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Aggiornamento giovedì 18 maggio ore 7.00 – allerta di protezione civile comune di Ravenna. Rischio allagamento della rete dei canali consortili a seguito della frattura del Lamone fra Reda e Fossolo
Ordine di evacuazione immediata alla popolazione e alle aziende di
– Villanova di Ravenna
– Filetto
– Roncalceci
interessate da possibili fenomeni di allagamento.
Nove morti e 13mila sfollati, sotto le piogge eccezionali ormai non più così eccezionali l’Emilia Romagna cede: Faenza va sott’acqua, Cesena sale sui tetti, Bologna galleggia. E nella notte si ricomincia. Non si diceva siccità? Ma in realtà è lo stesso fenomeno
TEMPO SCADUTO . Palazzine per metà sott’acqua, strade come fiumi di fango, paesi irraggiungibili. Il sindaco di Faenza: «Mai visto niente di simile»
Il ponte della Motta, tra Budrio e San Martino in Argine ( - Ansa
Le immagini sono spaventose, come sempre. Acqua e fango dove dovrebbero esserci strade. Palazzine sommerse per metà, automobili impantanate. Persone con gli stivali fino alle cosce che si aggirano in mezzo al disastro cercando di rendersi utili. Piove senza sosta da due giorni e, tra la parte orientale dell’Emilia Romagna e il nord delle Marche, la situazione è drammatica: i morti, sin qui, sono nove.
Poi ci sono almeno 13mila sfollati, 50mila quelli senza luce e un numero imprecisabile di persone – migliaia – da soccorrere. E non è facile, perché molte zone sono irraggiungibili e persino nelle città più grandi la circolazione dei mezzi è in gravi difficoltà, e così ci si attrezza con mezzi di fortuna: a Cesenatico, addirittura, tre donne sono state portate in salvo da un pedalò, che si è addentrato nell’acqua alta trainato dagli uomini della protezione civile.
SI FA QUEL CHE SI PUÒ: c’è chi aspetta un gommone e chi ha trovato rifugio ai piani più alti dei palazzi, in attesa che la situazione torni alla normalità. Ci vorrà tempo, dicono tutti, anche perché l’allerta rossa è stata prorogata alla giornata di oggi e le previsioni del tempo non lasciano ben sperare. E il problema non è solo la quantità di acqua che si abbatterà sulle città e sui paesi, ma anche il rischio frane, che già si contano nell’ordine delle centinaia.
A Ravenna il sindaco Michele De Pascale ha diramato un ordine di evacuazione per la popolazione e le aziende delle zone a ridossi del Ronco, del Montone e dei Fiumi Uniti: gli sfollati sono stati accolti all’interno del museo Classis.
Danni pesantissimi si registrano poi a Faenza: nella serata di martedì le acque del Lamone hanno invaso diverse strade del centro e molti degli abitanti sono fuggiti alle prime avvisaglie di piena. Il palazzo del Podestà è stato aperto dal Comune per offrire riparo per la notte, ma ci vorrà ancora qualche giorno prima che si possa far ritorno a casa in tutta sicurezza. «Abbiamo passato una nottata che non potremo mai più dimenticare.
«Sicurezza, si investe solo sull’onda emotiva»
Un’alluvione che la storia della nostra città non aveva mai conosciuto. Qualcosa di inimmaginabile», ha scritto il sindaco Massimo Isola sui suoi social network. A Forlì sono stati fatti intervenire i pullman di linea per caricare gli alluvionati. Qui a esondare è stato sempre il Montone, che ha ricoperto d’acqua la via Emilia e anche alcuni tratti della A14.
Nelle aree interne la situazione è tremenda: le strade provinciali sono ridotte a fiumi di fango, centinaia di paesi sono di fatto irraggiungibili e il massimo che possono fare i sindaci è diffondere via Whatsapp messaggi audio in cui si invitano i cittadini a non uscire di casa. Tra Budrio e San Martino in Argine, nel territorio della città metropolitana di Bologna, il ponte della Motta è crollato a causa della piena del torrente Idice, danneggiando anche le tubature della rete di distribuzione del gas.
