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Intervista al Segretario Cgil. Il segretario Cgil: lo sblocco dei licenziamenti favorisce le imprese. Logistica: battaglia comune e una legge per applicare i contratti. Al governo chiediamo un confronto preventivo su Pnrr e riforme. Lo stato in economia è necessario per uno sviluppo equo. Serve un nuovo processo unitario che parta dai luoghi di lavoro

Una manifestazione della Cgil

 

Maurizio Landini, segretario generale Cgil, domani con Cisl e Uil tornate in piazza con tre manifestazioni a Torino – dove sarà lei – , Firenze e Bari. Quanto le è mancata la piazza in questa pandemia?
Scendiamo in piazza perché è il momento di cambiare. Vogliamo dare un senso di unità del paese e del fatto che la ricostruzione e gli investimenti devono fondarsi sul lavoro di qualità e dare una prospettiva a giovani, donne e sud. Questo perché se possiamo dire che si sta uscendo dalla pandemia è grazie al contributo dei lavoratori. Non è accettabile tornare alle condizioni pre pandemia: basta con la precarietà e la insicurezza sul lavoro. Le manifestazioni vogliono rimettere al centro il lavoro.

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini

Lei evoca la rottura sociale per lo sblocco dei licenziamenti ma il vicepresidente di Confindustria, il moderato Maurizio Stirpe, la contesta e sostiene che «agita lo spettro per provare a cambiare certi provvedimenti».
Continuo a pensare che sia utile evitare che dal primo di luglio ci siano licenziamenti. Ricordo che riguarderebbero il settore industriale e manifatturiero: stiamo parlando di lavoratori che insieme alle aziende che pagano il contributo per la cassa integrazione ordinaria. Si può fare la riforma degli ammortizzatori e per le imprese che si devono riorganizzare si incentivino gli strumenti alternativi ai licenziamenti.

Il ministro Orlando ha promesso un nuovo incontro con voi prima di presentare la riforma degli ammortizzatori sociali. La Cgil cosa chiederà?
Noi abbiamo chiesto al governo e a tutte le forze politiche di prorogare il blocco fino a fine ottobre. La riforma degli ammortizzatori deve estendere le tutele a tutti i lavoratori in senso universale e deve essere fondata su un’idea mutualistica con tutte le imprese e i tutti i lavoratori che devono contribuire. Bisogna incentivare la formazione dei lavoratori fino al diritto permanente alla formazione. Serve una riforma del centri per l’impiego per iniziare vere politiche attive per il lavoro. Infine abbiamo chiesto che gli strumenti come la Naspi siamo più sostanziosi e senza il decalage che ne riduce l’importo e la durate.

Draghi secondo lei cercherà ancora una mediazione sui licenziamenti? In queste settimane lei, come Sbarra e Bombardieri, è stato avvistato a palazzo Chigi. Che rapporto ha con Draghi? Non siete stati troppo morbidi all’inizio con lui?
Noi con il governo abbiamo dimostrato che se coinvolti siamo capaci di risolvere i problemi. Sia con il governo Conte – con i protocolli sulla sicurezza, un esempio in Europa, che hanno permesso a tutte le attività di non fermarsi – e anche con il governo Draghi con i Patti sul lavoro pubblico e la scuola fino ai miglioramenti sul decreto Semplificazioni cancellando il massimo ribasso e garantendo che nei subappalti ci sia lo stesso trattamento economico e normativo dell’impresa madre. Da questo punto di vista noi stiamo rivendicando non solo il blocco dei licenziamenti ma, al governo che si appresta a implementare il Pnrr e le riforme collegate, stiamo chiedendo che si sancisca una sede di confronto preventivo e mi riferisco alle scelte di politiche industriali – su trasporti, rete unica, energie rinnovabile – senza dimenticare le pensioni. Queste scelte devono rispondere a una domanda: questi processi aumentano il lavoro in Italia o solo le importazioni? Con la manifestazione rivendichiamo che gli investimenti post pandemia devono avvenire con il coinvolgimento del mondo del lavoro, su un’idea di paese fondato sulla giustizia sociale con un nuovo stato sociale in cui si investa sulla conoscenza e sulla sanità.

