Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

L'Italia approva per decreto l'invio di materiali militari a supporto del governo ucraino, alimentando un conflitto in cui a guadagnarci sono le aziende produttrici di sistemi antimissili e mitragliatrici. Una decisione che favorisce l'escalation del conflitto e pone la questione del ruolo della Nato e dell'Unione europea

Sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti, mortai. Sono le armi da guerra che l’Italia manderà in Ucraina per difendersi dall’attacco di Mosca. Lo stabilisce il decreto legge approvato l’altro ieri all’unanimità dal consiglio dei ministri che prevede "un intervento per garantire sostegno e assistenza al popolo attraverso la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine". Per la seconda volta nella sua storia, lo Stato italiano decide di cedere gratuitamente (cioè regalare) missili Spike e Stinger, fucili Browning e Mg, oltre a giubbotti antiproiettile, munizioni, caschi e robot per lo sminamento, finanziando così un conflitto per 12 milioni di euro.

La prima è stata nell’agosto del 2014, quando il Parlamento venne richiamato dalle ferie ferragostane per approvare la fornitura di armi ai guerriglieri peshmerga curdi in Iraq, per fermare l’avanzata dell’Isis e la strage della popolazione yazida. Anche in quel caso fu necessaria una preventiva risoluzione delle Camere, senza la quale non sarebbe possibile rendere legittimo un provvedimento che sembra andare contro la nostra stessa Costituzione, che la all’articolo 11 dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

“Anche se la decisione sul piano normativo è legale, rimangono alcuni problemi di fondo – afferma Giorgio Beretta, ricercatore analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa di Brescia, che condanna l'invasione militare dell'Ucraina da parte delle forze armate russe -. Innanzitutto dobbiamo ricordare che l’Italia negli anni scorsi ha inviato armamenti in Russia, anche dopo il 2014, anno in cui è entrato in vigore l’embargo di armi deciso a livello europeo per condannare l’intervento militare in Ucraina. Nonostante l’embargo, negli ultimi sette anni l’Europa ha continuato a esportare materiali bellici per 352 milioni di euro. Ciò dimostra che non è questo il modo per risolvere le crisi internazionali, come afferma la nostra Costituzione e ci pone un quesito sul ruolo diplomatico dell’Unione, di promozione della pace e della distensione”.

I  dati ufficiali delle Relazioni annuali al Parlamento europeo riportano che dal 1998 al 2020 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari dalla Ue all’Ucraina per quasi 509 milioni di euro e consegnati 344 milioni (con una crescita negli ultimi anni), mentre alla Federazione Russa ne sono stati autorizzati per ben 1,9 miliardi di euro e consegnati per 744 milioni di euro. Leaziende militari europee non disdegnano di fare affari sia con Mosca che con Kieve lo stesso avviene negli Stati Uniti. “Basta guardare l’andamento in Borsa delle aziende militari statunitensi – riprende Beretta -: sono le uniche che stanno guadagnando dalla crisi ucraina. Ma anche quelle italiane stanno crescendo. E questo ci dice quanto sia potente l’influenza del complesso militare negli Usa e nei Paesi europei”.

 

Insomma, mentre da una parte si parla di pace, dall’altra si continua ad armare la guerra, usando una massiccia dose di ipocrisia. Perché la decisione dell’Italia (che è in compagnia di Germania, Olanda, Belgio, Lituania, Polonia e Svezia) di inviare materiale bellico all’Ucraina e uomini in Ungheria e Romania, nell’ambito del dispiegamento di forze Nato sul fronte dell’Est, imbocca la strada di un'escalation dei rapporti e non una de-escalation, come dicono gli esperti. “Da entrambe le parti sono state fatte dichiarazioni che vanno verso un’intensificazione del conflitto – spiega Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell'Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo -. L’ultima, sull’allerta degli arsenali nucleari, è preoccupante, anche solo per il fatto di aver detto di volerli usare. Il confine tra guerra convenzionale e guerra atomica oggi si è assottigliato perché esistono armi di minore entità e potenza, cosiddette di teatro, che potrebbero essere impiegate in conflitti come quello in Ucraina, eventualmente contro l’Europa occidentale”.

