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INNOVAZIONE. I modelli di linguaggio di ChatGPT, sono “pappagalli stocastici”, replicano ogni discorso ascoltato, senza associare alle parole significato o comprensione

Scrivi cosa vuoi, l'intelligenza artificiale lo disegna

È impossibile ignorare il rumoroso dibattito sull’intelligenza artificiale causato dal lancio di ChatGPT, uno strumento che OpenAI, ha reso pubblico lo scorso novembre. Si può interagire con un bot che risponde a domande scritte, instaurando una conversazione plausibile su temi anche complessi, eseguendo ordini per realizzare testi scritti, componimenti, poesie, sceneggiature o piccoli saggi, con bibliografia inventata inclusa. Il bot commette errori stupidi, mentre fornisce repliche a questioni scientificamente difficili in modo semplice e pertinente, mischiando risposte giuste e sbagliate. È un sistema sintattico, non sa ciò di cui parla, ma è convincente nel simulare interazioni testuali.

Siamo costretti a svolgere lo scomodo ruolo di correttori della macchina che si presume intelligente, ma è inaffidabile. Nonostante le imprecisioni, la chat ha conquistato l’interesse di Microsoft che vorrebbe integrarla nel suo motore di ricerca Bing, e per questo investirà nel progetto altri 10 miliardi di dollari, portando la valutazione di OpenAI a 29 miliardi.

I modelli di linguaggio generativi a cui appartiene ChatGPT, sono “pappagalli stocastici”, o nuove versioni della ninfa Eco, capace di replicare ogni discorso ascoltato, senza associare alle parole significato o comprensione. Molte delle nostre attività intellettuali passano per la scrittura di testi e il sistema può simulare una capacità linguistica associata a livelli cognitivi medio-bassi o in formazione. La questione dei compiti a casa, infatti, è una delle maggiori preoccupazioni.

Come sarà possibile accertare che i compiti assegnati come temi o risposte a domande scientifiche siano davvero il frutto del lavoro cognitivo degli studenti? Il dato è tratto: bisognerà conviverci anche a scuola, immaginando strategie, selezionando attività e progettando metodi per lo sviluppo della creatività degli studenti. Il problema non è tanto la capacità reale dei bot, ma la tendenza a delegare loro funzioni umane, compresa quella artistica.

I modelli generativi per la riproduzione del linguaggio, oltre che delle immagini (Dall-E, Midjourney, Stable Diffusion e altri), sono complessi sistemi sociotecnici che hanno al loro interno diversi strati di attività svolti direttamente dall’intelligenza umana. Ad alto livello troviamo i programmatori che definiscono regole e vincoli per analizzare enormi quantità di dati, disponibili nei corpora testuali delle pagine web realizzate da persone, o nelle immagini usate per l’addestramento.

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Ci sono anche altri interventi umani come segnala un articolo di Billy Perrigo del 18 gennaio scorso su The Time: lavoratori kenioti pagati meno di 1.50 dollari all’ora, impegnati, per conto di OpenAI, a etichettare discorso di odio, espressioni di violenza sessuale e altro materiale esplicito per insegnare alla macchina a non riprodurre certe frasi. L’educazione sentimentale della macchina, potremmo dire. Lavoratori sfruttati, parte integrante del complesso sistema industriale che ha contribuito ad automatizzare il servizio.

Altri soggetti umani intervengono per i controlli di qualità, compresi noi che interroghiamo il Chatbot e restituiamo il nostro feedback, a sua volta analizzato da personale specializzato. Non si tratta, quindi, di un apparato autonomo e indipendente, ma della cattura di un processo di intelligenza collettiva, standardizzata, e intrappolata in un sistema che la restituisce nella forma di una mimesis prefabbricata e ripetitiva. Il meccanismo calcola la probabilità statistica che a una certa parola o insieme di parole (token) ne segua un altro. Per questo predilige affermazioni convenzionali, banali, normali.

