CLIMA. Appello del Nobel Parisi e 100 scienziati: basta dire maltempo, è cambiamento climatico. Mattarella: «Appaiono sorprendenti tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere»
Le fiamme raggiungono il villaggio di Gennadi, in Grecia - foto Ap
Quello che riceve il «ventaglio» dai cronisti della stampa parlamentare per il tradizionale appuntamento di fine stagione non sembra il solito Mattarella. Quando parla di ambiente, il capo dello Stato appare proiettato più che mai sulle azioni da intraprendere. «Occorre assumere la consapevolezza che siamo in ritardo» dice ai giornalisti. «Occorre agire da una parte cercando di incrementare l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente e per combattere le cause del cambiamento climatico: sappiamo che sarà un impegno difficile su scala globale i cui effetti vedremo nel tempo. Dall’altro lato – prosegue – è necessario operare per contenere già oggi gli effetti dirompenti di questi cambiamenti, predisponendo strumenti nuovi e modalità di protezione dei territori».
IL MATTARELLA in versione «Ultima Generazione» attacca chi sottovaluta la crisi ambientale in atto: «Appaiono sorprendenti» dice «tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere per la realtà che stiamo sperimentando». È (anche) una frecciata a
LAVORO MINORILE. Il rapporto di Save the Children dice una cosa fondamentale: il legame tra fenomeni molto vicini a noi con fatti che sembrano lontani, problematiche di terre remote, ma che alla fine si mostrano estremamente funzionali proprio a un modello di sviluppo malato
Al lavoro nelle serre in provincia di Latina - Francesca Sapio
In occasione della prossima Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani, la Ong Save the Children Italia ha diffuso la tredicesima edizione del suo rapporto Piccoli Schiavi Invisibili, dedicato quest’anno alla denuncia di un sistema che di fatto viola il diritto alla salute e all’educazione di bambine, partendo da uno studio di caso nazionale sui bambini e adolescenti figli di braccianti in due tra le aree italiane a maggior rischio di sfruttamento lavorativo agricolo la provincia di Latina, nel Lazio, e la Fascia Trasformata di Ragusa in Sicilia.
Partendo dal quadro più ampio, il rapporto evidenzia come la maggior parte delle vittime di tratta e sfruttamento nel mondo, per la maggioranza proprio minori e donne, restino funzionalmente invisibili. I numeri della migrazione minorile e le conseguenze occasioni di sfruttamento sono in costante aumento, come evidenziano i dati della Commissione europea.
QUESTO è dovuto principalmente al fatto che il numero delle persone che migrano senza poter contare su canali di accesso legali è aumentato, per effetto di crisi climatica, disuguaglianze e conflitti in corso, che costringono milioni di persone a sfollare e vivere in condizioni di vulnerabilità e povertà estrema, soprattutto nel caso di donne, bambine e bambini.
Per evidenziare quanto le logiche di contenimento del fenomeno su scala globale sotto forma di operazioni di ordine pubblico internazionale, come suggerito dalla recente Conferenza di Roma su Migrazione e Sviluppo, oltre che il mancato sostegno agli Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni unite, siano di fatto le cause che favoriscono un’economia dello sfruttamento anche nel nostro Paese, il rapporto mette in luce la condizione dei minori che vivono in questi due territori nazionali.
Quella che emerge è la fotografia di bambine e bambini figli di braccianti sfruttati che spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi specifici messi in campo, sono per lo più «invisibili» per le istituzioni di riferimento, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio.
Il rapporto raccoglie testimonianze dirette di chi ha subito o subisce lo sfruttamento, insieme a quelle di rappresentanti delle istituzioni e delle realtà della società civile, dei sindacati, dei pediatri, dei medici di base e degli insegnanti, impegnati in prima linea, che restituiscono un quadro di diffusa privazione dei diritti di base che compromette il presente e il futuro dei bambini e delle bambine che nascono e crescono in queste condizioni.
