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Sono ormai 21 mesi che la produzione industriale è in calo. L’Italia annaspa, ma il governo è inerte. Da Nord a Sud, la mappa delle aziende in difficoltà

 

La crisi non si arresta: in ottobre la produzione industriale è rimasta invariata, mentre su base annua il calo è del 3,6 per cento. Siamo al 21esimo mese consecutivo di riduzione, come rilevato dall'Istat. A trainare al ribasso è anzitutto la produzione di autoveicoli, che ha registrato una flessione tendenziale del 40,4 per cento. “La flessione – aggiunge l’Istituto nazionale di statistica – è diffusa a tutti i principali settori di attività ed è più marcata per i beni intermedi e strumentali”.

“Una fotografia distante anni luce dalle roboanti dichiarazioni della presidente Meloni che continua a raccontare un Paese immaginario, mentre quello reale affonda”, commenta il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo: “A parte i settori alimentari, energia, riparazione e installazione di apparecchiature, il resto dell’industria italiana mostra i segni inequivocabili della recessione”.

Un dato che non stupisce la Cgil: “Al di là della narrazione sempre meno credibile del governo, la drammatica situazione dell’industria la misuriamo quotidianamente ai tanti tavoli istituzionali di crisi al ministero delle Imprese e a quelli che affrontiamo sui territori”.

Così conclude Gesmundo: “Tavoli che ormai hanno un tratto comune fatto di chiusure e delocalizzazioni di fabbriche, di riconversioni industriali che impoveriscono qualità di produzione e occupazione, di licenziamenti e cassa integrazione. Quest’ultima, in settembre, ha registrato quasi 45 milioni di ore, con un incremento del 18,8 per cento sullo stesso mese del 2023”.

Industria

Dopo diversi cicli di cassa integrazione ordinaria, alla Sodecia (ex F&B) di Raiano (L’Aquila), produttrice di componenti in ferro e alluminio per l’automotive e monocommittente Stellantis, è scattato il contratto di solidarietà. La misura coinvolge l’intero personale (50 dipendenti) e sarà attiva fino al 4 novembre 2025. A motivare la decisione, la contrazione della domanda dovuta al calo di produzione della Pro One Stellantis (ex Sevel) di Atessa (Chieti). Cgil: “Il rallentamento delle attività dell’ex Fiat ha un effetto domino sui suoi fornitori, quindi ricadute dirette sui territori e sulle realtà locali”.

Azzurra Ciani

Sono ben 1.935 (pari al 44% dei lavoratori) gli esuberi annunciati il 20 novembre dalla multinazionale turca degli elettrodomestici Beko Europe. La società intende chiudere le fabbriche di Comunanza (Ascoli Piceno) e Siena, ridimensionare quella di Cassinetta (Varese), dismettere il reparto di ricerca e sviluppo di Fabriano (Ancona) e, in generale, operare tagli in tutti i siti italiani. L’azienda si è comunque impegnata a “mantenere le produzioni attive e a continuare ad assorbire le significative perdite generate dai siti fino alla fine del 2025”. Fiom : “L’azienda deve presentare un nuovo piano industriale, non può presentarsi tre mesi dopo l'acquisizione e voler dimezzare i dipendenti”. Il prossimo incontro è previsto per metà gennaio.

Ancora un lungo stop per lo stabilimento Stellantis di Torino Mirafiori. Alle Carrozzerie la cassa integrazione va dal 2 dicembre al 5 gennaio, poi dal 7 gennaio al 2 agosto 2025 per 1.005 lavoratori della Carrozzeria linea 500 Bev e 794 colleghi della Carrozzeria linea Maserati. Gli ammortizzatori sociali coinvolgono anche (dal 7 gennaio al 14 febbraio) i 254 lavoratori della Preassembly & logistic unit (ex mascherine); in cassa anche 334 dipendenti di Stellantis Europe di San Benigno e 300 operai delle Presse 96 della Costruzione stampi. Fiom: “L’utilizzo degli ammortizzatori sociali compie 18 anni. È imbarazzante che Stellantis, che ha distribuito dividendi stratosferici agli azionisti negli ultimi anni, si sia ridotta così”.

Cassa integrazione alla Piaggio di Pontedera (Pisa). L’ammortizzatore sociale, in vigore dal 2 al 20 dicembre, riguarda 1.098 dipendenti (698 addetti dello stabilimento Due ruote, 306 delle meccaniche e 94 del cosiddetto Vtl) e coinvolge gran parte dei reparti dell’impianto dove si producono scooter. Fiom: “In questo periodo dell’anno il ricorso a questa misura è frequente. Ma siamo preoccupati per l’immediato futuro perché le incertezze sui volumi della produzione sono tante. Temiamo che l’ammortizzatore sociale possa essere riattivato anche all’inizio del nuovo anno”.