LA PROTEZIONE CIVILE, i vigili del fuoco, le forze dell’ordine e pure l’esercito si danno da fare: sono centinaia le persone in servizio permanente effettivo sul territorio. C’è chi si occupa di recuperare chi si trova in pericolo e chi dà una mano sul fronte degli approvvigionamenti di cibo e di acqua. E c’è chi va alla ricerca dei dispersi. A Forlì sono stati i sommozzatori a trovare i corpi di tre persone in una casa allagata e un quarto in un’altra. Stesso destino è capitato a un uomo di Ponte Vecchio.
A San Lazzaro di Savena invece i pompieri hanno tirato fuori il cadavere di un uomo caduto in fondo a un pozzo mentre cercava di installare una pompa per svuotare il piazzale della sua azienda. A Casale di Calisese una frana ha travolto un 77enne nel giardino di casa sua. In provincia di Cesena una coppia è stata travolta dal fiume Savio, la donna è stata trascinata per quasi venti chilometri, fino alla spiaggia di Zadina, a Cesenatico.
IL MALTEMPO, INOLTRE, ha mandato in tilt le vie di comunicazione: la A14 è stata chiusa in diversi tratti e molti treni sono stati soppressi. Di fatto, al momento, la dorsale adriatica è spaccata in due e salire da sud verso nord è un’impresa a dir poco ardua. Intanto, è stato annullato il Gran Premio di Imola previsto per domenica: impossibile gestire il flusso di persone che sarebbe arrivato e tutti sono stati d’accordo nel decidere di cancellarlo. Confermato invece il concerto di Springsteen di questa sera a Ferrara.
Nelle Marche, dove è ancora fresco il ricordo della tragedia dello scorso settembre, quando esondò il Misa e in provincia di Ancona morirono in dodici, la situazione è a rischio, con i livelli dei fiumi e dei torrenti che si sono pericolosamente alzati durante la notte tra martedì e mercoledì.
Il cielo, intanto, resta nero su tutte le regioni adriatiche e la pioggia non smette di cadere, concedendo appena poche pause tra un acquazzone e l’altro. Per la conta dei danni è ancora presto, ma il governatore dell’Emilia Stefano Bonaccini ha già dato un’idea delle dimensioni del disastro: «È come il terremoto del 2012».
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EDITORIA. Il direttore Sansonetti: saremo di sinistra come il papa. La redazione licenziata: non usi il nome di Gramsci e Berlinguer. Archivio conteso: sarà oggetto di un nuovo bando ma l'editore Romeo lo vuole usare
Piero Sansonetti presenta la nuova Unità - Foto LaPresse
Oggi torna in edicola l’Unità. O meglio: torna in edicola Il Riformista diretto da Piero Sansonetti sotto la testata del giornale fondato da Antonio Gramsci che l’editore Alfredo Romeo ha comprato all’asta per 900 mila euro.
Si tratta infatti di un episodio unico nella storia del giornalismo mondiale, una sorta di esperimento genetico: trasporre un’intera redazione da una testata all’altra, spacciando l’operazione come una grande novità editoriale, nonostante mantenga perfino gli stessi inserti.
Ieri mattina il direttore Piero Sansonetti (che fu condirettore negli anni novanta dell’ex quotidiano del Pci) ha illustrato la spericolata operazione: «Dopo sette anni e alla vigilia del centenario, l’Unità torna nelle edicole. Fisicamente sarà un giornale piccolo, composto da dodici facciate, ma impegnato ad affrontare temi di grande rilevanza e profondità. E se all’origine era rivolto a contadini e operai, oggi sarà la testata anche di migranti e detenuti. Pur mantenendo sempre netta la propria indipendenza, sarà vicina al Pd, principale forza politica della sinistra, e al pensiero di papa Bergoglio che, attualmente, rappresenta un punto di riferimento ideologico. Il quotidiano, in edicola al costo di 1,50 euro, ha alle spalle una redazione dinamica di sei redattori per il cartaceo, pochi altri per l’online e da diversi collaboratori esterni», ha spiegato Sansonetti.
Fra questi non ci sono i 15 redattori dell’ultima edizione del quotidiano, devastato dal periodo renziano. Che hanno subito risposto a Sansonetti, contestando il riferimento a Gramsci e l’uso della storica foto con Berlinguer e la scritta “Eccoci”: «Questa Unità non ha nulla a che vedere con la testata fondata nel 1924, né con le battaglie del segretario del Pci perché con scientifica, padronale protervia calpesta ogni diritto dei suoi lavoratori: i giornalisti e poligrafici che hanno tenuto in vita il giornale sono stati esclusi, cancellati, perfino vilipesi. Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato appunto da Antonio Gramsci. Un intero corpo redazionale spazzato via. Sansonetti – aggiungono – ci ha tacciato di essere renziani, proprio lui che ha lasciato il Riformista nelle mani del leader di Italia Viva. Molti di noi lavoravano a l’Unità quando Sansonetti era condirettore, e siamo noi ad aver subito l’ultima, indegna chiusura nel 2017 quando la governance del giornale era nelle mani dei Pessina, gli editori voluti dal senatore Renzi».
