suo nuovo documento sulla sicurezza della rete, Terna dice infatti che bisogna solo evitare che le centrali a gas chiudano troppo rapidamente, ma non che bisogna costruire a spese degli italiani nuove centrali, destinate a durare 30 anni quando dovremo essere già decarbonizzati al 2035, ha aggiunto.

Mobilità elettrica al palo

Il riflesso condizionato pro-gas fossile del governo, nonché la sua “timidezza” nel puntare al ribasso sulle rinnovabili invece che al rialzo rispetto alle potenzialità, si ritrovano anche nel comparto della mobilità sostenibile.

Il numero di veicoli elettrificati previsto nella nuova versione del Pniec è aumentato a 6,6 milioni al 2030, cioè di sole 600mila unità rispetto ai circa 6 milioni della prima versione, risalente ormai al 2019, anche se nel frattempo la tecnologia e il mercato delle auto a batteria hanno fatti passi da gigante.

Il target dei veicoli a batteria o ibridi è stato cioè ritoccato solo del 10%, quando, per fare un esempio, nel solo mese di marzo 2023 le immatricolazioni di auto full-electric, senza cioè contare le ibride, è balzato di quasi l’82% a 8.170 unità rispetto all’anno prima.

La posizione di Elettricità Futura

Un po’ più diplomatico il giudizio di Elettricità Futura.

“L’attuale prima bozza del Pniec è un passo nella giusta direzione che però non rispecchia l’urgente necessità del nostro Paese di aumentare davvero l’indipendenza e la sicurezza energetica”, ha commentato Agostino Re Rebaudengo, Presidente dell’associazione.

La bozza di aggiornamento del Pniec dimostra che c’è la volontà del Governo ad alzare le ambizioni rispetto al vecchio Pniec, ma l’emergenza energetica che abbiamo vissuto, l’attuale emergenza climatica, gli scenari di guerra e l’instabilità politica dei Paesi esportatori di fonti fossili dovrebbero spingere il nostro Paese a puntare, con più coraggio, verso una maggiore autonomia e sostenibilità energetica, secondo Elettricità Futura.

La posizione di Anev

Nonostante l’incremento previsto nella quota di rinnovabili, il loro contributo ancora non basta a realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e transizione energetica, secondo l’Associazione nazionale energia del vento (Anev).

Relativamente all’energia eolica, l’obiettivo al 2030 è di 28.140 MW di cui 2.100 offshore, considerando sia la tecnologia a fondazioni tradizionali che galleggianti. Tali numeri sembrano troppo timidi per il settore off-shore, il cui potenziale è di 11.000 MW, ha scritto l’Anev in una nota.

“Tra le misure per la realizzazione degli obiettivi apprezziamo la menzione ai criteri di semplificazione delle procedure, ma auspichiamo soluzioni ulteriori, più concrete e risolutive”, ha commentato il Presidente dell’associazione, Simone Togni.

Conclusioni

La nuova versione del Pniec doveva allineare il sistema Italia all’evoluzione dei target, delle conoscenze e dei mercati legati a clima ed energia nel corso degli ultimi quattro anni. Invece, c’è ancora molto lavoro da fare per adeguare questa nuova, retrograda, versione del Pniec alla sfida per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione nei soli sei anni e mezzo che rimangono prima della tappa intermedia del 2030.