Un anno di cassa integrazione straordinaria in deroga per area di crisi complessa per tutto il 2025. Questo l’accordo trovato nell’incontro del 27 novembre (e firmato il 19 dicembre) sulla vertenza della Lear di Grugliasco (Torino), fabbrica di sedili per l’automotive con 380 dipendenti, alle prese da anni con l’utilizzo di ammortizzatori sociali. Sindacati: “I 12 mesi di tutela aggiuntiva dovranno servire a trovare un investitore che reindustrializzi il sito, giacché i volumi produttivi nella fabbrica torinese sono ridotti al lumicino”. Il prossimo incontro è calendarizzato per il 30 gennaio 2025.

Accordo raggiunto alla Berco di Copparo (Ferrara), azienda produttrice di sottocarri per macchine movimento terra cingolate. I 400 esuberi (su 1.235 dipendenti) annunciati il 17 ottobre dalla multinazionale del gruppo ThyssenKrupp restano, ma saranno volontari e incentivati. L’incentivazione economica lorda è pari a 57 mila euro, chi vorrà aderire dovrà comunicarlo alla società entro il 16 gennaio 2025. La multinazionale metterà a disposizione dei lavoratori che lo richiederanno un servizio di outplacement, i cui costi andranno però decurtati dall’incentivo. Sindacati: “Ma la vicenda Berco non è conclusa”

Dopo 125 anni di storia, chiude definitivamente la storica azienda Prandelli di Lumezzane (Brescia), specializzata nella produzione e distribuzione di tubi e raccordi in polipropilene. Per i 53 dipendenti della società è stata avviata la procedura per l’ottenimento dell'indennità di disoccupazione Naspi. L’azienda era in crisi da tempo, con una posizione debitoria di circa 14 milioni di euro. Il 16 ottobre scorso la Prandelli è stata ammessa al concordato semplificato.

Brutte notizie per la Magneti Marelli di Sulmona (L’Aquila). Nell’incontro del 28 novembre scorso l’azienda produttrice di componenti per automotive ha annunciato la proroga di un anno del contratto di solidarietà (l’attuale terminerà il 1° agosto 2025) per i 460 lavoratori dello stabilimento, nonché l’aumento degli esuberi previsti, dagli 85 del 2024 ai 147 del 2025. A motivare la decisione, i bassi livelli di produzione dell’impianto Stellantis (ex Sevel) di Atessa, da cui la fabbrica abruzzese dipende quasi interamente. Sindacati: “Marelli sta uscendo a fatica dalla fase di peggiore difficoltà, ma sta affrontando una crisi di settore di cui non è ancora possibile intravedere la fine”.

Prorogata la cassa integrazione ordinaria per lo stabilimento Leonardo di Grottaglie (Taranto). L’ammortizzatore sociale coinvolgerà a rotazione (come già avvenuto nella prima tranche iniziata a metà agosto) tutti i 931 dipendenti della società italiana a controllo pubblico attiva nei settori difesa, aerospazio e sicurezza. Iniziata il 18 novembre, la cassa terminerà il 5 gennaio. A motivare la proroga, il calo dell’attività con l’industria aeronautica statunitense Boeing, cui Leonardo fornisce due sezioni della fusoliera dell’aeroplano 787.

Accordo raggiunto alla Bystronic, multinazionale svizzera attiva nella progettazione e produzione di macchine di automazione industriale, che il 10 ottobre scorso aveva annunciato la cessazione dell'attività negli stabilimenti di San Giuliano Milanese e Fizzonasco di Pieve Emanuele (Milano). L’accordo prevede che 43 addetti restino dipendenti del gruppo per almeno due anni, con la garanzia che in questo arco di tempo non potranno essere licenziati. Per i restanti 100 è previsto un incentivo all’esodo pari a più di un anno di stipendio, oltre alla possibilità di rivolgersi, a spese di Bystronic, a una società di ricollocazione.

Un contratto di solidarietà della durata di 24 mesi per disinnescare i licenziamenti, i demansionamenti e l'internalizzazione del servizio di sicurezza. È quanto prevede l’accordo siglato il 27 novembre tra i sindacati e la L-Foundry di Avezzano (L’Aquila), azienda di proprietà cinese che produce memorie volatili e sensori d'immagine. La società aveva annunciato, per fine anno, il taglio di 134 posti di lavoro, il demansionamento per circa 80 dipendenti e l’esternalizzazione dell’help desk. Riguardo quest’ultimo, l’intesa stabilisce l’impegno dell'azienda a ricollocare al proprio interno “il personale tenendo conto delle competenze specifiche di ciascuno”.