Ma ciò che più emerge dal rapporto è la relazione diretta tra la tratta e il grave sfruttamento sia lavorativo o di altro tipo; entrambi i fenomeni si nutrono dello stato di bisogno degli individui con meno risorse sociali ed economiche. Significa che intere aree della nostra economia agricola è di fatto parte di un sistema internazionale di violazione dei diritti dei bambini.
IL RAPPORTO presenta molti dati interessanti che hanno il pregio di collegare fenomeni molto vicini a noi con fatti che sembrano lontani, problematiche di terre remote, ma che alla fine si mostrano estremamente funzionali proprio a un modello di sviluppo malato, ancorato in certe zone a un’economia che trae profitto dalla mancanza dei diritti più elementari, a partire da quello, inalienabile di un bambino all’infanzia.
Basterebbero allora questi dati, i collegamenti internazionali che il rapporto traccia, a delineare concretamente, come viene proposto nelle conclusioni operative, i termini di un agire politico che vede coinvolti tutti i livelli di responsabilità, a partire dai comuni per arrivare al governo, sino al ruolo delle istituzioni europee ed internazionali.
A questo punto è necessario chiedersi come sia possibile, in un Paese tra i più ricchi del mondo, membro dei G7, come sia possibile tutto questo, come ancora si tolleri, voltandosi dall’altra parte, lo sfruttamento lavorativo di bambini già a partire dai 12-13 anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno.
Per questo motivo, la Ong chiede al ministero del lavoro e delle politiche sociali di integrare il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato con un programma specifico per l’emersione e la presa in carico dei figli dei lavoratori agricoli vittime di sfruttamento, da definire con le parti sociali e il Terzo Settore, alla luce delle esperienze e delle buone pratiche sperimentate sul campo
ELEZIONI SPAGNOLE. Parla Toni Comin, inseguito da un mandato di cattura come Puigdemont, catalani di Junts decisivi per una maggioranza anti-destra
Barcellona. protesta in piazza il giorno dopo le elezioni generali - Getty Images
Questa conversazione con Toni Comin mette in luce quanto sia stretto il passaggio che possa portare alla nascita di un nuovo esecutivo di sinistra in Spagna. Comin è parlamentare europeo, politico e intellettuale catalano oggi in esilio. Figlio di Alfonso Comín, leader della resistenza antifranchista in Catalogna. Ha pubblicato diversi saggi, principalmente sulla filosofia politica e sul rinnovamento ideologico e programmatico della sinistra.
L’arresto dell’eurodeputata Clara Ponsati e i mandati di cattura contro te e Puigdemont sembrano un messaggio esplicito alla discussione post-elettorale che sta avvenendo in Spagna. Una sorta di altolà a Sánchez da parte di apparati importanti della Stato spagnolo. Sbaglio? Dal 5 luglio era legalmente possibile questo mandato. Aspettando dopo le elezioni, sembra che vogliano intromettersi nelle trattative post-elettorali. Ma il problema non è quando emettono un mandato di cattura contro di noi, ma il fatto stesso di emetterlo. Perché in qualsiasi momento lo emettano, interferiranno sempre nel processo politico, perché noi siamo attori politici, abbiamo vinto le elezioni europee in Catalogna. Il procedimento penale contro di noi, come ha affermato il Consiglio d’Europa, dovrebbe terminare immediatamente. È “lawfare”. Il conflitto catalano è un conflitto politico e che non avrebbe mai dovuto uscire dall’arena politica per essere portato alla via penale.
Vox ha avuto una battuta d’arresto importante. Come giudichi il voto e il consenso della destra radicale? Vox ha perso 19 seggi ma il Pp ne ha vinti 47. La buona notizia è che insieme non hanno abbastanza deputati per formare una maggioranza assoluta. Questa, ovviamente, è la cosa più importante del risultato elettorale: non ci sarà un governo di estrema destra in Spagna. La cattiva notizia è che il blocco della destra spagnola continua ad avere un grande sostegno elettorale: è passato dal 42% dei voti quattro anni fa al 45% ora. Continuiamo ad avere una parte importante della società spagnola molto incline a posizioni molto conservatrici, reazionarie e nazionaliste fanatiche.