ChatGPT ci potrebbe aiutare a distinguere tra differenza e ripetizione nel linguaggio. Le formule retoriche inutili, contro le parole che non abbiamo mai pensato, imprevedibili. Potremmo confinare alla macchina i convenevoli noiosi. Ma per farlo dovremo governare la politica del processo di automazione. Viviamo tempi di interregno, come suggerisce Benedetto Vecchi, nel suo libro postumo Tecnoutopie (DeriveApprodi, 2022), citando Gramsci: il vecchio non è ancora morto e il nuovo stenta a nascere.

Non ci sono esiti deterministici nell’adozione delle tecnologie. Occorre, però, gestire i processi e non esserne gestiti, pena il percorso a ritroso dalla liberazione che la scienza moderna ci ha offerto, con il rientro nella minorità dalla quale i Lumi ci avevano faticosamente estolto. Che ne sarebbe della scrittura se il sistema dovesse addestrarsi solo su testi che ha autoprodotto, e le persone non sapessero più leggere o scrivere?

Potremmo entrare, forse, in un’era in cui creazione e trasmissione della conoscenza non dipenderebbero solo da una agency umana, né dovrebbero per forza avvenire in forma testuale. Potremmo sperare in una eterogenesi dei fini delle macchine, che le sottrarrebbe al loro destino normativo e prevedibile, ma è improbabile. La scrittura è una tecnologia inventata poco più di cinquemila anni fa, e potrebbe finire come metodo per esternalizzare la memoria umana. Il futuro sarà il risultato di decisioni che prenderemo insieme.

Billy Perrigo Exclusive: OpenAI Used Kenyan Workers on Less Than $2 Per Hour to Make ChatGPT Less Toxic The Time, 18 Jan 2023

 

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INTERVISTA. Gianfranco Viesti, economista all'università di Bari, tra i principali critici della "secessione dei ricchi" e promotore della proposta di legge contro il progetto Calderoli: "Le destre creeranno un’Italia irriconoscibile: un potere statale ridotto al lumicino e città schiacciate da Regioni-stato che andrebbero ciascuna per conto proprio"

 Gianfranco Viesti (Università di Bari)

Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, lei è uno dei principali critici dell’«autonomia differenziata». Sulla rivista «Il Mulino» ha scritto un articolo in cui sostiene che il Pd è responsabile quanto la Lega della «secessione dei ricchi». Perché?
Cerco di avere un atteggiamento costruttivo e auspico che il futuro sia diverso dal passato. Però se guardo al passato vedo un ruolo decisivo dell’Emilia Romagna, e del suo presidente Stefano Bonaccini, oggi candidato alla segreteria del Pd, nel fare diventare le richieste estreme del Veneto e della Lombardia, governate dai leghisti, una materia su cui discutere seriamente. Ho ricostruito nel dettaglio queste vicende dal 2017 a oggi. Da allora il Pd ha molte difficoltà a esprimersi su un tema di assoluta rilevanza politica. Sicuramente al suo interno ci sono idee anche molto diverse. Io non partecipo alle loro vicende congressuali e ho rispetto dell’importanza della discussione in corso. Ma mi auguro che prendano una posizione forte e unitaria su una questione che interessa il futuro della scuola e dell’università, della sanità e dei trasporti, delle politiche ambientali, dell’energia o dei beni culturali. Decidere chi fa queste politiche significa dire quale Italia si vuole.

In cosa si differenzia la proposta di Bonaccini da quella leghista di Calderoli?
Prendo atto con piacere che Bonaccini dichiari di non volere, al contrario di altre regioni, più risorse a danno di altri territori. E non vuole regionalizzare la scuola. Però nelle carte trovo tanti riferimenti anche per l’Emilia a fondi speciali.