Chiude la Energica Motor Company di Soliera (Modena). L’azienda, produttrice di moto elettriche ad alte prestazioni e controllata al 75% dal fondo statunitense Ideanomics, è entrata in liquidazione giudiziale per stato di insolvenza. Per i 37 dipendenti, scaduto a fine ottobre il contratto di solidarietà, è stata approvata la cassa integrazione straordinaria fino al 31 dicembre. Fiom: “Auspichiamo la prosecuzione dell’ammortizzatore sociale anche per il 2025. Siamo preoccupati per le tempistiche di reindustrializzazione del sito, abbiamo chiesto al liquidatore di velocizzare l’azione di ricerca di eventuali acquirenti”.

Licenziamenti scongiurati negli stabilimenti Edim di Villasanta (Brianza) e Quero (Belluno), società del gruppo Bosch attiva nella pressofusione e lavorazioni meccaniche per la grande industria. Il 3 dicembre azienda e sindacati hanno siglato un accordo che supera la richiesta di 93 esuberi mediante l’attivazione della cassa integrazione straordinaria, l’uscita volontaria e incentivata (supportata da un percorso di riqualificazione e ricollocazione professionale), l’affidamento alle agenzie interinali dei lavoratori con contratto a termine. “L’azienda – spiegano i sindacati – ha comunque ribadito il momento di grande difficoltà e la necessità di ridurre il personale”.

Il 7 novembre la Targetti Sankey di Firenze, azienda di illuminotecnica di alta gamma di proprietà della 3F Filippi di Bologna, ha comunicato la chiusura della produzione e la vendita dello stabilimento di Firenze, con la conseguente riduzione del personale da 90 a 40 lavoratori. La produzione sarà svolta esclusivamente nell’impianto di Nusco (Avellino). A nulla finora sono valse le proteste di sindacati e istituzioni, il tavolo di trattativa presso la Regione Toscana si è interrotto il 20 dicembre. Fiom-Fim: “L’azienda non si è resa disponibile a rivedere la decisione, mettendo sul tavolo solo ipotesi finanziarie e nessun piano industriale. Alla ripresa produttiva del 7 gennaio condivideremo le prossime decisioni da prendere”.

Abbigliamento, tessile e ceramica

Sei settimane di cassa integrazione ordinaria all’azienda di alta moda Aeffe (produttrice di brand come Alberta Ferretti e Moschino). L’ammortizzatore sociale (dal 1° ottobre al 20 dicembre) coinvolge a rotazione tutti i 600 dipendenti dello stabilimento di San Giovanni in Marignano (Rimini) e dell’unità produttiva di Milano. “La contrazione delle vendite – spiegano i sindacati – è confermata anche per la prima parte del 2025, probabilmente sarà necessario analizzare se richiedere la cassa integrazione straordinaria, visto che la stessa permette un nastro temporale più lungo, anche di 12 mesi”.

Ulteriori incentivi all’esodo volontario e percorsi di outplacement a carico dell’azienda. Questo il contenuto del nuovo accordo tra Benetton e sindacati per fronteggiare la crisi che da tempo colpisce la notissima azienda tessile italiana. L’intesa, siglata il 3 dicembre, prevede la possibilità per i lavoratori di uscire con un incentivo che può arrivare fino a 70 mila euro sulla base dell’anzianità. Previsti anche percorsi di outplacement del valore di 4 mila euro a carico dell’azienda, ma anche l’opportunità, per un massimo di 20 dipendenti, di un impiego di 12 mesi con un’agenzia di lavoro interinale.

Ammortizzatori sociali alle Ceramica Del Conca di Savignano sul Panaro (Modena). La cassa integrazione straordinaria, iniziata il 9 dicembre, coinvolge a rotazione tutti i 250 dipendenti. La durata prevista è di dieci mesi, anche se l’azienda, in un comunicato, ha affermato che “l’intervento prevede un coinvolgimento per i lavoratori limitato ai primi mesi del nuovo anno, per poi ripartire a pieno regime”. A motivare la decisione, il calo degli ordinativi provocato a livello internazionale dalla forte concorrenza dei produttori asiatici, mentre in Italia dal rallentamento dell’edilizia dovuto allo stop del superbonus.

Ancora tutto da definire il futuro dei 175 dipendenti della Tirso di Muggia (Trieste), azienda tessile del gruppo veneto Fil Man Made, che ha chiuso il 1° ottobre scorso per difficoltà finanziarie. Il personale, in larga parte donne sopra i 50 anni d’età, potrà essere coperto (ha assicurato la Regione Veneto) dalla cassa integrazione fino al 30 settembre 2025. Nel frattempo si sta cercando un acquirente per un possibile passaggio di proprietà dell’impianto. Sindacati: “Occorre attivare subito una formazione che consenta agli addetti di affacciarsi sul mercato o reimpiegarsi all’interno delle nuove produzioni che potrebbero arrivare nella fabbrica”.