Ci sono molte polemiche sul ruolo che Draghi ha dato ad una serie di economisti liberisti contrari al ruolo dello stato in economia sul Pnrr. È preoccupato?
Il mercato da solo non è in grado di definire un nuovo modello di sviluppo. Anzi, le logiche di questi ultimi 20 anni sono state smentite e hanno prodotto livelli di diseguaglianza, precarietà e impoverimento senza precedenti. Quindi siamo convinti che un intervento pubblico che indirizzi gli investimenti sia necessario. Del resto dalla siderurgia al settore aereo è utile e necessario il ruolo pubblico. Il problema non è solo vengono realizzati gli investimenti ma quali nuove filiere produttive si realizzano per il nostro paese.

Lei domani parlerà a Torino, la città della Fiat alle prese con i ritardi di Stellantis sulla sede del polo delle batterie elettriche.
Siamo di fronte a un grande cambiamento tecnologico e del concetto stesso di mobilità. In questo senso è necessaria la presenza del governo nel confronto sindacale in corso con un gruppo importante come Stellantis affinché gli investimenti siano in grado di progettare e costruire in Italia le batterie e utilizzare le capacità produttive e professionali presenti nel nostro paese.

La morte di Adil ha fatto conoscere a tutti l’escalation della violenza nella logistica. Un settore in cui – se la legge sulla rappresentanza che lei chiede da almeno 10 anni fosse realtà – i Cobas sono molto rappresentativi. Non sarebbe giusto farli entrare nei tavoli dei rinnovi contrattuali?
Innanzitutto c’è un primo tema che riguarda le leggi fatte in questi anni. Noi chiediamo che si applichi quello che è stato fatto negli appalti pubblici anche nel settore privato. Dal far west dei subappalti alle cooperative spurie, serve un provvedimento legislativo per dare valore generale ai contratti nazionali. Occorre uscire da una visione sbagliata: la rappresentanza della Cgil nel settore logistico è da anni in aumento. Poche settimane fa, il 18 maggio, dopo un grande sciopero nazionale, il contratto della logistica è stato rinnovato con tutte le associazioni datoriali che compongono la filiera. Proprio l’applicazione di quel contratto permette di garantire ai tutti i lavoratori gli stessi diritti e le stesse tutele. Così come vorrei far notare, a proposito di presenza sindacale, che in Amazon il primo sciopero mondiale di tutta la filiera è stato fatto dalle nostre categorie in Italia. Così come 6 mila rider sono stati assunti a tempo indeterminato da Just Eat applicando proprio il contratto della logistica, come chiedevamo noi. Dopo di che io sono da sempre per la libertà sindacale e per far votare i contratti da tutti i lavoratori. Il nostro problema non sono gli altri sindacati ma le imprese che non applicano i contratti. Questa è una battaglia comune che va fatta. Ma serve un cambiamento legislativo. Nulla in contrario ad una legge sulla rappresentanza che misuri anche quelle delle imprese. È il momento di aprire una grande discussione per un nuovo processo di unità e democrazia sindacale che parta dai luoghi di lavoro.

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Stato e Chiesa . Vogliamo davvero dire che la libertà della Chiesa e dei fedeli implica non già una mera manifestazione di pensiero, ma il sostegno a «condotte discriminatorie»?

Vaticano

 

Vaticano  © Lapresse

Sul disegno di legge Zan (AS 2005) si è addensata la tempesta. Una «nota verbale» della segreteria di stato vaticana del 17 giugno manifesta critiche. La destra esulta. Draghi ricorda la laicità dello Stato. Letta subito si accontenta. Ma la battaglia continua.

Certo, può darsi che il ddl Zan sia migliorabile, come tutte le leggi. Ma il punto è un altro. Ed è che traspaiono elementi di cattiva Chiesa in cattivo Stato. La nota è stata una forzatura? Sì, e non per la forma, dal momento che tra Stati la «nota verbale» è strumento di ordinaria comunicazione. La forzatura è nel momento in cui arriva e in quel che dice.

Una prima domanda. Perché il 17 giugno? Il testo è votato dalla Camera il 4 novembre 2020 ed è trasmesso al Senato il giorno successivo. L’approvazione in una camera è un momento di significativa definizione dell’architettura della legge. Una posizione, quale che fosse, avrebbe potuto essere assunta allora. Invece, viene manifestata ben otto mesi più tardi, a valle di un ostruzionismo malamente dissimulato della destra in commissione. Un ostruzionismo che avrebbe potuto essere battuto con il richiamo in aula del testo, come si cominciava a suggerire.