Cosa sono?
Vorrei saperlo anch’io. Cosa si intende per «fondo integrativo per il personale sanitario»? La sostanza è proprio nei dettagli. E finora l’Emilia ha accettato la logica per cui si fanno intese generali e poi la definizione dei dettagli è demandata a commissioni paritetiche Stato-regioni.

E chiede per sé molte competenze…
Sì, non sono tutte, ma sono molto pesanti. L’Emilia Romagna vuole la regionalizzazione dei musei statali, ad esempio. Cosa accadrebbe se lo facesse anche il Lazio? Ci piacerebbe un paese senza una rete di istituzioni culturali nazionali?

Bonaccini le ha risposto su twitter che ha la posizione del Pd. Peppe Provenzano ha ribattuto che non è così: il Pd ha criticato le pre-intese del 2018 e il lavoro del «Conte 1». E sono d’accordo sulla definizione dei Lep. Elly Schlein, l’ex vice di Bonaccini e candidata alla segreteria Pd, ha detto che vogliono discuterne in Parlamento. Invece di un’autonomia diversamente differenziata non dovrebbero opporsi all’intero progetto?
Secondo me sì. Un conto è parlare di decentrare alcune competenze amministrative; ma allora ci si deve chiedere: perché solo ad alcune regioni? Se invece parliamo, come in questo caso, di competenze legislative, allora il discorso cambia. Davvero vogliamo dare alle regioni potere sovrano sulle politiche energetiche? O cancellare quello che resta del Servizio sanitario nazionale?

Ha capito che tipo di regionalismo vuole il Pd?
Di base, da una forza di centro-sinistra, mi aspetterei un regionalismo bene organizzato, equilibrato, e una battaglia per fare funzionare lo Stato. Prima di parlare di differenziazione, bisognerebbe mettere a posto il regionalismo varato nel 2001. Funziona malissimo. Mancano le leggi cornice che sono compito dello Stato. Tutta la parte finanziaria è inattuata. Ci vuole una riflessione sul riparto delle competenze. Penso alle grandi infrastrutture di rete e all’energia per cominciare. Le proposte sull’autonomia, e oggi il testo di Calderoli, non risolvono questi problemi e ne aggiungono altri.

Se passasse il progetto delle destre che tipo di paese avremo?
Sarà irriconoscibile, diverso da qualsiasi altro nel mondo, con un potere statale ridotto al lumicino, le città schiacciate dalle regioni e Regioni-stato che andrebbero ciascuna per conto proprio.

Ci sarà lo scambio tra Meloni che vuole il presidenzialismo, e i leghisti che si giocano tutto sull’autonomia?
Lo vedremo. Storicamente hanno visioni quasi opposte. Non dimentichiamo che nel 2014 Giorgia Meloni è stata prima firmataria di un progetto di legge di riforma costituzionale che voleva abolire le regioni.

Lei è uno dei promotori della proposta di legge di iniziativa popolare di riforma degli articoli 116 e 117 della Costituzione. In cosa consiste, perché firmarla e a cosa servirà?
Ho aderito all’iniziativa di Massimo Villone. Firmarla serve per costringere il Parlamento a discuterne, animare il dibattito politico su questi temi che è sopito per intelligente scelta dei cosiddetti secessionisti. Gli italiani infatti non ne sanno niente e loro su questo ci marciano. Nel merito la proposta tende non a cancellare il terzo comma dell’articolo 116 ma a introdurre due principi importanti: ci deve essere una motivazione chiara del perché una regione chiede una competenza specifica; bisogna lasciare la parola finale agli italiani prevedendo la possibilità di un referendum. Oggi è impossibile.