La crisi generale dell’automotive sta provocando grandi difficoltà anche nelle aziende che lavorano per il settore: è il caso della Alcantara di Nera Montoro (Terni). La storica impresa (di proprietà giapponese) produttrice dell’omonimo materiale tessile per rivestimenti interni di autoveicoli, imbarcazioni, arredi di design e alta moda, ha annunciato l’avvio di un nuovo ciclo (dopo quello del giugno 2024) di 13 settimane di cassa integrazione per i suoi 520 dipendenti, dal 2 gennaio fino al 30 marzo 2025, con lo stop totale di alcuni specifici reparti dello stabilimento.

Raggiunto il 5 novembre scorso l’accordo sulla chiusura della Fcm di Campi Bisenzio (Firenze), azienda di accessori moda di proprietà della multinazionale Oerlikon. L’azienda si è resa disponibile a supportare il “piano di continuità aziendale” e la ricollocazione dei 18 lavoratori (cui in settembre era stato avviato il licenziamento collettivo). L’accordo prevede uscite volontarie con incentivo economico, l’adozione della cassa integrazione straordinaria fino al 31 dicembre, una dote economica per la ricollocazione dei lavoratori presso altre aziende e un’ulteriore dote per il rilancio del sito pari a 8 mila euro per ogni lavoratore riassunto dall’impresa che reindustrializzerà il sito.

Avviata il 2 dicembre scorso la cassa integrazione ordinaria, che proseguirà per 13 settimane, per i 350 dipendenti della Ceramica Dolomite di Borgo Valbelluna (Belluno). L’azienda (ex Ideal Standard) ha ritirato la richiesta di 45 esuberi, determinati dalle annunciate esternalizzazioni di una serie di funzioni di alcuni reparti, che non verranno più affidate a ditte esterne. “Il quadro generale rimane incerto”, commentano i sindacati, sottolineando che rimangono ancora perplessità “sia sulla volontà dei soci di continuare a sostenere l’azienda, in grave difficoltà finanziaria, sia riguardo la definizione dei piani industriali e commerciali, previsti per metà gennaio”.

Call center, farmaceutica e servizi

Revocato il licenziamento collettivo di 50 lavoratori di Milano impiegati nel customer service di Just Eat, annunciato l’8 novembre dalla multinazionale anglo-danese della consegna di cibo a domicilio, che intendeva spostare il servizio in Albania. Il 5 dicembre azienda e sindacati hanno raggiunto un accordo che “consentirà - spiegano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs territoriali - di iniziare un percorso strutturato per studiare soluzioni alternative ai licenziamenti, oltre a permetterci di comprendere quale sia il progetto di riorganizzazione internazionale di Just Eat, così da prevenirne eventuali future ricadute sul nostro Paese”.

“La perdita del 14% della forza lavoro della più grande azienda industriale del territorio è inaccettabile”. Questo il commento della Filctem Cgil senese in merito alla decisione dell’azienda biofarmaceutica britannica Gsk (GlaxoSmithKline) di ridurre di 270 unità il personale degli stabilimenti di Siena e Rosia. Quest’ultimo è un centro di eccellenza che produce circa 60 milioni di dosi di vaccini l’anno, distribuite in 57 Paesi nel mondo. Le uscite, previste nell’arco di due anni, saranno volontarie e incentivate. Cgil: “Abbiamo chiesto all'azienda cosa succederà se non ci saranno volontari, ma non c’è stata risposta. Il timore è che da volontari si trasformino in veri e propri esuberi”.

A inizio novembre gli esuberi annunciati erano 129, il 10 dicembre è stata aperta la procedura di licenziamento collettivo per 252 lavoratori (su complessivi 400 addetti). Si aggrava, dunque, la situazione del call center Callmat di Matera, travolto dal drastico ridimensionamento della commessa da parte di Tim. Sindacati: “Callmat deve attivare subito gli ammortizzatori sociali per garantire un minimo di protezione alle maestranze”. I licenziamenti sono per ora sospesi in attesa dell’incontro ministeriale previsto per l’8 gennaio.

Cartaria, editoria e alimentari

La Agr Packaging (ex Farmografica) di Cervia (Ravenna), multinazionale austriaca attiva nei settori imballaggio e stampa di consumo con 80 dipendenti, chiuderà definitivamente. Il 9 dicembre azienda e sindacati hanno siglato un accordo per la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività (da gennaio a dicembre 2025) per i lavoratori che non accetteranno il licenziamento; per chi lo accetterà, invece, è stato “concordato un incentivo economico all’esodo da calcolare su anzianità contrattuale, inquadramento e retribuzione attuale”.