 

 

Nel mondo esistono 13.150 testate nucleari. Circa l’80 per cento è in mano agli Stati Uniti e alla Russia, un terzo è operativo, cioè pronto per essere utilizzato, il resto giace smontato nei depositi. A questa quota si devono aggiungere le 4mila bombe che sono state ritirate e devono essere smantellate. Un piccolo arsenale è detenuto anche da Cina, Francia, Gran Bretagna, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord. Niente a che vedere con le circa 70mila testate atomiche che incombevano come una minaccia letale durante la Guerra Fredda, ma abbastanza per distruggere più volte la vita sul nostro Pianeta.

Sul territorio italiano sono presenti armi nucleari che non sono di nostra proprietà: 15 bombe statunitensi nella base militare aeronautica di Ghedi, vicino a Brescia, e una ventina nella base aerea americana di Aviano, in provincia di Pordenone. Si è sempre dichiarato che queste presenze hanno un significato politico, di deterrenza, ma se gli Usa stanno spendendo 12 miliardi di dollari per modernizzare le cento bombe che ci sono in tutta Europa e trasformarle in un modello più avanzato, vuol dire che non hanno soltanto una funzione deterrente.

 

 

Ghedi e Aviano potrebbero essere oggetto di bombardamento – spiega Simoncelli -. Se mandiamo sistemi antimissili, mitra e fucili a Kiev, questo ci espone come parte in causa, partecipiamo alla resistenza ucraina mentre dovremmo perseguire una politica di non escalation. Con le armi si uccidono vite umane, russe e ucraine, e l’Italia lo sta avallando. Le sanzioni sono certamente uno strumento alternativo. Poi bisogna tentare la strada della mediazione, impegnarsi negli aiuti umanitari, nell’accoglienza dei profughi, nella realizzazione di corridoi umanitari. I messaggi che stiamo mandando sono di aggressività e non certo tranquillizzanti. Anche affermare la superiorità della Nato rispetto al resto del mondo non è condivisibile. Se voglio essere più forte di te, se mi avvicino con un’arma in mano, non ti sto dando un segnale rassicurante. Questo non giustifica l’azione di Putin, ma bisogna capire gli effetti di quello che stiamo facendo”.

Quella in Ucraina è solo l’ultima guerra in ordine di tempo che dimostra come il mondo sia ancora diviso in “sfere di influenza”. I conflitti in Libia, Afghanistan, Siria, Yemen, Donbass, che lo Stockholm International Peace Research Institute ha definito “internazionalizzati interconnessi”, sono figli della stessa logica. “Con la caduta del Muro di Berlino non si è conclusa questa dottrina che ha pervaso il periodo della Guerra Fredda – dice Beretta –. Tuttora la Nato e gli Usa considerano all’interno della loro area di influenza tutti i Paesi del Sud America, l’Europa e altri Stati come Taiwan. Lo stesso vale per la Russia. Questa logica va smantellata. Va ripensato il ruolo della Nato, che dovrebbe essere chiusa mentre andrebbe creata una difesa europea non solo di carattere militare, ma con corpi civili di pace non armati e non violenti, in grado di intervenire nelle situazioni di crisi”. E l’Onu con i sui Caschi Blu? Non hanno ancora deciso niente, anche perché Russia e Stati Uniti sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza: “Qualsiasi risoluzione può essere fermata dal loro veto – conclude Beretta - e questo è un problema radicale che va risolto”.

Kiev non è sola. Sabato manifestazione nazionale a Roma

 

«Non c’è un più minuto da perdere. Nel momento in cui la guerra uccide e divide, noi dobbiamo lavorare per la pace, per la vita e unire» dice Sergio Bassoli, coordinatore della Rete italiana Pace e disarmo. E così, dopo le tante iniziative contro la guerra dei giorni scorsi, diffuse in decine di piazze del paese, si è deciso di lanciare una manifestazione nazionale a Roma per sabato prossimo, 5 marzo. Si scenderà in piazza in nome dello slogan: «Contro la guerra, cambia la vita. Dai una possibilità alla pace».

NEL TARDO pomeriggio di ieri c’è stata la riunione online, convocata per definire i dettagli organizzativi: «Facendo seguito alle mobilitazioni dei giorni scorsi, visto il peggiorare della situazione in Ucraina, l’aggressione militare russa, gli scontri armati nelle città, le colonne di profughi, la sofferenza della popolazione civile, invitiamo tutte le associazioni, i sindacati che hanno partecipato alla manifestazione di Roma e delle altre città», dicono dalla Rete Pace e disarmo. Dunque, l’appello parte dalle organizzazioni che hanno manifestato a piazza Santi Apostoli sabato scorso: Cgil, Cisl e Uil assieme ad Arci, Anpi, Emergency, Legambiente, Forum Terzo settore.