Perché?
Questa legge è rinforzata. Significa che non può essere oggetto di consultazione popolare, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Se il Parlamento ratifica un’intesa grazie al testo Calderoli l’autonomia differenziata sarà irreversibile. Pensiamoci

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REGIONALI. Dietro la candidatura di D’Amato c’è il potere della sanità, migliore di quello della Lombardia, ma fondato sull’intreccio tra la burocrazia delle grandi Asl e gli interessi privati

Nella partita delle regionali non tutte le sconfitte sono uguali Illustrazione di Ludovica Valori

Alcuni autorevoli sottoscrittori dell’Appello last minute per un accordo Pd-M5S alle elezioni nel Lazio, di fronte all’insuccesso dell’appello esprimono pubblicamente, anche su questo giornale, la tentazione di astenersi dal voto, attribuendo pari responsabilità ai due contendenti e considerando la partita persa comunque. La delusione e lo sconcerto sono più che comprensibili, ma la gravità della situazione esige un approfondimento dell’analisi degli avvenimenti accaduti e delle prospettive che abbiamo davanti, in Italia oltre che nel Lazio.

Le vicende del mancato accordo le ha qui descritte il 7 gennaio Stefano Fassina, che, come Fratoianni, ha cercato per mesi di renderlo possibile. Il fatto è che dietro l’indiscutibilità della candidatura di D’Amato – non a caso avanzata da Calenda – c’è il peso del sistema di potere della sanità nel Lazio, certo più efficiente di quello della Lombardia, ma anch’esso fondato sull’intreccio tra la burocrazia delle grandi Asl e i fortissimi interessi privati del settore. Così come dietro il megaincineritore di Santa Palomba c’è un Sindaco che si fa Commissario straordinario per poter superare il Piano regionale dei rifiuti e consentire agli apparati del Campidoglio di gestire insieme a grandi imprese private un affare da centinaia di milioni. Dimostrando che il Pd, anche nel Lazio, è soprattutto apparati di potere che distribuiscono appalti e concessioni riprendendo una non-politica del territorio fondata su cemento, automobile e “grandi opere”.

Anche per questo, nel Lazio tutti i sondaggi degli ultimi due anni hanno dato la destra vincente anche sulla coalizione Pd-M5S. Mentre in Lombardia, dove da decenni il Pd è fuori dal sistema di potere della Regione e della Sanità, riesce a prevalere l’originaria matrice progressista del partito, portando alla candidatura Maiorino e all’accordo con sinistra e M5S, con qualche chance di vittoria per la spaccatura della destra.

Invece nel Lazio, con la legge elettorale vigente, il massimo che si è riusciti a fare è una coalizione tra un Polo progressista, composto da forze di sinistra ed ecologiste, e il M5S. Con scarse chance di vittoria, ma la concreta possibilità di un risultato complessivo che veda il Presidente di destra privo della maggioranza in Consiglio regionale, come Zingaretti cinque anni fa. In tal caso, anche per le divisioni interne alla destra, si apriranno spazi di iniziativa e di manovra all’opposizione di sinistra su questioni importanti, a partire dall’autonomia differenziata.

Anche sul piano nazionale le prospettive sono abbastanza chiare. Un governo di destra a guida postfascista sta preparando una controriforma della Costituzione centrata sull’autoritarismo presidenzialista e sulla frantumazione dell’ordinamento giuridico ed economico-sociale indotta dall’autonomia differenziata, in parallelo ad un indirizzo neocorporativo che aumenta le disuguaglianze attaccando le condizioni di vita e di lavoro dei ceti popolari. Le elezioni del 25 settembre hanno dimostrato che il Pd del “ma anche” non convince l’elettorato perché sulle questioni fondamentali della guerra e dell’”agenda Draghi” in economia ha le stesse posizioni della destra, e su molte altre se ne discosta di poco. Perciò, anche un “campo” comunque allargato, se guidato da questo Pd o da uno simile, sulla linea del “ma anche” non ha alcuna possibilità di reggere un attacco che porta a compimento tendenze di lungo periodo, appoggiate dai grandi interessi privati e dai loro media.