Per quelle strane carambole della storia il vostro movimento sembra tornare centrale per favorire o meno la nascita di un governo di sinistra. Come state vivendo questa situazione? Infatti, abbiamo la chiave dell’investitura, scenario che avevamo previsto già alcuni di noi. Senza i voti di Junts, Sánchez non sarà presidente. Le richieste di Junts sono note: l’amnistia e l’autodeterminazione. Non solo perché sono condivise dall’80% della società catalana, ma perché rappresentano il modo democratico di risolvere un conflitto strettamente politico. L’indipendentismo catalano ha sempre sollevato le sue rivendicazioni in modo inequivocabilmente pacifico e ha ricevuto come risposta la repressione. Di fronte a un simile movimento, l’unica risposta veramente democratica di uno Stato che si autoproclama democrazia esemplare – ma con un presidente e ministri come me in esilio – è negoziare l’amnistia e l’autodeterminazione. L’argomento che la Costituzione non funziona è solo una scusa, la più ben costruita del sistema politico spagnolo. Ma non è vero.
Antoni Comin
L’incostituzionalità dell’amnistia e del referendum sono scuse di cattivi politici che si nascondono dietro argomentazioni pseudo-legali per non dover fare politica. L’attuale sistema politico spagnolo è stato costruito precisamente sulla legge di amnistia dal 1977, per porre fine alla repressione franchista. L’amnistia è l’unico modo reale per porre fine alla giudizializzazione di un conflitto politico che non avrebbe mai dovuto essere giudizializzato. Sánchez nel 2019 ha affermato che il suo obiettivo era degiudizializzare il conflitto. Beh, c’è solo un vero modo per farlo: attraverso l’amnistia. Onori adesso la sua parola. Se i socialisti non ne vogliono nemmeno parlarne, se tutto quello che hanno de dire è che l’amnistia e il referendum sono impossibile perché anticonstituzionale, allora il dialogo sarà molto difficile, se non impossibile. E senza dialogo non è possibile un accordo. L’accordo dipende da lui.
Come sono stati i rapporti con il Psoe in questi anni? Difficili perché, purtroppo, sul conflitto dello Stato con la Catalogna, il Psoe e il Pp sono molto più d’accordo che in disaccordo. Nel 2017 il Psoe ha sostenuto il Pp per applicare l’articolo 155 della Costituzione e sospendere l’autonomia. È vero che Sánchez ha concesso la grazia. Ma avere prigionieri politici significava per lui un costo reputazionale molto alto davanti ai suoi colleghi dell’Ue. Ecco perché l’ha concesso. E anche perché il Consiglio d’Europa lo ha richiesto. Ma per chiudere davvero il fascicolo della repressione, l’unico strumento efficace è l’amnistia. Se il Psoe avesse avuto un approccio veramente democratico al conflitto catalano, avrebbe negoziato un’amnistia molto tempo fa.
E con Sumar? Con Sumar sono più facili, perché a un certo punto sono stati prossimi alle nostre richieste: amnistia e referendum. Teniamo presente che non le rivendichiamo fondamentalmente da independentisti: lo facciamo da democratici. Il referendum è la via perché il futuro della Catalogna venga deciso dalle urne, e non d’una interpretazione nazionalista spagnola di una Costituzione nata da una transizione concordata con i franchisti. Quindi, è un errore che in questa campagna elettorale Sumar si sia sbarazzata della rivendicazione del referendum per la Catalogna, che avevano mantenuto fino a quattro anni fa. D’altra parte, senza il lavoro di Unidas Podemos (il predecessore di Sumar) al Congresso, il reato di sedizione non sarebbe mai stato rimosso dal codice penale spagnolo, un passo nella giusta direzione.