IL CORTEO PARTIRÀ dalle 13.30 da piazza della Repubblica per arrivare a piazza San Giovanni. Gli organizzatori condannano senza mezzi termini «l’aggressione e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina», chiedono «il ‘cessate il fuoco’ e il ritiro delle truppe» e invocano «l’azione delle Nazioni unite per il disarmo e la neutralità attiva». «Dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche, non aiuti militari – si legge nel testo di convocazione – Protezione, assistenza, diritti alla popolazione di tutta l’Ucraina, senza distinzione di lingua e cultura. Siamo con la società civile, con le lavoratrici e i lavoratori ucraini e russi che si oppongono alla guerra con la nonviolenza». E infine si schierano contro «l’allargamento della Nato» e favore della «sicurezza condivisa». Dai promotori arrivano anche forti critiche alla scelta di inviare armamenti

Il movimento pacifista ucraino chiede alla leadership sia degli stati che delle forze militari di fare un passo indietro e di sedersi al tavolo dei negoziati. Tutte le democrazie sono emerse dalla resistenza ai sovrani sanguinari

Viviamo in tempi difficili che richiedono coraggio per promuovere la pace. Quando le nazioni vicine con una storia intrecciata iniziano a opprimersi, distruggersi e uccidersi a vicenda anno dopo anno, sul proprio territorio o invadendo il territorio del vicino. Quando pubblichi su Facebook che la Carta delle Nazioni Unite richiede una soluzione pacifica di tutte le controversie e, quindi, il presidente Putin della Russia e il presidente Zelensky dell’Ucraina dovrebbero cessare il fuoco e avviare colloqui di pace, e i commenti sono subito traboccanti di oscenità e dannazioni…

Quando viene proclamata la legge marziale e la mobilitazione totale, e i fucili distribuiti a migliaia di soldati della città appena reclutati, e i selfie con i fucili diventano di moda su Facebook, e nessuno sa chi e perché qualcuno improvvisamente spara per strada. Quando anche i civili di un condominio si preparano a incontrare un nemico con bombe molotov, come raccomanda l’esercito, e cancellano dalla loro chat di Viber un vicino percepito come un traditore perché chiama la gente all’attenzione di non bruciare la casa comune e non permettere ai militari di usare i civili come scudo umano.

Quando i suoni lontani delle esplosioni provenienti dalle finestre si mescolano nella mente con messaggi su morte e distruzione, odio, sfiducia e panico e chiamate alle armi, a più spargimenti di sangue per la sovranità, è un’ora buia per l’umanità che dovremmo sopravvivere e superare, e impedire che si ripeta.

Il Movimento pacifista ucraino condanna tutte le azioni militari a fianco di Russia e Ucraina nel contesto del conflitto in corso. Condanniamo la mobilitazione e l’escalation militare all’interno e all’esterno dell’Ucraina, comprese le minacce di guerra nucleare. Chiediamo alla leadership sia degli stati che delle forze militari di fare un passo indietro e di sedersi al tavolo dei negoziati. La pace in Ucraina e nel mondo può essere raggiunta solo in modo non violento. La guerra è un crimine contro l’umanità. Pertanto, siamo determinati a non sostenere alcun tipo di guerra ea lottare per l’eliminazione di tutte le cause di guerra.

È difficile rimanere calmi e lucidi ora, ma con il sostegno della società civile globale è più facile. Gli amici di molti Paesi stanno dimostrando solidarietà e promuovendo attivamente la pace con mezzi pacifici in Ucraina e nei dintorni. Siamo profondamente grati e ispirati qui. Sfortunatamente, anche i guerrafondai stanno spingendo la loro agenda in tutto il mondo. Chiedono maggiori aiuti militari all’Ucraina e sanzioni economiche distruttive contro la Russia.