Un anno di cassa integrazione straordinaria per crisi complessa e 105 possibili ricollocazioni nelle Marche (più altri 55 nelle società del gruppo presenti in Nord Italia). Questo l’accordo trovato il 9 dicembre per i 173 lavoratori della Giano di Fabriano (Ancona), azienda del gruppo cartario Fedrigoni, di cui il 3 ottobre scorso era stato annunciato il licenziamento collettivo. Previsti anche incentivi per chi opterà per il prepensionamento o per l’uscita entro la fine del 2025. La società ha confermato lo stop definitivo entro il 2024 alla produzione di carta per ufficio, mentre continuerà quella delle carte speciali. “La reindustrializzazione - commenta la Slc Cgil - è l’obiettivo a lungo termine più importante”.

La ex Cinzano chiuderà. La comunicazione è arrivata martedì 26 novembre: la Diageo, multinazionale britannica delle bevande alcoliche, ha infatti annunciato la dismissione della distilleria di Santa Vittoria d'Alba (Cuneo), mettendo a rischio i suoi 349 addetti (215 operai, 113 impiegati, 16 quadri e cinque dirigenti). A motivare la decisione, l'esigenza di focalizzare “gli investimenti sui siti ritenuti strategici” e la “lontananza dell’impianto dai principali mercati del gruppo”, che sono quelli del Nord Europa. Sindacati: “Decisione non legata a ragioni economiche, ma a una scelta strategica e di mercato. Ma noi lavoreremo per ottenere la salvaguardia dei posti di lavoro”.

Il 10 gennaio l’agenzia di stampa Redattore Sociale chiuderà. Dopo due anni di crisi aziendale e una pesante cassa integrazione, l’editore Comunità di Capodarco licenzierà sette dipendenti (di cui cinque giornalisti e due poligrafici). “Da due anni, nonostante le sollecitazioni della redazione, l’editore non ha cercato nessun’altra soluzione per tenere in piedi un progetto che considerava ormai concluso”, scrivono il Cdr e l’assemblea dei dipendenti: “Poco importa che quel progetto in questi anni abbia raccontato per primo il disagio, economico e sociale, sempre crescenti nel nostro Paese”.

 

 

“Sempre più famiglie – commenta il segretario generale Massimo Bussandri – fanno fatica ad arrivare a fine mese se non abbassando progressivamente il proprio livello di consumi, non certo voluttuari”. Leggi il report

Anche in Emilia-Romagna è emergenza salari e pensioni. A lanciare l’allarme è la Cgil, suffragando la propria preoccupazione per il presente e per l’immediato futuro con un report dettagliato stilato dall’Ires (LEGGI QUI). Nonostante la regione resti uno dei territori con più benessere e minori diseguaglianze, anche qui la crisi si è fatta e si fa sentire.

Nel 2023 il 6,8% delle famiglie residenti in condizioni di povertà relativa

Nel 2023 in Emilia-Romagna il 6,8% delle famiglie residenti viveva in condizioni di povertà relativa, ovvero con un reddito inferiore alla soglia dei 1.211 euro mensili (famiglia di due componenti adulti). Si tratta di una percentuale superiore a quelle degli anni passati, ma notevolmente inferiore a quella media nazionale (10,6%).

L’Emilia-Romagna continua a essere una delle regioni italiane che si difende meglio dalla crisi se guardiamo alle medie nazionali. Il quadro è però notevolmente mutato, per la crisi economico-finanziaria del 2008 prima e per l’impatto della pandemia da Covid-19 poi, con un ulteriore peggioramento nel 2022, soprattutto sul fronte dell’inflazione e della riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. In quest’ultimo anno, infatti, la spesa media delle famiglie emiliano-romagnole è cresciuta dell’8,9%, arrivando alla soglia dei 2.900 euro a famiglia. Una crescita quindi superiore a quella dell’inflazione calcolata secondo l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), pari all’8,4% e molto superiore alla crescita media dell’importo delle pensioni (+3,1%), nonché delle retribuzioni dei settori privati non agricoli (+1,2% quelle giornaliere e +3,2% quelle annue).

Il circolo dello svantaggio sociale

È vero che nell’anno successivo, il 2023, la crescita dei prezzi è stata inferiore (5,2%) e l’aumento delle retribuzioni (+3,6% quelle annue) e soprattutto delle pensioni (+7,5%) maggiore, ma questo non è bastato comunque a salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie. Soprattutto se si considera che la maggior parte delle persone in povertà presenta una situazione multiproblematica, per cui, ad esempio, fragilità e disagio economico si accompagnano generalmente a condizioni di debolezza sul mercato del lavoro, precarie condizioni abitative, associate più frequentemente a titoli di studio medio-bassi, in un rapporto di causalità circolare di segno negativo difficile da rompere e che, anzi, si rafforza da sé. Aumenta e si cronicizza il rischio per queste persone – spiega il report – di rimanere intrappolate nel cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale”.

