PIAZZE DI MAGGIO . Parte la mobilitazione di maggio di Cgil, Cisl e Uil. Non solo piazza per il sindacato di Landini, ma anche un lungo corteo rosso. Il più morbido con il governo è Luigi Sbarra. Bombardieri insiste: tassare gli extraprofitti
Da sinistra: Luigi Sbarra (Cisl), Pierpaolo Bombardieri (Uil) e Maurizio Landini (Cgil): i tre segretari confederali a Bologna - Foto di Aleandro Biagianti
La mobilitazione sindacale unitaria è blanda. La voglia di piazza e di sciopero è invece grande. Lo dimostra il lunghissimo corteo rosso che sfila da porta Galliera a piazza Maggiore nella Bologna quasi estiva che ospita la prima delle tre «manifestazioni interregionali» di Cgil, Cisl e Uil. Tocca al «centro Italia» inaugurare i sabati di maggio con il sindacato in piazza.
Si parte però con un piccolo giallo che dà la misura delle differenti sensibilità confederali. Solo la Cgil, straordinariamente in maggioranza come presenza, sfila lungo via Indipendenza. Cisl e Uil invece, accampando la decisione presa inizialmente, si presentano già in piazza Maggiore. Dove si posizionano subito con bandiere e palloncini: al centro la Cisl in verde, a destra rispetto al palco la Uil in azzurro, producendo una finta equivalenza di presenza.
IL CORTEO ROSSO della sola Cgil infatti viene addirittura spezzato in due per troppe presenze, arrivando a circondare Cisl e Uil e a riempire piazza Nettuno, senza poter vedere il palco, orientato in avanti da sotto palazzo Re Enzo.
La diplomazia confederale – che a inizio aprile ha impiegato più di un mese per decidere le modalità della «mobilitazione unitaria» – prevede dal palco l’alternanza di interventi fra lavoratori e segretari generali. Nell’ormai costante spaccato di realtà lavorative fatte di precariato, salari bassi, mancati rinnovi e insicurezza fisica, il primo leader a parlare è Pierpaolo Bombardieri. Il combattivo segretario generale della Uil attacca subito il governo: «Raccontano che vogliamo scioperare contro il decreto Lavoro ma è una balla: il taglio del cuneo fiscale è una nostra rivendicazione da anni. I sindacati non sono tutti uguali: alcuni (riferendosi a Ugl e Confsal, ndr) riempiono le sale delle vostre manifestazioni e firmano contratti vergognosi, noi rappresentiamo tutti i lavoratori». Poi passa a un tema a lui molto caro, la tassazione degli extraprofitti: «Perfino l’amministratore delegato di Intesa, Messina, dice che si possono far pagare alle banche, perché il governo non lo fa per trovare le risorse che servono per alzare i salari e riformare le pensioni?», si chiede Bombardieri polemicamente.
Il taglio del cuneo noi lo vogliamo strutturale. Ma serve aumentare i salari e lo devono fare gli imprenditori a cui sono stati dati tanti bonus
MOLTO PIÙ MORBIDO e accomodante con il governo è l’intervento del leader Cisl Gigi Sbarra, già contento della convocazione del 30 aprile a palazzo Chigi. È lui ad aver imposto a Cgil e Uil di non fare sciopero e di togliere dalla piattaforma unitaria l’opposizione all’autonomia differenziata. Il suo ragionamento contro il governo è pieno di «se» e «ma»: «Serve un soprassalto di responsabilità e consapevolezza, gli italiani non possono aspettare oltre. Il governo non può andare avanti cullandosi nella presunzione di autosufficienza. Solo insieme si può far ripartire il paese. Noi – continua Sbarra – siamo più determinati che mai, saremo intransigenti nel valutare il merito, i risultati concreti».
E mentre dalla piazza sale forte il grido «sciopero generale, sciopero generale», Sbarra spiega al governo come evitarlo. «Se dopo l’incontro del 30 aprile che abbiamo valutato positivamente avremo un dialogo strutturale, bene. Se invece quell’incontro si rivelerà un episodio isolato, un gesto diplomatico, allora sapremo trarre tutte le conseguenze». Non proprio un ultimatum, dunque.
A chiudere la manifestazione è Maurizio Landini, osannato dalla macchia in rosso: «Siete una piazza stupenda – esordisce il segretario generale della Cgil – dimostra che a noi la propaganda non serve. Ci siamo stancati di chi trasforma palazzo Chigi in Beatiful», è l’affondo contro il video di quella Giorgia Meloni invitata al congresso della Cgil.