L’alternativa è la costituzione di un fronte di difesa della Costituzione e di piena attuazione dei suoi principi, composto anche da forze del versante progressista del Pd, per come usciranno da questo Congresso. Per offrire rappresentanza agli ampi settori dell’elettorato popolare e di ceto medio che oggi si astengono dal voto, attraverso un programma radicalmente opposto a quello della destra, che ne sappia interpretare le esigenze ed i bisogni reali.

Per realizzare tale obiettivo occorre che questo fronte, il più ampio possibile, faccia perno su un polo progressista con le idee chiare e la capacità di comunicarle. E una buona affermazione del fronte progressista in Lombardia, nel Lazio e nel Friuli sarà un primo passo in questa direzione. In ogni caso, un fatto è certo: un elettore di sinistra che, nel Lazio o altrove, si astiene o vota liste sicuramente a perdere, è come se votasse a destra. Il punto centrale, qui ed ora, sta in questa considerazione oggettiva, che non può non prevalere sugli stati d’animo soggettivi, di delusione, sconcerto, rancore, per quanto comprensibili possano essere

 

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Il governo ha rastrellato risorse per i condoni e la flat tax alle partite Iva, senza alcuna attenzione all'aumento dell'inflazione. I soldi disponibili sono stati spesi male

L’inflazione è tutta farina di Giorgetti e Meloni

 

L’inflazione è un pericolo per Italia. La più alta d’Europa, il doppio della Spagna. L’errore del governo sulle accise è grave e spinge l’inflazione, come l’aumento delle tariffe autostradali, ma il difetto più grave è che non ha una politica per controllare e contrastare l’inflazione, come conferma il prezzo del gas che sale mentre cala sui mercati.

La Bce prima ha sbagliato sull’inflazione al 2%, sottovalutando la guerra e i suoi contraccolpi, poi ha virato bruscamente tornando a prima del Draghi di whatever it takes aumentando i tassi di interesse, a ruota della Fed, come da dottrina monetarista, socialmente ingiusta ed economicamente perdente. Peggio: la Bce ha raddoppiato con la decisione di non comprare più debito degli Stati nazionali. Per questo il governo dovrebbe avere una politica e avanzare proposte a livello europeo.

La decisione di prelevare un quarto di quanto deciso da Draghi dagli extra profitti delle aziende che hanno speculato sull’esplosione dei prezzi delle fonti energetiche ha aperto una voragine di 7,5 miliardi nei conti pubblici. Da qui il taglio dello sconto sulle accise dei carburanti. Da qui anche la durezza dell’attacco al reddito di cittadinanza e il forte taglio alla rivalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo, 17 miliardi in 3 anni.

Il ministro dell’economia Giorgetti ha dimostrato di non avere idee su una terapia anti inflazione e Meloni ha scaricato la responsabilità degli aumenti dei carburanti sulla rete di vendita (ora corre ai ripari) motivandola come una misura di equità. Una assurdità. Il governo ha rastrellato risorse per i condoni e la flat tax alle partite Iva, senza alcuna attenzione all’aumento dell’inflazione. I soldi disponibili sono stati spesi male.

Un bene indispensabile come il carburante può recuperare equità con la tassazione dei redditi più alti, bollo compreso, con sostegni ai redditi bassi, ecc. non dai prezzi alla pompa e il loro aumento spinge l’inflazione, in più gli aumenti incidono su chi trasporta merci e quindi sui prezzi finali.

La gestione di Giorgetti dell’economia è deludente, attento solo ai saldi finali ma senza idee e senza coraggio. Invece il ruolo del Mef sarebbe decisivo per politiche di sistema. Un esempio: Calderoli, leghista come Giorgetti, nella bozza per l’autonomia regionale differenziata arriva a dare 30 giorni al Mef per pronunciarsi sulle norme e trovare le risorse, altrimenti il governo (cioè lui) avvierebbe comunque la trattativa con le regioni per il trasferimento dei poteri dallo Stato, senza riguardo per i conti pubblici, e l’equilibrio territoriale. Mai esistita una norma del genere.