Le sanzioni che l’Occidente e l’Oriente si stanno imponendo a vicenda a seguito della battaglia USA-Russia per il controllo sull’Ucraina possono indebolirsi ma non dividere il mercato globale delle idee, del lavoro, dei beni e delle finanze, quindi il mercato globale inevitabilmente troverà un modo per soddisfare il suo bisogno nel governo globale. La domanda è: quanto civile e democratico sarà il futuro governo globale; e le alleanze militari, volte a sostenere la sovranità assoluta, stanno promuovendo il dispotismo piuttosto che la democrazia.

Quando i membri della NATO forniscono aiuti militari per sostenere la sovranità del governo ucraino o quando la Russia invia truppe a combattere per l’autoproclamata sovranità dei separatisti di Donetsk e Luhansk, dovresti ricordare che sovranità incontrollata significa spargimento di sangue e la sovranità non è assolutamente un valore democratico: tutte le democrazie sono emerse dalla resistenza ai sovrani sanguinari, individuali e collettivi. I profittatori di guerra dell’Occidente sono la stessa minaccia alla democrazia dei governanti autoritari dell’Est, ei loro tentativi di dividere e governare la Terra sono essenzialmente simili.

La NATO dovrebbe fare un passo indietro dal conflitto intorno all’Ucraina intensificato dal suo sostegno allo sforzo bellico e dalle aspirazioni di appartenenza al governo ucraino e idealmente per dissolversi o trasformarsi in un’alleanza di disarmo invece che in un’alleanza militare.

Gli Stati Uniti dovrebbero inviare un messaggio all’Ucraina che i colloqui di pace tra il governo ei separatisti sono inevitabili, prima è meglio è, e quindi avviare negoziati di pace significativi con la Russia. Suggerisco che entrambi dovrebbero aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, rendendolo un buon esempio per altre grandi potenze, prima fra tutte per la Cina. E tutte le grandi potenze dovrebbero impegnarsi in una governance globale nonviolenta basata sulla cultura della pace, sulla comunicazione universale e sulla cooperazione invece di condannare a fallire gli sforzi per imporre la loro egemonia, globale o regionale, con la forza militare brutale.

L’unica via d’uscita è una ragionevole e urgentissima trattativa diplomatica, anche attraverso un (per quanto difficile) auspicabile e rinnovato ruolo dell’ONU, l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle forze armate russe, l’indipendenza e la neutralità dell’Ucraina al di fuori della Nato

ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani)

Care compagne e cari compagni,

quando scrivo l’esercito russo è alle porte di Kiev. Abbiamo diffuso ieri mattina un comunicato della Segreteria Nazionale in merito. Non è ancora chiara la dimensione dell’invasione russa, i suoi obiettivi militari, la sua durata. Tale operazione è stata definita da Putin come “operazione per smilitarizzare e denazificare l’Ucraina”. Abbiamo condannato fermamente l’invasione per le ragioni esposte nel breve comunicato di ieri della Segreteria nazionale. Aggiungiamo in questa comunicazione interna altre considerazioni più analitiche

SITUAZIONE ATTUALE E POSSIBILI PROSPETTIVE
Ad oggi le reazioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti si limitano ad un inasprimento delle sanzioni. Ma, seppur improbabile, non è del tutto da escludere, anche in rapporto ai non prevedibili sviluppi dell’operazione militare in Ucraina, una risposta sullo stesso terreno che potrebbe essere messa in atto dalla Nato o, più difficilmente, dagli stessi Stati Uniti. Se all’azione militare russa dovesse corrispondere una reazione militare della Nato, l’Europa e forse il mondo precipiterebbero in un conflitto dall’esito catastrofico. Ma anche se ciò non avvenisse, lo strappo della Federazione russa determinerà pesantissime conseguenze anche sul lungo periodo, rafforzando le posizioni di aspro contrasto con la Russia da parte di tanti Paesi dell’Est, come la Polonia e le Repubbliche baltiche, e in qualche modo si giustificherebbe la presenza della Nato al confine orientale come deterrenza nei confronti dell’espansionismo russo. L’invasione presumibilmente rafforzerà non solo le formazioni di destra ma anche i gruppi e le organizzazioni fasciste, naziste e oscurantiste presenti in tutta l’Unione Europea dando ulteriore respiro all’idea di “Europa fortezza” che si è sviluppata negli ultimi anni: chiusa a sud e sud-est ai migranti e chiusa ad est alla Federazione russa; assieme, si legittimerebbe l’idea della Nato come braccio armato dell’Occidente, una Nato che in più occasioni ha violato nel passato la sua missione esclusiva di intervenire solo nel caso di aggressione ad uno dei Paesi membri. Così è avvenuto nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, in Libia.
C’è da aggiungere che le tensioni in corso hanno già determinato uno straordinario incremento dei prezzi delle fonti di energia, che tale incremento sta ancora aumentando, che le sanzioni provocheranno sì danno alla Russia, ma anche danni pesanti (forse maggiori) all’Unione Europea ed in particolare all’Italia portando a livelli di allarme sociale il tasso di inflazione e colpendo la crescita con gravissime conseguenze per l’economia ma in particolare per i ceti popolari.
In questa situazione così difficile e complessa ma specialmente drammatica, occorre avere un visione molto chiara ed approfondita, cioè non propagandistica, ed aprire una battaglia su obiettivi di progresso e assieme realistici.