La contestazione alla politica del governo è «complessiva»: «Non si può dire ’lasciamo fare a chi vuol fare’. Lasciamo fare agli evasori quando lavoratori e pensionati pagano il 40% di tasse mentre le rendite sono tassate al 20%? – si chiede – . Il taglio del cuneo noi lo vogliamo strutturale e per sempre mentre per combattere l’inflazione sul carrello della spesa serve il fiscal drag che aumenta le detrazioni automaticamente. Ma serve aumentare i salari di centinaia di euro e lo devono fare gli imprenditori a cui sono stati dati tanti bonus».
Sul decreto Lavoro Landini è il più duro dei tre leader sindacali: «Dicono che l’hanno fatto in nome dei lavoratori ma nessun lavoratore ha chiesto di allargare i voucher e la precarietà, che è il male assoluto perché i lavoratori sono ricattabili, e di liberalizzare i contratti a tempo o di tagliare il Reddito di cittadinanza».
IL MESSAGGIO FINALE è su come continuare la mobilitazione: «Sia chiaro, andremo avanti finché non otterremo gli obiettivi che ci siamo prefissi», fra i quali Landini cita «cancellare il Jobs act e la legge Treu, fatti da chi si diceva di sinistra». «Non sarà facile ma questa piazza piena come non si vedeva da tempo ci dice che l’unità è la strada giusta. A differenza del governo, noi non vogliamo dividere il paese», conclude Landini che scommette sul calo del consenso verso Meloni
Commenta (0 Commenti)NOMINE. La partita delle poltrone: protestano sindacati e opposizioni
Il presidente uscente dell'Inps Pasquale Tridico - Ansa
Il decreto approvato giovedì dal consiglio dei ministri che riforma la governance di Inps e Inail ha l’effetto di azzerare i vertici degli enti, offrendo l’occasione al governo di fare il pieno di nomine. Ciò, insieme alla leggina ad hoc studiata per liberare la casella della fondazione San Carlo per l’attuale amministratore delegato Rai Carlo Fuortes, suscita le proteste dell’opposizione e dei sindacati.
IL SEGRETARIO di Sinistra italiana Nicola Fratoianni parla di «un tentativo vero e proprio di ‘Orbanizzazione’ dello Stato, mai compiuto finora dalle destre di questo paese». «Assistiamo a una manifestazione di arroganza e a una vera e propria bulimia di potere da parte del governo guidato da Giorgia Meloni che dall’opposizione, un giorno si e un giorno no, strillava contro una presunta occupazione di poltrone» è il commento di Sandra Zampa, capogruppo del Partito democratico in commissione affari sociali a Palazzo Madama. Per la Cgil siamo di fronte a «una forzatura inaccettabile, l’ennesimo atto unilaterale con cui il governo punta al controllo politico dei due enti».
PER LA DESTRA risponde Tommaso Foti. «Ho sentito parlare in passato di spoils system praticato a sinistra – dice il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera – Ora un governo legittimamente eletto ha il dovere e la facoltà di individuare delle forme, che non sono magari solo di spoils system, e di dare un assetto a quelli che sono alcuni enti che rientrano nella sua logica». Ma proprio la Cgil lamenta l’assenza dei «requisiti di necessità e urgenza: in nome di una riforma dai contorni fumosi e mai esplicitati si decapitano improvvisamente il più grande istituto pubblico d’Europa e l’Inail, competente sulla delicatissima materia della sicurezza sul lavoro».
LE NOMINE di Pasquale Tridico alla presidenza dell’Inps e di Franco Bettoni al vertice Inail, risalgono al 2019. Al governo c’era Giuseppe Conte sostenuto dall’alleanza tra M5S e Lega. Il presidente dell’Inps era stato scelto dai 5 Stelle per affrontare la partita considerata cruciale del reddito di cittadinanza. In precedenza, il professore di economia prestato all’ente dal quale transita quasi metà della spesa pubblica corrente, si era schierato a favore della misura sostenuta dal M5S. Oggi rivendica i meriti della sua gestione nelle settimane scorse aveva lamentato il taglio senza criterio del reddito di cittadinanza. Protestano anche i pentastellati. «Con Tridico l’Inps ha assunto dodicimila nuove risorse in quattro anni e ha stabilizzato oltre tremila precari dei call center che in precedenza erano stati esternalizzati – sostengono i parlamentari 5 Stelle delle commissioni lavoro di Camera e Senato – Ha raggiunto già il 75% degli obiettivi del Pnrr e chiuso in avanzo di 2 miliardi l’ultimo bilancio consuntivo. Senza dimenticare, ovviamente, l’enorme sforzo profuso durante la pandemia, quando l’Inps ha erogato 60 miliardi di euro di sussidi e prestazioni a 16 milioni di cittadini in più rispetto alla norma». Il decreto approvato due giorni fa abolisce la figura del vicepresidente e cambia le modalità di nomina e la durata del mandato del direttore generale degli istituti. Attualmente, il direttore viene scelto da una terna di nomi dal ministero del lavoro ed è nominato dal presidente della Repubblica. Con le nuove regole, invece, toccherà al nuovo presidente proporre un nome al consiglio di amministrazione.