Una lettura non maliziosa è che il Vaticano abbia atteso per vedere se la destra riusciva da sola ad affondare il ddl Zan nella palude parlamentare. Potrebbe aver riservatamente comunicato alla destra l’orientamento delle gerarchie, fornendo benzina per l’ostruzionismo. Alla fine, temendo un fallimento dell’azione di contrasto, il Vaticano viene allo scoperto con la nota fatta sapientemente trapelare.

L’obiettivo di condizionare il lavoro parlamentare è esplicito. Si auspica che lo Stato italiano possa «trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione». La richiesta implicita è che il governo usi gli strumenti di cui dispone nel rapporto con il parlamento per riorientare il lavoro legislativo.

Una seconda domanda. Come si argomenta la richiesta di cambiamenti? Nella nota si afferma che «alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi ’fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere’ – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario». Notate bene: criminalizzare le discriminazioni incide negativamente.

Vogliamo davvero dire che la libertà della Chiesa e dei fedeli implica non già una mera manifestazione di pensiero, ma il sostegno a «condotte discriminatorie»? Sul posto di lavoro, nella fruizione di servizi, nei rapporti civili e sociali? È questa la Chiesa della carità cristiana e dell’amore universale? La chiesa di un Papa che scrive l’enciclica Fratelli tutti e dichiara, in una famosa esternazione, «chi sono io per giudicare?». Qui forse si vuol mandare il messaggio «attenti, ci siamo anche noi» non tanto alle istituzioni italiane, ma alla Chiesa stessa come organizzazione e come popolo. Bisogna scegliere con quale Chiesa stare, e si coglie la strumentalità degli attacchi al ddl Zan.

Torniamo ai fondamentali. Per l’art. 7 della Costituzione «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Nessuno dei due soggetti può ingerirsi nell’ordinamento dell’altro avanzando pretese. Quindi oggi si può – e a mio avviso si deve – portare il testo in Aula, e approvarlo nei termini che l’Aula ritiene opportuni, qualunque cosa pensi la Chiesa. Come Draghi ricorda in replica il 23 giugno in Senato, l’ordinamento italiano contiene tutte le necessarie garanzie, nell’iter legislativo e a legge approvata.

Dice esplicitamente «questo è il momento del parlamento, non del governo». Assumiamo perciò che il governo non interferirà, rimettendosi all’Aula nei pareri e non ponendo questioni di fiducia. Risponda in questi termini alla nota. La Chiesa potrà valutare come vuole la legge definitivamente votata. Sulla temuta lesione di libertà garantite della Chiesa si potrà poi da parte cattolica adire la Corte costituzionale.
E la nota verbale? Siamo caritatevoli, e la consideriamo un errore di gioventù.

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L'insostenibile leggerezza dell'autonomia “differenziata”: allegramente  verso l'eversione – laCostituzione.info

PD VOTA APPELLO LEGA, CORAGGIOSA-VERDI CONTRO: ORA FUORI LUOGO  (DIRE) Bologna, 23 giu. -

Lega e Pd sollecitano il presidente regionale Stefano Bonaccini a riprendere i negoziati per l'autonomia dell'Emilia-Romagna. Ma la sinistra ora dice no: dopo il Covid "non può essere la priorità".

E' accaduto oggi in commissione regionale, dove era in calendario il parere su una petizione popolare (promossa da Cgil, Arci e altri soggetti) critica nei confronti del percorso di autonomia intrapreso prima della pandemia da Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e poi anche da altre Regioni.

Alla petizione era collegata una risoluzione della Lega che invitava l'amministrazione regionale a riprendere al più presto i negoziati. "E' arrivato il momento di accelerare sull'autonomia regionale: l'emergenza Covid ha dimostrato che sono i territori a dover dare le risposte più importanti a cittadini e imprese", afferma in proposito il capogruppo del Carroccio in Regione Matteo Rancan.     

Dopo una discussione sulle premesse del documento, emendate dal Pd, si e' arrivati ad un voto bipartisan, con Carroccio, dem e lista Bonaccini a favore da un lato, ma Emilia-Romagna Coraggiosa e Verdi contrari dall'altro.

Dunque, spaccatura netta nella maggioranza di centrosinistra che amministra in viale Aldo Moro. "Riteniamo fuori luogo riprendere quella discussione, figlia di una stagione passata nei rapporti tra Stato e Regioni, senza fare i conti con le conseguenze della pandemia, che ha cambiato tutto", ha scandito il capogruppo di Coraggiosa Igor Taruffi chiedendo di "aggiornare la discussione". 