 LE ORIGINI
L’invasione russa è il punto di arrivo di tensioni e polemiche, alle volte molto violente, non solo fra Stati Uniti e Federazione russa, ma specificamente fra l’Unione Europea e la Federazione russa, in particolare da quando sono entrati nell’Unione Europea (e nella Nato) i Paesi dell’Est. È essenziale sottolineare inoltre la giustificata preoccupazione della Russia per il proliferare della presenza della Nato nei Paesi dell’Est a fronte di un accordo definito verbale (ma di cui sembra che si ritrovino anche tracce ufficiali), in base al quale dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica ci si impegnava a non far entrare nella Nato i Paesi dell’ex blocco dell’Est.

STRENUA DIFESA DEL MULTIPOLARISMO
Il mondo disegnato dalla caduta del muro di Berlino in poi è un mondo multipolare dove dovevano andare in frantumi le rigide divisioni segnate dai due blocchi della guerra fredda e doveva prevalere un clima di coesistenza pacifica. Non c’è solo la Cina come Paese emergente e potenzialmente leader dell’economia mondiale; ci sono altri soggetti come l’India, l’Africa del Sud, i Paesi dell’America Latina, la stessa Unione Europea. Un mondo ridisegnato non più alle dipendenze delle due superpotenze. Questo mondo multilaterale, policentrico, pacifico, già minato da un trentennio di tensioni e di nuova guerra fredda di cui non si vede traccia autocritica nei comportamenti e nelle dichiarazioni degli States, dell’UE e della Nato, viene messo definitivamente in discussione dall’invasione dell’Ucraina guidata da una logica oggettivamente imperiale, se si considerano le parole di Putin relative alla storia plurisecolare della Russia. Dobbiamo a maggior ragione rivendicare oggi, al tempo della globalizzazione e nel pieno di una pandemia che ha rivelato la fragilità del genere umano davanti all’attacco invisibile del virus, la necessità di un mondo davvero multipolare, in cui le alleanze politiche e militari non siano più imperniate sull’idea dell’amico-nemico, ma siano strumento di collaborazione politica ed economica fra i popoli del mondo. Non va dimenticato che sullo sfondo rimane un’altra area di grave tensione: Taiwan.

LA NATO
Perciò la Nato deve essere profondamente riformata limitando rigorosamente i suoi compiti all’azione di difesa dei Paesi membri, contestando la sindrome di onnipotenza di cui da tempo soffre, criticando il doppiopesismo che ha assunto in varie circostanze, come quando davanti all’aggressione di Erdogan nei confronti dei curdi siriani (ottobre 2019) il Segretario generale della Nato Stoltenberg, invece di una chiara condanna, utilizzò imbarazzate e imbarazzanti parole di comprensione verso la Turchia. La Nato nacque nel 1949 contro il blocco dell’est. La sua funzione storica si è obiettivamente esaurita, e la sua permanenza è diventata fattore di destabilizzazione e di freno alla coesistenza pacifica. Ma la richiesta di uscita dalla Nato nel mondo attuale, dati i reali rapporti di forza, è obiettivamente utopistica. La Nato va quindi vincolata ai suoi compiti esclusivamente difensivi.