Sansonetti ha poi annunciato che «ogni giorno ci sarà una pagina dedicata allo straordinario archivio de l’Unità, dal 1947 ad oggi, patrimonio culturale di enorme valore, è in fase di riorganizzazione e sarà reso disponibile online quanto prima».
In realtà l’editore Romeo si è aggiudicato il bando della testata mentre a breve un altro bando riguarderà l’archivio storico della testata.
Si attende una presa di posizione del curatore fallimentare della vecchia Unità mentre non si escludono «diffide» per l’uso illegittimo dell’archivio storico del giornale.
INFORMAZIONE. Il comunicato delle "lavoratrici e dei lavoratori dell'Unità fondata da Antonio Gramsci" a poche ore dal ritorno in edicola, il 16 maggio 2023, del quotidiano sotto la direzione di Piero Sansonetti
Domani uscirà l’Unità diretta da Piero Sansonetti. Per lanciare il suo progetto, il direttore sceglie slogan “forti”, chiama in causa “il ritorno” di Gramsci e utilizza l’immagine iconica di Berlinguer. Ma questa Unità non ha nulla a che vedere con la testata fondata nel 1924, né con le battaglie del segretario del Pci perché con scientifica, padronale protervia calpesta ogni diritto dei suoi lavoratori: i giornalisti e poligrafici che hanno tenuto in vita il giornale sono stati esclusi, cancellati, perfino vilipesi. Siamo di fronte a un caso mai contemplato nel mondo del lavoro: un’intera redazione sostituita da un’altra.
Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato appunto da Antonio Gramsci. Un intero corpo redazionale spazzato via. Sansonetti ci ha tacciato di essere “renziani”, proprio lui che ha lasciato il Riformista nelle mani del leader di Italia Viva e che finge di non ricordare che noi, giornalisti e poligrafici, abbiamo una storia lunga, più lunga della sua memoria labile.
Molti di noi lavoravano all’Unità quando Sansonetti era condirettore, e siamo noi ad aver subito l’ultima, indegna chiusura nel 2017 quando la governance del giornale era nelle mani dei Pessina, gli editori voluti dal senatore Renzi. Respingiamo, dunque, al mittente allusioni e menzogne. Si assuma le sue responsabilità Sansonetti. Senza chiamare in causa chi odiava gli indifferenti e che ha lottato con la vita per difendere i diritti dei lavoratori. Quelli che Sansonetti e l’editore Romeo hanno calpestato.
* Le lavoratrici e i lavoratori dell’Unità fondata da Antonio Gramsci
Commenta (0 Commenti)GUERRA E PACE . L'incontro tra Zelensky e Bergoglio in vaticano
I frutti dell’incontro di ieri pomeriggio in Vaticano fra papa Francesco e Volodymyr Zelensky, se ci saranno, si vedranno nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Del più importante fra gli appuntamenti romani del presidente ucraino – quaranta minuti di colloquio con il papa e mezz’ora con monsignor Paul Gallagher, il “ministro degli esteri” della Santa sede – sono infatti emerse due narrazioni piuttosto diverse, che evidenziano posizioni decisamente distanti, quasi inconciliabili.
I TEMI DEL COLLOQUIO fra Bergoglio e Zelensky «sono riferibili alla situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», ha fatto sapere una comunicazione ai giornalisti della sala stampa vaticana, diffusa pochi minuti dopo che il presidente ucraino aveva lasciato il Vaticano.
«Il papa ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi tanti appelli pubblici e dall’invocazione continua al Signore per la pace, fin dal febbraio dello scorso anno – ha aggiunto la nota -. Entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione. Il papa ha sottolineato in particolare la necessità urgente di gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto».