Tu sei un uomo di sinistra, pensi che possa nascere un governo con voi e altri movimenti indipendentisti come quello basco? È una opportunità storica per la Spagna per fare un passo in avanti verso le istanze autonomiste e di autodeterminazione? Spero! Quello che chiediamo alla Spagna è esattamente quello che la Spagna chiede all’Europa: far parte dell’Ue nel rispetto della sua sovranità. È vero che la Spagna non accetterebbe di far parte dell’Ue per obbligo, contro la volontà della maggioranza degli spagnoli? Ebbene, una maggioranza di catalani, sostenitori dell’autodeterminazione, non vogliamo che la Catalogna diventi parte della Spagna contro la volontà della maggioranza dei catalani. Lo stesso principio che difendono loro per la Spagna dovrebbe valere per la Catalogna.
SPAGNA. Il flop di Abascal duro colpo per la premier che resta in silenzio. Fi canta vittoria, la Lega nasconde a stento la soddisfazione. Il progetto europeo della leader di FdI subisce una forte battuta d’arresto
Santiago Abascal applaude l’intervento in video di Giorgia Meloni a un comizio di Vox - foto Ep
Il silenzio di Giorgia Meloni, amplificato dal mutismo del suo intero partito, illustra la situazione meglio di qualsiasi commento. Ha telefonato al capo di Vox Santiago Abascal ma sui contenuti del colloquio palazzo Chigi mantiene il riserbo. «Hanno perso gli alleati di Meloni», esulta Giuseppe Conte e non centra il bersaglio. A perdere è stata proprio lei, la premier italiana e leader dei Conservatori europei, almeno quanto Abascal, il leader strapazzato dalle urne. Non solo e non tanto perché nella campagna elettorale spagnola Meloni si era spesa moltissimo. Soprattutto per ragioni più profonde, meno pittoresche.
LA SPAGNA DOVEVA essere l’anteprima dei nuovi equilibri europei, dell’alleanza tra i Popolari e la destra estrema. Non è uno dei tanti progetti a cui lavora la premier italiana: è quello centrale, il perno della sua strategia complessiva. Non è stato ancora sconfitto ma ha preso una botta durissima e imprevista. Per i Popolari la prospettiva di governare con la destra di Vox doveva essere propellente: si è rivelata piombo nelle ali e se la sera della prima è un simile disastro i presagi per il futuro non possono essere rosei. A palazzo Chigi i musi lunghi sfiorano il pavimento. Che un simile flop modifichi la prospettiva generale in Europa è nell’ordine delle cose e figurarsi se non se ne rende conto una politica navigata e acuta come Meloni.
DOPO L’ITALIA, l’arrivo al governo della destra radicale in un altro grande Paese dell’Europa occidentale, sia pure se lì in posizione non egemone come da noi, avrebbe dovuto provare che quella italiana non è un’anomalia, che la resistenza contro l’arrivo dei partiti discendenti dai neofascisti o dai neofranchisti è stata abbattuta e lo sdoganamento è un fatto compiuto. La prova del voto ha dato responso diametralmente opposto.
A rendere più amare le lacrime di FdI c’è il fatto che gli alleati, per motivi diversi, non partecipano affatto al lutto. Matteo Salvini non può dirlo ma è contentone. La scommessa persa in Spagna è quella della destra che punta sulla fedeltà alla Nato e all’Europa invece che sulla contrapposizione, quella che storce il naso di fronte agli impresentabili del gruppo europeo Identità e Democrazia, il Rassemblement di Marine Le Pen, AfD, la stessa Lega. Non solo il gioco non è riuscito, ma sono stati i moderati del Partito popolare a svuotare i forzieri elettorali di Vox. Gli europarlamentari leghisti Zanni, presidente di Identità, e Campomenosi, portavoce del Carroccio, gioiscono per la centralità dei partiti autonomisti nel quadro parlamentare spagnolo e quasi non celano la soddisfazione per la batosta subìta dai fratelli-coltelli: «Chi mette veti non lavora per una casa comune di tutto il centrodestra. In prospettiva 2024 per il Parlamento europeo non abbiamo bisogno di veti, ma di un centrodestra unito, forte e capace di tenere fuori le sinistre».