L’ONU
L’Onu è da tempo un gigante impotente, come è evidente anche davanti alla crisi ucraina. Va riformata la sua struttura a cominciare dal Consiglio di Sicurezza che, rappresentando le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, è costantemente bloccata dai veti reciproci limitandosi, quando riesce, ad approvare risoluzioni che non trovano poi pratica applicazione nei rapporti internazionali. Oggi non hanno di fatto voce grandi Paesi come l’India, il Brasile, l’Africa del Sud e più in generale l’ONU non ha un ruolo significativo né come deterrente verso i focolai di guerra né come strumento per contrastare le diseguaglianze nel mondo. L’obiettivo è far sì che l’ONU diventi la struttura sovranazionale garante di una nuova coesistenza pacifica alla base del nuovo ordine mondiale.

I NAZISTI E L’UCRAINA
Perché Putin parla di denazificazione? In premessa c’è da dire che non sempre Putin ha tenuto le debite distanze da personaggi ambigui o esplicitamente dell’estrema destra russa, come per esempio (ma si potrebbero fare molti altri esempi) il “filosofo” Alexander Dugin, oscurantista, esoterico, ammiratore di Julius Evola e teorizzatore della fondazione di un impero euro-asiatico con al centro Mosca. Detto questo, la preoccupazione di Putin corrisponde ad una presenza vera, reale e molto consistenti organizzazioni naziste in Ucraina.
La storia dell’Ucraina dal colpo di forza successivo a Maidan (2014) non corrisponde affatto, come vuole la narrazione dominante, allo stereotipo delle democrazie occidentali, ma è profondamente inquinata da forze e comportamenti esplicitamente nazisti: la presenza spesso determinante anche nel governo di diverse organizzazioni nazifasciste come Svoboda (il cui primo nome era Partito Socialnazionalista Ucraino), Pravji Sector, organizzazione paramilitare organicamente connessa col famigerato Battaglione Azov, e altre organizzazioni. Sono stati rivalutati criminali di guerra collaborazionisti e responsabili di efferate stragi in particolare di ebrei, come Stepan Bandera, oggi eroe nazionale dell’Ucraina. Queste forze sono le responsabili del massacro e dell’incendio della sede dei sindacati di Odessa (2014). Il Battaglione Azov, prima formato da volontari di estrema destra e poi assorbito nelle Forze Armate ucraine, è una organizzazione militare nazista, come attestato dai suoi simboli che riproducono in modo fedele o lievemente deformato la svastica e il sole nero fortemente voluto da Himmler, da tante dichiarazioni dei suoi esponenti, dalle sue azioni violentissime e criminali. Tale battaglione, famigerato per le sue efferatezze e crudeltà, è stato mandato all’attacco dalle autorità di Kiev nel corso della vera e propria guerra contro il Donbass che dura da otto anni e che ha causato decine di migliaia di vittime. Il fondatore del battaglione Andriy Biletsky, intervistato da Repubblica il 23 febbraio e in quella sede dichiaratosi
assolutamente non antisemita, né nazista, né fascista, è noto come il “Fuhrer bianco” avendo sottolineato (parole sue) “la purezza razziale della nazione Ucraina, impedendo che i suoi geni si mischino con quelli di razze inferiori”, svolgendo così “la sua missione storica di guida della Razza Bianca globale nella sua crociata finale per la sopravvivenza”. Vanno rimarcate le gravissime responsabilità degli Stati Uniti nel sostegno al colpo di forza del 2014 e ai governi successivi e la grave miopia dell’Unione Europea che ha sempre sostenuto acriticamente Kiev senza mai mettere a fuoco la pesantissima infiltrazione nazifascista nei gangli del potere ucraino, le sue decisioni discriminatorie come l’abolizione dell’insegnamento della lingua russa in una terra russofona, in una più generale rimozione, da parte dell’UE, del crescere del fenomeno neonazista e neofascista in Europa.