Cresce l’indicatore di sovraccarico del costo dell’abitazione

A conferma di ciò, cresce nel 2022 in Emilia-Romagna l’indicatore di sovraccarico del costo dell’abitazione, cioè la percentuale di coloro che vivono in famiglie in cui il costo totale dell’abitazione costituisce oltre il 40% del reddito familiare netto, che tende ad avvicinarsi a quello nazionale (5,0% contro 6,6%).

Una fotografia di forti disuguaglianze

Dall’analisi dell’andamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei settori privati non agricoli dell'Emilia-Romagna nel biennio 2021-2023, oltre al già segnalato divario rispetto all’andamento dell’inflazione, emerge un quadro caratterizzato da diverse disparità. Quella territoriale, con l’asse delle province “forti” (Parma, Modena, Bologna e Reggio Emilia) molto distanziate dalle più deboli (Ferrara e, soprattutto, Rimini), anche per la maggior presenza in queste ultime di lavoro precario e part-time.

La disparità settoriale, dove spicca in particolare la bassissima retribuzione sia giornaliera (78,1 €, al netto dei part-time) sia annua (10.350 €) del settore “alloggio e ristorazione”. Quella per qualifica professionale, con i dirigenti che guadagnano oltre 5,5 volte di più degli operai. Quella di genere, con le donne che su base annua guadagnano in media il 68,4% di quanto percepito dagli uomini. La disparità relativa alla cittadinanza, con gli extracomunitari che nel 43,1% dei casi non raggiungono i 15.000 euro annui di retribuzione.

Massimo Bussandri, Cgil Emilia Romagna: “Sempre più famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese”

“L’Emilia-Romagna – commenta il segretario generale regionale, Massimo Bussandri – si conferma la regione italiana con il più basso rischio di povertà e con un indicatore di disuguaglianza nettamente inferiore alla media nazionale, ma l’accurata ricerca di Ires ci dice che, purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Se le sacche di povertà vera sono oggettivamente circoscritte, è altrettanto vero che sempre più famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese se non abbassando progressivamente il proprio livello di consumi, non certo voluttuari. Si tratta di famiglie che non appartengono a contesti di disagio sociale, ma di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati i cui redditi si sono progressivamente impoveriti negli ultimi anni (aumentando molto meno rispetto alle necessità per far fronte alla crescita dei prezzi), tanto da dare corpo a una vera emergenza salariale e pensionistica”.

“Anche l’analisi delle retribuzioni – continua il segretario – ci conferma che l’Emilia-Romagna del lavoro stabile e continuativo si sta contraendo (ormai solo la metà dei lavoratori dipendenti emiliano-romagnoli lavora a tempo pieno e indeterminato per tutto l’anno) per fare sempre più posto a tipologie di lavoro povero e precario. Crescono i divari tra territori, tra settori produttivi e tra i generi. Questo è quello che si evince dai dati e lo scenario macroeconomico che abbiamo davanti non ci tranquillizza affatto. La crisi della manifattura che da noi copre una vasta gamma delle produzioni industriali (meccanica e automotive con il relativo indotto, chimica di base, tessile d’eccellenza) ma anche larga parte dei settori manifatturieri artigiani richiede risposte urgenti perché rischia di far uscire dalla porta ancor più posti di lavoro stabili e strutturati per fare ulteriore spazio alla povertà lavorativa”.

“Le difficoltà del welfare e della sanità pubblica, generate da politiche nazionali scellerate, rischiano di essere – scrive Massimo Bussandri – un ulteriore fattore di impoverimento (di chi per curarsi deve rinunciare a un’ulteriore quota di reddito o di chi addirittura deve rinunciare alle cure) e richiedono la messa in campo di una nuova progettualità regionale. La crisi climatica che ha colpito mezza regione, da Bologna alla Romagna, richiede la definizione di un nuovo modello di sviluppo se non vogliamo che gli eventi estremi determinino nelle zone più esposte un forte ridimensionamento demografico e produttivo. La manutenzione del Patto per il Lavoro e per il Clima sarà la sede regionale dove affrontare questi nodi. La campagna referendaria di primavera, con i sei referendum promossi dalla Cgil o sostenuti anche dalla Cgil, sarà l’occasione per invertire una tendenza nefasta a partire dall’indirizzo politico nazionale, occasione che io credo tutte le forze politiche sane di questa regione avrebbero interesse a sostenere”.

Da tempo si è avuta notizia che l'impianto di Biogas sito in via Bulzacca, 16, già di proprietà della società agricola Agrimetano S.R.L., era stata acquisita dall'impresa Bioenerys Agri S.R.L., poi, con diversi processi di fusione con altre società, diventata BYS società agricola impianti S.R.L, controllata al 100% SNAM, (sempre con un capitale sociale di 10.000 Euro) con l'ipotesi di un suo ampliamento e trasformazione per la produzione di biometano.