LA PARTITA dell’Inail presenta anche un coté affaristico-immobiliare da tenere in considerazione: come suggeriscono dall’Usb, la gestione del patrimonio dell’ente che si appresta ad acquisire alcuni milioni di assicurati tra docenti e studenti, «risulta sicuramente appetibile per la ‘vocazione’ agli investimenti immobiliari e la sua prossimità al mondo delle imprese». Alla guida dell’Istituto al posto di Bettoni dovrebbe andare l’attuale segretario generale dell’Ugl Paolo Capone. Significa che Meloni accetterebbe di dare la poltrona a un salviniano (negli ultimi anni la Lega ha permeato il piccolo sindacato erede della Cisnal e storicamente legato alla storia del Msi) per piazzare uno dei suoi come segretario e provare a rilanciare la sigla che ha un chiaro profilo di destra
Commenta (0 Commenti)La prima di tre manifestazioni confederali. Il conflitto in scena in altri paesi europei resta lontano. Al via il laboratorio di opposizione al governo, dall’M5S all’Avs. In piazza anche Schlein
Tornano in piazza unite Cgil, Cisl e Uil. Ma il prezzo dell’unità è una mobilitazione blanda, senza alcuno sciopero. Questa mattina a Bologna va in scena la prima delle tre manifestazioni interregionali decise dopo una lunghissima trattativa a inizio aprile. Alla fine l’ha spuntata la Cisl di Luigi Sbarra: niente scioperi, niente manifestazione nazionale e opposizione all’autonomia differenziata fuori dalla piattaforma di mobilitazione.
L’idea è quella di una mobilitazione lunga tre settimane che proseguirà anche dopo l’estate in vista della legge di Bilancio: lo strumento dentro il quale Cgil, Cisl e Uil si attendono di vedere accolte almeno in parte le richieste della piattaforma unitaria, a partire dall’aumento dei salari di fronte all’inflazione che erode il potere d’acquisto, una riforma fiscale che punti sulla progressività e senza flat tax, la difesa dei servizi pubblici a partire dalla sanità, la lotta alla precarietà, una vera modifica strutturale della riforma Fornero, la riduzione della precarietà e una serie battaglia per azzerare i morti sul lavoro.
Oggi dunque si parte con Bologna e la manifestazione del centro. Seguirà sabato prossimo a Milano per le regioni del nord e sabato 20 a Napoli per il sud. Appuntamento alle 9 in piazza XX settembre, da dove partirà un corteo che per le 10,30 sarà in piazza Maggiore. Lì dal palco si alterneranno gli interventi dei lavoratori, dei pensionati e dei segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pier Paolo Bombardieri. La manifestazione di oggi, però, arriva dopo il decreto Lavoro, varato dal Consiglio dei ministri tenutosi scientemente nel giorno della festa dei lavoratori.
Un Primo Maggio scippato da Giorgia Meloni ai sindacati con un video fiction considerato da Cgil e Uil «una provocazione». Non però dalla Cisl che con Gigi Sbarra è stata pronta a dare un «giudizio positivo» sull’aumento del taglio del cuneo e lodare «il ripristino di un dialogo con il governo».
Proprio queste frasi rappresentano plasticamente la differenza di approccio fra le tre confederazioni, riproponendo la spaccatura già avvenuta negli ultimi due anni con lo sciopero generale di Cgil e Uil contro la legge di Bilancio di Draghi e a dicembre scorso con gli scioperi regionali contro la prima finanziaria del governo Meloni.