A dicembre l’inflazione è arrivata a un + 11,6%, rendendo più difficile la concorrenza dei prodotti italiani e drenando risorse ingenti dai redditi fissi e dal risparmio. Se prima fa aumentare le entrate, dopo l’inflazione, invece, diventa un cappio al collo per le finanze pubbliche perché aumentano le uscite e il costo del debito pubblico. Inoltre l’inflazione scarica sui redditi fissi e su quelli bassi il peso degli aumenti, quindi più povertà, più divaricazione sociale.

Se i contratti dei lavoratori dipendenti non vengono rinnovati a livelli adeguati viene programmata una riduzione dei salari. Anche introdurre il salario minimo sarebbe molto utile. Se salari, redditi fissi, pensioni e piccolo risparmio vengono erosi, la domanda interna diminuisce e la recessione è alle porte. Le esportazioni non potranno compensare visto che l’economia mondiale sta rallentando sotto i colpi della guerra e del Covid.

La cultura del controllo delle variabili economiche, compresi i prezzi, è stata accantonata, con il risultato che chi poteva i prezzi li ha aumentati, ma così l’inflazione va fuori controllo. Il paragone può essere con il passaggio lira/euro, quando il mancato controllo (di Tremonti) dei prezzi creò più inflazione.

Il governo dovrebbe esplicitare gli obiettivi, convocare tavoli di concertazione, adottare normative e strumentazioni che oggi mancano. Inoltre il 31 marzo scadranno tutti gli interventi di sostegno, un incubo. I lavoratori dipendenti italiani in 20 anni hanno perso il 3 % dei salari, unici in Europa. Non ci sono spazi per riduzioni dei salari.

Il governo dovrebbe adottare una politica anti inflazione per scongiurare il peggio, costruendo un confronto con le forze sociali, sindacati in testa, mettendo in sicurezza i fondamenti della tenuta sociale del paese: sanità, scuola, ricerca, università, assistenza, previdenza.

L’opposizione dovrebbe preparare proposte e pretendere un confronto parlamentare su come contrastare l’inflazione

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Spanish acting Prime Minister Pedro Sanchez speaks during the investiture debate at the Spanish Parliament on July 22, 2019 in Madrid, Spain. Spanish... Pedro Sanchez

Il dibattito sul congresso del Pd sembra risucchiato dall’eterno ritorno del medesimo, una semplificazione sui nomi che, a mio parere, non aiuta. Il tema non è chi, ma cosa. Cosa fare per rianimare, rigenerare. Come mettere in campo una proposta di sinistra, socialista nel Paese.
Certo le leadership contano, e io rispetto i candidati alla segreteria, ma conterebbero di più se fosse chiara la visione d’insieme. In questo senso, può tornare utile alzare lo sguardo dalla dimensione nazionale a quella europea. Qui incontriamo una storia di cambiamento che suscita speranze perché dimostra che si può fare.

Il governo di Pedro Sánchez, leader del partito socialista spagnolo, è nato a gennaio 2020. Un governo di minoranza (Psoe e Unidas Podemos, con l’astensione di Esquerra Republicana). Governo che ha introdotto l’Ingreso minimo vital, che oggi coinvolge 1.2 milioni di persone e che ha approvato l’innalzamento del salario minimo (da 735 a 1000 euro al mese), e una legge per la maggior tutela dei rider. All’inizio del 2022 l’esecutivo ha varato un’importante riforma del mercato lavoro, fortemente voluta dalla ministra Yolanda Díaz. Obbiettivo principale la limitazione del contratto a tempo determinato, relegato ai casi di stagionalità, picchi di produzione e sostituzioni. L’indeterminato, di contro, è stato rafforzato e costituisce ad oggi la via d’accesso ordinaria al mercato del lavoro. In aumento del 238%, per la prima volta interessa in maniera sostanziale anche i lavoratori giovani (+142%). Importanti anche i risultati sulla disoccupazione, in calo dell’8,6% nel 2022 e per la prima volta sotto i 3 milioni di individui: il dato più basso di fine anno dal 2007. Ancora: gratuiti gli abbonamenti per il trasporto ferroviario statale per incentivare l’uso dei mezzi pubblici.