Per quanto ci riguarda, non obiettiamo circa lo sviluppo di impianti di produzione di biogas e biometano - quando questi sono opportunamente progettati e alimentati con i previsti materiali di scarto e di recupero da zone limitrofe - perché possono essere una valida, seppur parziale, alternativa all'uso di gas fossile, nel percorso per la transizione energetica.

Tuttavia, nel caso in questione, gli impatti che il nuovo progetto avrebbe sull'area interessata potrebbero avere impatti che riteniamo non possano essere compatibili. Già oggi il via vai dei camion che portano le materie prime all'impianto stanno generando disagi significativi ai cittadini residenti, sia come pericolosità per la sicurezza, sia come deformazione del manto stradale..

Evidentemente l'ampliamento, o il raddoppio, dell'impianto aumenterebbe questi disagi in una strada angusta (via Fabbra) aumentando il traffico dei mezzi in entrata e, ancor più, se venisse confermata l'ipotesi che il biometano in uscita fosse anch'esso trasportato via cisterna, che aumenterebbe enormemente i problemi di sicurezza.

E' evidente che l'attuale viabilità non è adeguata a questo tipo di trasporti e non è possibile immaginare un suo ampliamento.

Infatti, essendo via Fabbra interna all'impianto storico della centuriazione romana, come recita l'art. 23 comma 4 del RUE: “...nell’area dell’impianto storico della centuriazione è fatto divieto di alterare le caratteristiche degli elementi essenziali quali le strade, le strade poderali e interpoderali, i canali di scolo e di irrigazione……”

Questa è la ragione per la quale, anche su sollecitazione dei cittadini residenti, come circolo Legambiente Lamone di Faenza e delle assocciazioni che fanno parte del “Tavolo ambiente”, abbiamo fatto richiesta all'Amministrazione Comunale di accedere agli atti relativi al progetto in questione e, più in generale, alle informazioni ad esso relative che sono in suo possesso. Siamo pertanto a sollecitare la messa a disposizione di queste informazioni, affinché tutti possano valutare i reali impatti di un progetto di questo tipo.

 

 

Ancora una volta si deve al Movimento 5Stelle un piccolo passo avanti in favore della pace.

Sulla scia di quelli che sono gli intendimenti del Gruppo a livello nazionale, il Movimento faentino nelle vesti del capogruppo Marco Neri, ha svolto un'importante azione di coinvolgimento e dialogo affinché il Consiglio Comunale di Faenza si esprimesse, come è avvenuto in data 17 dicembre, in favore del riconoscimento dello stato di Palestina.

L’iniziativa promossa dal comitato “La Via Maestra Insieme per la Pace” attraverso la Rete Pace e Giustizia in Medio Oriente, rappresenta un passo cruciale in un momento storico segnato da un aumento senza precedenti della violenza e dalla devastazione. Infatti, seppure si tratti di un messaggio di pace che va ben oltre la portata della nostra comunità, è importante non restare insensibili alle richieste di aiuto che ci arrivano da ogni parte del pianeta.

In questo caso, la guerra in Medio Oriente è precipitata in un conflitto che ha causato un numero catastrofico di vittime civili, specialmente a Gaza, dove oltre due milioni di persone vivono in condizioni di precarietà e sfollamento multiplo.

La gravità del conflitto chiama a raccolta tutte le forze civili e politiche affinché si oppongano all’orrore della guerra e si schierino senza indugi a fianco delle vittime innocenti. Il Movimento ribadisce la necessità di un impegno reale per il cessate il fuoco e per la costruzione di una pace equa e duratura.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina è un passo fondamentale per dare ascolto alle aspirazioni del popolo palestinese e garantire una legittima tutela delle loro istanze in conformità con il Diritto Internazionale.

Questo atto di giustizia non solo permetterà ai palestinesi di negoziare in condizioni di pari sovranità, ma favorirà anche una risoluzione duratura del conflitto.
Il documento, rimasto a firma Movimento 5Stelle, ha trovato i voti della maggioranza compatta per l’approvazione in Consiglio Comunale.

Ciò dà forza ai pentastellati nel porsi con ancora più fermezza al fianco della Rete Pace e Giustizia in Medio Oriente, costituita da più di 80 organizzazioni, delle quali oltre trenta operano attivamente sul nostro territorio.