Probabile che oggi dal palco arrivi però una sorta di messaggio unificante anche perché nel frattempo dalle categorie sono stati fatti o programmati parecchi scioperi unitari: dagli edili per il rinnovo del contratto legno-arredo per arrivare a quello in Tim e WindTre nel settore delle Tlc che il 6 giugno registrerà uno sciopero generale, senza dimenticare quello nella compagnia aerea AirDolomiti, di proprietà della stessa Lufthansa che sta per prendersi la piccola Ita, ex Alitalia.
L’organizzazione della manifestazione è stata meticolosa e preceduta da settimane di assemblee unitarie sui posti di lavoro, nelle piazze con le associazioni del terzo settore e perfino nelle scuole. Assemblee che hanno mostrato l’insofferenza di lavoratori e pensionati davanti a una situazione mondiale in cui la guerra è una prospettiva a lungo termine e con il salario (e la pensione) si fa sempre più fatica ad arrivare a fine mese.
La partecipazione è attesa cospicua e sarà aiutata dall’attenzione mediatica che circonda il rinsaldarsi del rapporto fra sindacati confederali e politica, in primis con il nuovo Pd di Elly Schlein che mercoledì era con la Filcams Cgil e Landini a sbattezzare la Leopolda renziana. Assenza di Conte a parte, la piazza di oggi è anche un laboratorio di opposizione al governo Meloni, dal M5s all’Alleanza verdi sinistra (Avs).
Resta però l’abisso che separa quello che sta succedendo in Italia rispetto al resto d’Europa. Se è vero che qui da noi non è stata imposta di colpo una riforma delle pensioni come in Francia e che tutta una serie di micro interventi e una tantum hanno attutito gli effetti dell’inflazione, è altrettanto vero che in Germania, Portogallo e Inghilterra (solo per citare alcuni paesi europei) scioperi e mobilitazioni forti hanno prodotto rinnovi di contratti con duecento euro medi di incremento. Cifre ancora impensabili da queste parti. A meno che la lotta non si intensifichi
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IMMIGRAZIONE. La leader del Partito Democratico: sì all'odg di Sinistra-Verdi
Discussioni animate tra i banchi Pd alla Camera, ieri durante il voto sugli ordini del giorno collegati al decreto immigrazione. Oggetto del contendere un odg a prima firma Devis Dori (sinistra e verdi), durissimo verso gli accordi con la guardia costiera libica promossi nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Minniti con premier Paolo Gentiloni (entrambi del Pd). La segretaria Elly Schlein aveva dato indicazioni per un voto favorevole, ma tra i dem che avevano condiviso quelle scelte, è scattato l’allarme. Nessun dubbio sul dispositivo che impegnava «il governo a sospendere immediatamente tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori fino a quando non verranno ripristinate le condizioni minime di sicurezza».
Assai più perplessità sulla premessa in cui si affermava una tesi da sempre sostenuta da Sinistra italiana, e cioè che il memorandum del 2017 «di fatto crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura tali da costituire crimini contro l’umanità».
Nel testo venivano citati i moniti del segretario generale dell’Onu Guterrez, le raccomandazioni della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic agli stati Ue e le indagini della Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità. Nel suo intervento in Aula, Devi è stato ancora più netto: «I lager libici rappresentano un’infamia per l’Italia e l’Europa».
Il Pd ha chiesto un voto per parti separate, per poter dare parere favorevole solo al dispositivo. Ma nonostante questo alcuni parlamentari, come Enzo Amendola, Marianna Madia e l’ex responsabile esteri Lia Quartapelle, hanno deciso di non partecipare al voto. «Nessuna spaccatura. Non ho votato un odg che aveva premesse irricevibili. Gli accordi con la Libia sono consegnati al passato, ma lanciare sentenze sommarie su vicende complesse non mi appartiene», spiega Amendola. «Non ho votato l’odg di un altro partito, cosa ben diversa da mettere in discussione la linea del mio partito», puntualizza Quartapelle. «Non dobbiamo farci stringere da chi vuole metterci in difficoltà».
Scintille anche sul sondaggio interno lanciato dalla presidente del gruppo socialista europeo Iratxe Garcia Perez sulla possibilità di tornare al vecchio nome «socialista», eliminando la dicitura «democratici» aggiunta nel 2009 per far contento il Pd. L’ipotesi di un via libera di Schlein al cambio (seccamente smentita) ha agitato i riformisti dem, da Fassino a Guerini, Benifei e Picierno. Mentre Andrea Orlando si è domandato: «Il Pd ha aderito al Pse, quindi il gruppo può tornare a chiamarsi socialista. Dov’è il problema?»