AD ANTONIO TAJANI, Vicepresidente del Ppe e leader del partito italiano che al Ppe fa capo, non si può chiedere di nascondere la soddisfazione, che letteralmente esplode: «Congratulazioni a Feijoo e al Partido Popular che torna a essere il primo partito in Spagna, dove rappresenta il centro della politica ed è una buona notizia per tutta l’Europa». Buona per il continente, buonissima per Forza Italia che dalla centralità del Ppe riceve per forza una spinta robusta. Resta da vedere quanto saprà sfruttarla. Chi sa perfettamente come sfruttare la circostanza è Matteo Renzi: «Meloni, la senti questa Vox? Non si vincono le elezioni contro l’Europa. Le prossime europee si vinceranno al centro». Destinataria del messaggio, più che la premier, è proprio Forza Italia. La Spagna dimostra che lo spazio per quel polo centrista da costruirsi con Fi al quale mira il leader di Iv c’è e allora perché non cogliere l’occasione?
SE QUESTI SONO gli alleati, figurarsi l’opposizione. La soddisfazione di Elly Schlein è del tutto giustificata: «L’onda nera si può fermare quando non si punta ad alimentare le paure ma a risolvere i problemi concreti. Adelante». Sovrabbondanza di retorica, come spesso le capita, ma stavolta con un fondamento solido: per Meloni le elezioni spagnole sono state la prima vera e severa sconfitta da quando governa
Scritto da Claudio Tito su la repubblica, Sara gandolfi e Claudio Del Prete
Clima da scampato pericolo all’ombra della Commissione. Il voto di Madrid spacca il Ppe e indebolisce la linea dell’ala Weber, quella che punta a un’alleanza con le destre nel 2024
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BRUXELLES — Un sospiro di sollievo da una parte. Una grande delusione dall’altra. Nelle Istituzioni europee il voto in Spagna divide. Buona parte della Commissione, a cominciare da Ursula von der Leyen, si gode una sorta di scampato pericolo. I suoi avversari, e in particolare quella parte di Partito popolare europeo che più ha seguito il suo presidente Manfred Weber, ne escono invece ammaccati.
Elezioni in Spagna, risultati in diretta| Popolari avanti ma la maggioranza non
Scritto da Marcello Campo - ANSA, Madrid su il manifesto
ELEZIONI SPAGNA. Bene Sumar. Popolari primo partito ma la destra è senza maggioranza. Feijóo (Pp) chiede comunque il governo. Decisivi i partiti regionali
Luci mezze spente sull'immagine di Feijoo al quartier generale del Pp a Madrid - Manu Fernandez /AP
(ANSA) – Una vittoria dal retrogusto molto amaro quella del Partito popolare, che torna a essere la prima forza spagnola ma a spese del possibile alleato Vox, che quasi dimezza i suoi seggi, mentre i socialisti di Pedro Sanchez tengono oltre ogni previsione.
Un’operazione di cannibalizzazione ai danni di Santiago Abascal, il vero grande sconfitto di questo voto, che blocca le aspirazioni di Alberto Nunez Feijòo, che già si vedeva alla Moncloa.
I numeri invece gli danno torto: il blocco delle destre si ferma a quota 169 (136 il Pp, 33 Vox), molto lontana dai 176 seggi necessari per la tanto agognata maggioranza assoluta.
L’ex governatore galiziano chiedeva di averla da solo, alla fine non l’ha nemmeno sfiorata anche sommando i voti di Vox. Eppure in serata Feijòo ha comunque rivendicato il diritto di provarci: “Come candidato del partito più votato, credo che il mio dovere sia aprire il dialogo, guidare questo dialogo e cercare di governare il nostro Paese”, ha arringato i sostenitori evidentemente delusi. “Il nostro dovere è evitare un periodo di incertezza”, ha aggiunto, chiedendo “che nessuno abbia di nuovo la tentazione di bloccare la Spagna”.
Alberto Nunez Feijòo (Pp)
“Come candidato del partito più votato, credo che il mio dovere sia aprire il dialogo, guidare questo dialogo e cercare di governare il nostro Paese. Il nostro dovere è evitare un periodo di incertezza”
Ma la strada è tutta in salita.
Il crollo del partito sovranista, il grande osservato di tutta la stampa internazionale, è il dato più rilevante di questa tornata elettorale, soprattutto in