La Legge di Bilancio del 2023 prevede la più ingente spesa sociale nella storia del Paese: 6 euro su 10 dedicati al welfare e al contrasto all’inflazione.
Diverse le misure a sostegno di giovani, pensionati, madri con figli piccoli, per la lotta alla violenza di genere, per la sanità pubblica. Tra le altre misure previste per i cittadini tra i 18 e i 35 anni spiccano il bonus affitto da 250 euro, il bonus cultura e i nuovi fondi per le borse di studio.
Da ultimo, previsti 260 milioni per la lotta alla violenza di genere e 143 milioni per il sistema di accoglienza dei migranti.

Il tutto finanziato dalla tassazione straordinaria per banche e compagnie energetiche, con cui il governo conta di raccogliere 10 miliardi, e dalla patrimoniale, un “contributo di solidarietà” che interesserà lo 0,1% della popolazione con l’obbiettivo di raccogliere 1,5 miliardi di euro.
Sul terreno dei diritti civili, oltre al consolidamento dei matrimoni omosessuali, è stata approvata la Ley Trans che riconosce la stepchild adoption alle coppie di donne lesbiche fuori dal matrimonio e esplicita la depatologizzazione dei generi non conformi contro il binarismo di genere e proibisce le cosiddette “terapie di conversione”.

Approvata anche una legge sull’eutanasia, descritta come «somministrazione di una sostanza al paziente da parte di personale sanitario competente», e sul suicidio medicalmente assistito, cioè «la prescrizione o la dotazione da parte di personale sanitario di una sostanza al paziente, in modo che questo possa somministrarsela in autonomia, per causare la propria morte».
Approvata ancora la legge su salute riproduttiva, sessuale e diritto all’aborto, che prevede, tra le altre misure, il congedo mestruale retribuito senza limiti di giorni e a carico dello Stato.

Infine, con la legge sul consenso esplicito, il parlamento ha eliminato la distinzione tra abuso e aggressione sessuale, qualificando come stupro qualsiasi atto sessuale compiuto senza consenso libero, volontario e chiaro.
Queste, per sommi capi, le cose realizzate in Spagna. Cose che hanno a che vedere con un’idea di società fondata concretamente sulla giustizia sociale, ambientale e civile, che attraversa e migliora le vite delle persone.

Nessuna retorica, ma la materialità delle ingiustizie abnormi tra chi ha e chi non ha affrontate assumendo il punto di vista di chi sta peggio.
Credo possa essere utile ritornare ai fondamentali e guardarsi intorno. Utile per battere la sfiducia e il disincanto di un popolo che un tempo è stato certamente di sinistra e che oggi fa fatica a riconoscere un progetto collettivo di trasformazione sociale. Di questo dovremmo tornare a discutere, non solo di nomi

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L'EX GIUDICE DEL POOL DI FALCONE E BORSELLINO. «Ci hanno raccontato per anni che Messina Denaro aveva chissà quali protezioni planetarie, e poi ieri non c’era neanche un guardaspalle per controllare che la clinica non fosse presidiata»