Commenta (0 Commenti)IMMIGRAZIONE. Alta tensione dopo le parole del ministro Darmanin. Tajani annulla il viaggio in Francia
La frontiera tra Francia e Italia - Foto Ap
Tutto da rifare: sofferta e sospirata, la pace tra Francia e Italia sul fronte dei migranti è durata meno di un sussurro. A rompere la tregua, stavolta, sono i francesi, più precisamente il ministro degli Interni Gérald Darmanin, quanto meno con discutibile scelta dei tempi: «L’Italia – dice – conosce una gravissima crisi migratoria e Madame Meloni, capo del governo di estrema destra scelto dagli amici di Marine Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta». Un fiume in piena esondazione: «Meloni è come Le Pen: l’estrema destra ha il vizio di mentire».
PAROLE DURE, CHE arrivano poche ore prima della visita del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani a Parigi per incontrare l’omologa francese Catherine Colonna. Visita e incontro che vengono inevitabilmente cancellati dopo l’affondo di Darmanin: «Offese al governo e all’Italia inaccettabili. Non andrò a Parigi. Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero accettare sfide europee comuni».
La ministra si attacca al telefono, chiama Tajani, prende le distanze da Darmanin, andato probabilmente più in là di quanto il presidente Emmanuel Macron e il governo intendessero arrivare.
La telefonata però non basta. Tajani decide di cancellare l’impegno. Il comunicato “riparatore” del ministero degli Esteri francese arriva poco dopo l’attacco di Darmanin, ma è goffo e imbarazzato. Ci sono il «rispetto reciproco», lo «spirito di solidarietà», l’immancabile richiamo al Trattato del Quirinale. La ministra Colonna è un po’ meno burocratica nel tweet in cui racconta di aver parlato col Tajani offeso e si augura «di poter accoglierlo presto a Parigi».
A Roma i comunicati fiammeggianti si moltiplicano. Il più ringhioso è Matteo Salvini, al cui confronto persino Darmanin sembra un maestro di diplomazia: «Non accetto lezioni da chi respinge in Italia donne, bambini e uomini mentre ospita assassini e terroristi». Più pacato Francesco Lollobrigida: «L’ultima volta che sono stato a Ventimiglia avevano schierato decine di poliziotti». In effetti sul confine Parigi ne ha inviati freschi freschi altri 150. Critica il ministro anche Calenda: «Non è la prima volta che eccede».
PROVANO A STEMPERARE Lupi e, sul fronte opposto, Casini. «Tajani ha fatto bene ma a soffiare sul fuoco si fanno male tutti», commenta il primo. «Non servono ritorsioni contro chi non conosce la buona educazione» ammonisce il secondo. Sulle pessime maniere del ministro francese stavolta non ci sono dubbi, il brutto però è che non si tratta affatto solo di scarsa urbanità. L’ennesimo incidente tra i due Paesi ha radici più profonde, che vanno anche oltre l’ostilità del presidente e del governo francesi verso un governo italiano che, per il fatto stesso di esistere, supporta l’eterna nemica Marine LePen. La sostanza ribollente però non è quella: sono i soliti «movimenti secondari» per i quali l’Italia è già stata presa di mira a Bruxelles, gli ingressi nei Paesi europei dei migranti che sbarcano in Italia e poi proseguono. Colpa dell’Italia che non vigila abbastanza. Darmanin lo dice chiaramente: «In Tunisia c’è una situazione grave che porta molti, soprattutto bambini, a risalire l’Italia, che è incapace di gestire questa pressione migratoria».
SE NON CI FOSSERO di mezzo centinaia di migliaia di persone che prima rischiano la pelle in mare e poi finiscono sballottate da un confine all’altro, sembrerebbe una serie tv scritta con poca fantasia. Gli incidenti diplomatici tra Italia e Francia si susseguono dal 2018 e la tensione è arrivata al picco con l’incidente della Ocean Viking del novembre scorso, dopo il quale Macron e Meloni si sono tenuti il muso per 4 mesi. Qualche volta i litigi tra i due Paesi sono stati teatro: nel 2018-19 la Francia aderiva con la dovuta discrezione alle stesse politiche di Matteo Salvini che bollava in pubblico con rumorosi anatemi. Stavolta il conflitto è più concreto, dal momento che riguarda l’allocazione dei migranti. È l’Europa degli egoismi nazionali, e sembra che non cambi mai
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