All'opposto la Lega: per Rancan proprio l'attenuarsi della crisi pandemica "pone le condizioni, anche grazie alla recente volontà espressa dal Ministro per le autonomie, per ricominciare a ragionare di maggiori deleghe e risorse a favore del nostro territorio, in favore della nostra Regione".

In commissione, ad assistere alla discussione tra i partiti, c'era anche il sottosegretario alla presidenza della Regione Davide Baruffi.  

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Il caso. Il leader Pd: avanti fino al 2023. Il consigliere di Zingaretti: troppo eterogeneo, cadrà prima

Goffredo Bettini

 

Goffredo Bettini  © Lapresse

Enrico Letta e Goffredo Bettini divisi sulle prospettive del governo Draghi. «Credo sia difficile che arrivi al 2023. Potrà tentare alcune riforme indispensabili: Pa, giustizia, fisco. Ma alla fine il carattere eterogeneo dell’alleanza porterà ad una crisi inevitabile», dice al Foglio il dirigente e ideologo del Pd. «Senza Draghi l’Italia affonda. Senza una ripresa della dialettica democratica, la democrazia si snatura. A partire da questi due dilemmi va risolto il problema».

Letta la vede diversamente: «La crisi post pandemia e l’impegno per realizzare riforme necessarie a investire i fondi del Recovery richiedono stabilità quindi, nell’interesse del Paese, è bene che questo governo arrivi alla fine della legislatura», ha detto all’Ansa il leader Pd. E al Colle chi andrà? «La questione è bene aprirla il giorno dopo Natale, non prima. Ora c’è da guardare al via libera dell’Ue al Pnrr, che è una grande occasione per il nostro Paese. Draghi sta guidando il governo in modo determinato ed equilibrato, ci sentiamo a casa: secondo noi deve durare fino al 2023».

E i rapporti tra Pd e Lega? «Dopo una prima fase molto turbolenta, dovuta all’atteggiamento di Salvini, nelle ultime settimane le turbolenze si sono abbassate e invito a continuare a fare così. Ma non ho nostalgie di “caminetti” tra i leader di partito». «Non vedo M5s come un fattore di instabilità per il governo – ha aggiunto Letta – Guardo con attenzione a quello che succede al loro interno, ma non entro nel dibattito interno, ognuno ha i suoi».

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Intervista a Pierluigi Consorti, docente all’Università di Pisa. «La questione è che ancora non sappiamo alla fine come sarà questa legge sull’omotransfobia, quindi il tema concordatario è inesistente. Una violazione potrebbe esserci una volta approvata la legge, ma onestamente non vedo questo rischio. Se passasse così com’è non violerebbe gli accordi tra Stato e Chiesa»

Le statue in cima al colonnato di San Pietro  © Ap

Professor Pierluigi Consorti, docente all’Università di Pisa e presidente dell’Associazione dei docenti universitari di diritto canonico ed ecclesiastico, la Santa Sede sostiene che il dibattito sul Ddl Zan sia una violazione del Concordato.

La interrompo subito. Il Concordato non c’entra nulla con questa storia.

Ci può spiegare il perché?

Il Concordato è uno strumento legittimo che sta sotto il cappello della Costituzione, che a sua volta stabilisce il principio della laicità dello Stato e della separazione degli ordini, che non dovrebbero interferire l’uno con l’altro. Il Vaticano può sollevare la questione diplomatica se si dovesse ledere un diritto della Chiesa, ma in questo caso non mi sembra proprio che sia così. Stiamo parlando di qualcosa che non è nemmeno una legge, c’è un dibattito in corso in parlamento e non sappiamo cose ne verrà fuori. In pratica, uno stato straniero dice all’Italia che il dibattito sul tema deve essere indirizzato in maniera diversa altrimenti potrebbero esserci problemi. Una cosa del genere non si era mai vista e, ripeto, il tema concordatario è inesistente.

Un’entrata a gamba tesa sul dibattito parlamentare.

Sì, quello del Vaticano è un passo preventivo e, diciamo, fastidioso. La questione è che ancora non sappiamo alla fine come sarà questa legge sull’omotransfobia, quindi il tema concordatario è inesistente. Mi spiego: una violazione del Concordato potrebbe esserci una volta approvata la legge, ma onestamente non vedo questo rischio. Se passasse così com’è, un’eventuale legge Zan non violerebbe gli accordi tra Stato e Chiesa.