 Militari del Ros dei carabinieri ieri a Palermo - Ansa

«Abbiamo dunque un boss che si mette in fila aspettando il suo turno per le cure come un malato qualsiasi; un boss che quando si accorge che qualcosa non va deve cercarsi da solo l’uscita secondaria e che quindi può essere fermato senza che attorno a lui ci siano guardaspalle armati e senza che scatti una rete logistica di protezione; un boss che arriva in clinica senza che nessuno sia andato prima di lui a controllare la situazione, perché altrimenti, com’è successo ieri mattina a molte persone che lo hanno raccontato poi alla televisione, avrebbe visto i carabinieri schierati in anticipo ad aspettarlo».
Giuseppe Di Lello comincia le sue riflessioni su quello che è accaduto ieri a Palermo ripercorrendo le fasi dell’arresto con lo sguardo esperto del cacciatore di mafiosi. Lo ha fatto per anni nel pool antimafia di Antonino Caponnetto con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma Di Lello è attento a mettere in guardia dalla costruzione di miti. Quello che è accaduto ieri, spiega, non può essere raccontato come l’improvvisa caduta di un re.

Il film della mattina di ieri in via San Lorenzo, a metà strada tra il centro di Palermo e il punto dell’autostrada dove Cosa nostra inaugurò la stagione stragista uccidendo Falcone e la sua scorta, nel trentennale dell’arresto di Totò Riina a opera dello stesso Ros dei Carabinieri che poi per la mancata perquisizione del covo è finito sotto inchiesta, dice Di Lello, «potrebbe essere in astratto compatibile con lo scenario della resa, della consegna allo stato di cui aveva parlato, prevedendola, solo qualche settimana fa il collaboratore Salvatore Baiardo. Ma non c’è bisogno di credere a questa ipotesi estrema. Si può anche più facilmente, adesso, dichiarare sbagliate ed esagerate tutte quelle teorie su Matteo Messina Denaro latitante potentissimo e imprendibile perché assistito da protezioni indicibili, addirittura su scala planetaria».

Dunque non è caduto in trappola «l’ultimo capo di Cosa nostra», non è stata «tagliata la testa della piovra»?

I capi di Cosa nostra, come pure di altre mafie, sono tutti all’ergastolo. Messina Denaro è stato arrestato buon ultimo non perché fosse il capo dei capi ma perché era bravo a nascondersi. La testa della mafia è stata tagliata anni fa, la prova è che in Sicilia non ci sono più morti ammazzati dai mafiosi. Quella mafia lì è stata totalmente sconfitta. Questo arresto – importante, di cui mi rallegro – è il sigillo a una storia già chiusa. Bisognerebbe chiedersi non tanto chi è stato Messina Denaro, anche perché ci sono le sentenze a dirlo, ma chi era adesso.

Tu che risposta dai?

Non ho gli elementi sufficienti per una risposta completa. Però ricordo bene come qualche anno fa un suo parente si costituì perché non era più in grado di stare dietro alle continue richieste di denaro che il boss gli faceva dalla latitanza. Pare che Messina Denaro chiedesse con insistenza quattro, cinquemila euro pronta cassa. Strano che fosse ridotto così, a non riuscire ad arrivare a fine mese, uno al quale sono stati sequestrati beni e attività per diversi miliardi di euro. Probabilmente il nome di Messina Denaro veniva usato per coprire un giro di ricatti, intimidazioni e minacce più grande di lui.

Se non era l’ultimo capo, non sarà sostituito.

La mafia che è un’organizzazione territoriale quando ha avuto un vertice, quello stragista dei corleonesi, ha avuto bisogno di una cupola. Che, finiti in carcere i capi, non è stata più ricostituita. Le cronache di qualche tempo fa ci hanno riportato episodi anche patetici di alcuni vecchi boss che volevano sostituire Riina e Provenzano ma ovviamente non ci sono mai riusciti, ricordo che uno di questi aspiranti capi era ridotto alla bombola di ossigeno.

Quella mafia non c’è più, ma quella che ancora c’è com’è fatta?

Io penso che sia tutta da decifrare. È facile dire che la mafia si è inabissata, come tante volte in passato, che adesso bisogna cercarla nel mondo degli affari, nella corruzione, nei soldi sporchi. Sarà certamente così. Ma starei attento ad applicare troppo facilmente quell’etichetta, a dire che tutto è mafia. Fare confusione non serve.

 

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