Nell’incontro con Gallagher – il cardinale segretario di stato Pietro Parolin non c’era perché si trovava a Fatima per l’anniversario delle apparizione mariane – si è parlato soprattutto della guerra in Ucraina, delle «urgenze collegate ad essa, in particolare quelle di natura umanitaria», e della «necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace», ha informato il comunicato ufficiale vaticano . Ma anche di «alcune questioni bilaterali, relative soprattutto alla vita della Chiesa cattolica nel Paese».
DIVERSA LA RICOSTRUZIONE di Zelensky,
Leggi tutto: Sulla pace posizioni distanti «Il piano del papa non serve» - di Luca Kocci
Commenta (0 Commenti)I fondi del Pnrr potranno essere usati per la produzione di armi, dato che il Next Generation Eu vede fra le sue finalità la resilienza e una forma di essa è… la resistenza armata. Sembra lo sketch di un programma di satira politica, invece è la realtà, per bocca del Commissario europeo Thierry Breton.
Questa dichiarazione disvela nella maniera più palese quanto fossero poco fondate le aspettative dello «strumento comune» in merito agli obiettivi di costruzione di una Europa migliore all’indomani del Covid, ma l’aspetto più preoccupante è lo sfondo su cui si colloca, consistente in un sinistro balzo in avanti della costruzione di un complesso militare-industriale Ue.
Le affermazioni di Breton infatti si riferiscono ad un piano in tre punti promosso dal Consiglio europeo e dalla Commissione per supportare militarmente l’Ucraina con la fornitura di armamenti: primo, la fornitura a Kiev di proiettili dai singoli Stati (svuotando i propri arsenali) che saranno pagati da un fondo comunitario, dall’orwelliano nome di “European Peace Facility”; secondo, l’acquisto congiunto finanziato allo stesso modo; terzo, promuovere la produzione bellica di tali armamenti favorendo un coordinamento dei produttori europei.
È così che il 20 marzo 2023 (esattamente 20 anni dopo l’attacco all’Iraq) il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di presentare una iniziativa per accelerare la capacità produttiva del settore degli armamenti europeo. La risposta è stata Asap, un acronimo anglicizzante che sintetizza l’espressione «il prima possibile» (as soon as possible), designando un piano intitolato “Act in Support of Ammunition Production” (“Atto a supporto della produzione di munizioni”).
Si tratta della proposta di regolamento (una delle due tipologie normative della Ue, accanto alla direttiva) che dovrà finanziare la cooperazione fra aziende d’armi con 500 milioni € per potenziale la fabbricazione di proiettili da destinare all’Ucraina. È nella presentazione di questo che hanno luogo le affermazioni sul Pnrr; ed addirittura anche i fondi di coesione potrebbero essere destinati per le armi – giustificando tale scelta con la collocazione di fabbriche d’armi in aree isolate…
Già l’anno scorso si era fatto dei passi in questa direzione: a luglio 2022 la Commissione aveva stilato una proposta di regolamento col finanziamento di 500 milioni € per favorire partnership congiunte fra aziende armiere di diversi paesi per la partecipazione ad appalti. Anche in tal caso la cosa era stata motivata dalla urgenza di rifornire l’Ucraina ma la lunghezza del processo legislativo da un lato e le divergenze dall’altro ne hanno inficiato la – attualmente la Commissione medita di modificare il provvedimento dimezzando i fondi.
Il comparto della difesa è patrimonio geloso dei governi nazionali, prolungamento della rispettiva politica estera e di difesa, in reciproca concorrenza commerciale – similmente alle divergenze fra gli interessi delle rispettive economie. Per cui un complesso militare-industriale unitario è difficile da far nascere. La European Defence Agency, un oscuro ente comunitario che sarebbe il più titolato ad assurgere a dominus del militarismo europeo non è riuscita a far molto.
Nella bozza di regolamento ASAP si prevede la possibilità di cofinanziamento fino al 60% di iniziative per incrementare la capacità produttiva, prefigurando di aprire «la strada al futuro programma europeo di investimenti per la difesa (Edip)», una nuova fonte di finanziamento da discutere nel corso dell’anno corrente.
Del resto lo stesso testo afferma che «le imprese delle filiere della difesa avranno accesso al finanziamento a debito per settore delle munizioni e dei missili. Il regolamento dovrebbe in particolare garantire che a tali soggetti siano concesse le stesse condizioni offerte ad altri, facendosi carico di eventuali costi aggiuntiv»”. Insomma credito per le armi. L’edificazione di un vero complesso militare-industriale non è ancora in vista ma c’è chi sta imboccando questa direzione
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