Il Vaticano sembrerebbe prendersela particolarmente con l’articolo 7 del Ddl Zan, quello con cui si istituisce una giornata contro l’omotransfobia. Dicono che sarebbe una sostanziale violazione dell’autonomia culturale della Chiesa.

Non capisco una cosa: questa presa di posizione vuol dire che loro sono favorevoli all’omotransfobia? Non credo sia così che vogliono intenderla. Peraltro, in Italia, com’è noto, vige la ripartizione dei poteri, principio che la Chiesa non ha. Ora la Santa Sede dice al governo di far sapere al parlamento che questo dibattito sul Ddl Zan non va bene. Sembra di stare nel ‘500 con il Papa che minaccia il re… È una richiesta che non ha nulla a che vedere con la prassi democratica contemporanea.

Di primo acchito, la risposta della politica italiana è sembrata, per usare un eufemismo, molto morbida. Come la vede?

Davanti a una cosa del genere persino Andreotti sarebbe insorto e avrebbe rivendicato il principio di laicità. Per non dire di altri leader politici come Craxi o Spadolini… Allora, va detto, c’era un’altra sensibilità sul tema e la Chiesa era molto più attenta al dibattito politico italiano. Possiamo dire che in questo momento, in Italia, si registra un’assenza di politica ecclesiastica. E anche queste sono le conseguenze.

Il segretario del Pd Enrico Letta dice che saranno valutati «con il massimo spirito di apertura i nodi giuridici» che si aprirebbero con questa nota del Vaticano.

Quella di Letta mi pare una posizione molto debole. Personalmente sono molto geloso del principio di laicità e credo che sia centrale in questo tipo di discorso. Voglio dire, se dovesse essere necessario intervenire sul Ddl Zan, come su qualsiasi altra legge, questo non deve avvenire perché lo dice la Santa Sede. Certamente dovrà intervenire il ministro degli Esteri Di Maio, e anche Draghi, che però è la prima volta che si ritrova a dover gestire un dibattito del genere».

Ci sono precedenti?

Ce n’è uno molto recente. Durante il lockdown della primavera del 2020, la Cei tirò in mezzo il concordato sulla vicenda della chiusura delle chiese. È un precedente importante, ma a mio avviso nemmeno lì il Concordato c’entrava molto.

Per come si è posto, comunque, questo intervento sul Ddl Zan apre una questione diplomatica.

Tutto quanto avrebbe avuto più senso se a intervenire fosse stata la Cei o un vescovo italiano, che avrebbero potuto legittimamente dire la loro e entrare nel dibattito politico. Peraltro, se vogliamo parlare di Concordato, lì si stabilisce che sia proprio la Conferenza episcopale a rappresentare la Chiesa italiana verso lo Stato. Questo, al di là del merito, mi pare proprio un intervento a gamba tesa e basta. L’aspetto diplomatico è decisamente stonato, e in ogni caso vorrei ricordare che quando la Santa Sede si è messa di traverso rispetto ai diritti civili, penso all’aborto e al divorzio, non ci ha proprio guadagnato.

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Parla il padre del celebre operaio di carta: "Nei capannoni della logistica non avrebbe il tempo di parlare e non saprebbe con chi farlo". "Landini ha ragione quando dice che oggi il lavoro è disprezzato"

ROMA - Francesco Tullio Altan, si muore in fabbrica e sui piazzali della logistica, ci si scontra tra precari. Che direbbe oggi il suo Cipputi di fronte a questa situazione del mondo del lavoro? 
«Nulla, temo. Intanto perché da quel che capisco in quei capannoni ci sono ritmi folli e non avrebbe nemmeno il tempo di parlare con qualcuno. E poi perché non saprebbe con chi parlare, né sul posto di lavoro nè fuori, perché fuori ci si disperde. Cipputi non ha più compagni, è sempre solo». L’operaio più famoso d’Italia, nato 45 anni fa con un segno di penna e approdato anche sulla Treccani come simbolo di un’intera categoria, si è perso - racconta il suo autore - e non si trova più. Non può essere tra i capannoni agli snodi delle autostrade, non sfreccia tra i rider che consegnano le nostre cene a domicilio, non ha più accanto “il Binis”, “il Bigazzi”, “lo Stavazzi”, il collega con mille nomi ma sempre la stessa tuta, a cui affidare di fronte a un tornio o a una pressa le sue fulminanti battute. 

Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, ha detto su Repubblica che ormai «il lavoro è disprezzato». Lo è davvero? 
«Sì, sono d’accordo. Soprattutto perché il lavoro oggi è talmente parcellizzato, talmente ridotto a rapporti di una singola persona non più contro il padrone, ma con una sorta di entità superiore che sta sopra, che diventa difficile opporsi a qualcosa: è possibile ricattare e sfruttare chi lavora in tutte le maniere, anche nuove». 

 

 

 

Lei che esperienza aveva della fabbrica nel ‘76, quando nasce Cipputi? 
«Molto esterna, ma i Cipputi li vedevo in giro per Milano, sui tram. Qualcuno alle Feste dell’Unità veniva da me a dire. “Sono io il tuo personaggio” e in effetti gli assomigliava anche. Era forse l’ultimo periodo di qualcosa che durava da decenni e che poi si è perso».

Cipputi negli anni ha votato la sinistra, poi forse si è innamorato della Lega...
«No, il mio Cipputi mai. Di sicuro molti altri Cipputi sì».

E loro avranno anche scelto i 5 Stelle in questi anni
«Credo proprio di sì. Visto il consenso che hanno avuto per forza di cose dovevano avere anche tanti Cipputi come elettori».

Oggi Cipputi chi voterebbe? 
«Da quel po’ che lo conosco secondo me voterebbe Pd, è la sua storia. Ma non vorrei parlare per conto di un altro».

 

 

Al Pd e al sindacato chiederebbe di occuparsi dei diritti di chi è in quei capannoni e di quelli dei rider?
«Di sicuro sì, ma non so che soluzioni potrebbe offrire. Siamo davvero in un momento complicato dove il lavoro è disprezzato sia da chi lo dà sia da chi lo fa. La nobiltà del lavoro di fabbrica, che magari era ripetitivo e pesante ma dove si capiva il senso di quello che si stava facendo e c’era il piacere di farlo bene, adesso si è persa. Ora l’unico senso di portare un pacco in fretta è di poterne portare un altro dopo». 

Landini dice anche che così è a rischio la tenuta della democrazia. È una previsione azzardata? 
«No, alla lunga è possibile. Quando non c’è un senso di comunità e ognuno va per conto suo non si controlla più niente». 

Cipputi si vede ormai meno tra i suoi personaggi...
«Sì. La presenza sua e dei suoi colleghi si è diradata, se non per occasioni un po’ istituzionali come il Primo maggio o la Costituzione, dove si va a richiamare la vecchia guardia da difendere. Ma di sicuro si parla meno della sua categoria».

Per rubare una battuta proprio a Cipputi al collega che gli annuncia uno sciopero: «Facciamogli un po’ vedere chi eravamo».
«È così. In questa frammentazione è difficile trovare un emblema di chi lavora. Oggi quello che un tempo era Cipputi non appartiene più a un gruppo grande che ha dei valori, delle prospettive e delle idee, ma il suo è un vivere alla giornata, un cercare di farcela». 

Lei da un quarto di secolo organizza anche il Premio Cipputi, fino a quest’anno ospitato dal Torino Film Festival e che ora passa a Bologna. Perché? 
«Che non fosse più a Torino l’ho saputo da una telefonata dove mi si diceva che il premio non c’era più perché costava. E siccome non costa nulla, se non un paio di notti in albergo, sono rimasto perplesso. Poi Bologna mi ha detto che l’avrebbe ospitato e io ho accettato volentieri perché è una città a me carissima, dove ho passato l’infanzia».

Meno Cipputi tra i suoi personaggi, addio al Cavalier Banana, i celebri ombrelli messi in ombra dall’enorme ombrello globale che è il Covid. Il virus monopolizza anche lei? 
«Non si parla d’altro e anche io devo parlare di questo, il mio lavoro forse è diventato un po’ più difficile». 

Questo governo di unità nazionale dove tutto si tiene e le differenze si diluiscono che impressione le dà?
«Di qualcosa che ci deve essere perché non c’erano altre strade». 

Di Draghi si fida?

«Mi pare una persona competente. Meno competenti forse sono altri con lui». 

Draghi riuscirà a portarci - perdoni l’altro plagio - a essere un Paese normale invece che straordinario? 
«Quello sarebbe davvero un miracolo».

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