PER UNA NUOVA DEMOCRAZIA
Tutto ciò va denunciato e condannato con la massima chiarezza, ma non può giustificare un’invasione militare motivata da una sorta di nuovo irredentismo che viola il principio dell’autodeterminazione dei popoli e l’idea stessa di un mondo multipolare che è tale se si regge sulla non ingerenza negli affari di un altro Stato, sul contrasto a qualsiasi visione imperiale e a qualsiasi divisione del mondo fra grandi potenze.
Da ciò deriva l’assoluta nettezza della posizione della Segreteria Nazionale che ha condannato fermamente l’invasione dell’Ucraina in base a un principio di legalità internazionale che va sempre rispettato e la cui violazione va sempre aspramente denunciata. La difesa dei princìpi di democrazia e di autonomia dei popoli non può essere un espediente retorico e tanto meno un’affermazione ipocrita, ma deve essere una regola rigorosa, valida sempre e per tutti, a oriente e occidente, nella prospettiva sostenuta dall’ANPI di un’espansione della democrazia e dei diritti civili e sociali. Va promosso l’orizzonte di una nuova, piena democrazia, dove si valorizzi il nesso fra rappresentanza e partecipazione popolare, contrastando la deriva plebiscitaria delle cosiddette “democrature” e superando lo stallo presente oggi nelle stesse democrazie occidentali e nella UE.

LE PROPOSTE PER LA PACE
In questo scenario l’unica via d’uscita è, anche attraverso un (per quanto difficile) auspicabile e rinnovato ruolo dell’ONU, l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle forze armate russe, l’indipendenza e la neutralità dell’Ucraina al di fuori della Nato e dell’Unione Europa in base a una ragionevole e urgentissima trattativa diplomatica, l’autonomia (prevista dagli accordi di Minsk ma mai realizzata da Kiev) delle regioni del Donbass, l’isolamento e la condanna delle formazioni nazifasciste, in un clima di costruzione di una concordia nazionale assente dai tempi del colpo di forza del 2014. C’è da aggiungere l’avvio di trattative per la progressiva smilitarizzazione dei confini fra i Paesi dell’est (Estonia e Lettonia confinano con la Federazione russa, la Lituania confina con la Bielorussia a pochi chilometri dalla frontiera russa) e la Russia da entrambe le parti in forme e modalità concordate. Ed infine, per quanto riguarda il nostro Paese, il rispetto assoluto e incondizionato dell’art. 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra....”), il che vuol dire evitare ad ogni costo il coinvolgimento dell’Italia negli eventuali sviluppi militari del conflitto. Non dimentichiamo mai che l’Italia è piena di basi militari USA e NATO e che da giorni dall’aeroporto di Sigonella decollano i droni di ricognizione sull’Ucraina.

Gianfranco Pagliarulo

Presidente nazionale dell'ANPI

Dopo la condanna unanime di Putin, occorre decidere "che fare". Per noi pacifisti essere "contro la guerra in Ucraina" significa adesso essere "contro l'escalation militare", con terribili rischi nucleari. Dobbiamo essere contro il coinvolgimento dell'Europa che prevede l'invio di armi.

 Dopo una prima fase di unanimità nel condannare l'invasione russa dell'Ucraina, si profila ora una seconda fase del dibattito nella quale si confronteranno due visioni opposte ed emergeranno sostanziali differenze fra: 
  • chi vuole inviare armi e volontari, avviando di fatto una guerra per procura che trasformerebbe di fatto l'Unione Europea in uno stato co-belligerante che sostiene militarmente l'Ucraina;
  • chi è contro l'escalation militare e considera estremamente pericoloso il rischio di un confronto nucleare sempre più esplicito, con l'allertamento delle basi missilistiche e un ritorno ai giorni più bui della Guerra Fredda.

Il movimento pacifista, che si  sta ristrutturando con sorprendente rapidità, deve far sentire la propria voce a sostegno di questa seconda scelta e opponendosi in modo netto alla prima.

La prima scelta, quella di inviare armi e volontari (se non addirittura mercenari), costituisce la grave premessa per un corollario non meno grave: il riarmo di tutta l'Europa e un'ingente aumento delle spese militari. Già la Germania ha stanziato, nel giro di poche ore, cento miliardi di euro per aumentare il proprio budget militare. La coalizione rosso-verde tedesca rischia di tradire gli ideali di pace di Willy Brandt, mentre mezzo milione di tedeschi hanno manifestato a Berlino per la pace. Il movimento per la pace deve prendere nettamente le distanze da questa sinistra con l'elmetto che tanti danni ha fatto in passato (basti pensare all'Afghanistan) e deve far sentire la propria voce terza e indipendente sia da Putin sia dalle sirene del riarmo e della "guerra giusta". 

Noi non ci arruoliamo nella "guerra giusta", ma faremo sentire la nostra voce a favore del cessate il fuoco e la protezione dei civili.  LEGGI TUTTO L'ARTICOLO