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Movimento 5 stelle Faenza 

ponte stretto drena risorse Pendolaria 2024

Il rapporto annuale Pendolaria analizza lo stato dei trasporti pubblici in Italia: investimenti insufficienti perché dirottati sulle grandi opere

«L’aspetto drammatico è che oltre l’87% degli stanziamenti infrastrutturali fino al 2038 sono dedicati al Ponte sullo Stretto di Messina». Questo è uno degli elementi che spicca nell’edizione 2024 del rapporto Pendolaria con cui Legambiente analizza lo stato dei trasporti pubblici italiani. L’Ong denuncia un’attenzione alle grandi opere che «distoglie l’attenzione dai veri problemi di chi viaggia in treno ogni giorno» e certifica un ritardo dell’Italia nel potenziare il trasporto pubblico, che nel 2023 non è ancora tornato al numero di passeggeri del 2019 e continua in molte città a essere molto indietro rispetto ad altre realtà europee paragonabili. Tra gli effetti di questo fenomeno ci sono la motorizzazione record degli italiani – che si confermano primi in Europa per auto in rapporto alla popolazione – e il relativo inquinamento.

«Il ponte sullo Stretto drena risorse»

«Il progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina sta drenando risorse fondamentali per il Sud», si legge nel rapporto. «Lo scorso anno, 1,6 miliardi di euro sono stati dirottati dalla quota dei Fondi per lo sviluppo e la coesione destinati direttamente alle regioni Calabria e Sicilia, mentre ora sono state alleggerite ulteriormente – da 9,3 a 6,9 miliardi – le spese a carico dello Stato, aumentando da 2,3 a 7,7 miliardi il contributo del fondo per lo sviluppo e la coesione». Legambiente denuncia una concentrazione eccessiva di fondi destinati al Ponte sullo Stretto, «lasciando irrisolti problemi cronici come le linee chiuse o i servizi sospesi da oltre un decennio». E poco può fare l’aumento di 120 milioni al Fondo Nazionale Trasporti previsto nelle bozze della legge di bilancio. Lo stanziamento è passato dal da circa 6,2 miliardi di euro nel 2009 a 5,2 miliardi nel 2024 (-16%). Una diminuzione ancor più marcata (-36%) se si tiene conto dell’inflazione.

 

Le linee critiche

Tra le linee che richiedono investimenti, Legambiente indica quelle che presentano gli aspetti più critici. «Le linee ex Circumvesuviane, segnata da avarie, soppressioni, tagli, sovraffollamenti; la Roma Nord-Viterbo che nel 2024 ha visto oltre 5 mila corse soppresse, la Milano-Mortara-Alessandria, che serve 19 mila persone al giorno, ed è caratterizzata da guasti frequenti e ritardi, e la Catania-Caltagirone-Gela di cui una tratta, la Caltagirone-Niscemi-Gela, è sospesa da ben 13 anni e mezzo. Per la Roma-Lido si vede un leggero miglioramento ma sono ancora molti i problemi dei pendolari su questa linea». 

«Le grandi opere distolgono l’attenzione dai veri problemi»

Al di là dei casi particolari, il divario infrastrutturale italiano rispetto ai maggiori Paesi europei si rivela profondo. Secondo quanto rileva il rapporto, questo non riguarda le grandi opere, spesso al centro del dibattito pubblico negli ultimi trent’anni. Il vero problema è la carenza di reti di trasporto pubblico efficienti e capillari nelle aree metropolitane del Paese. Nel complesso, le città italiane dispongono di appena 269,8 chilometri di linee metropolitane, un valore ben distante dai 680,4 km del Regno Unito, dai 657,2 km della Germania e dai 615,6 km della Spagna.

In tutta Italia ci sono meno metropolitane che a Madrid

A titolo di confronto, il totale delle metropolitane italiane risulta inferiore a quello di singole città come Madrid (293 km) o paragonabile a Parigi (245,6 km). La situazione non migliora sul fronte delle tranvie, dove l’Italia conta 397,4 km di linee operative, meno della metà rispetto agli 878,2 km della Francia e lontanissima dai 2.044,5 km della Germania. Anche le ferrovie suburbane segnano un ritardo significativo. La rete italiana si estende per 721,9 km, un dato già in calo per via della recente dismissione parziale della Circumetnea. La Germania, invece, vanta 2.041,3 km di ferrovie suburbane, seguita dal Regno Unito con 1.817,3 km e dalla Spagna con 1.442,7 km.

Un Paese a misura di auto

Il risultato di trasporti pubblici insufficienti è che le città italiane continuano a fare i conti con tassi di motorizzazione ben al di sopra della media europea, segno di una forte dipendenza dall’auto privata e di una carenza di infrastrutture per la mobilità sostenibile. Tra i dati più allarmanti, spiccano Catania con 790 auto ogni 1.000 abitanti, Perugia con 772 e Torino con 693. Valori di molto superiori a quelli registrati in grandi città europee come Madrid (360), Londra (351), Berlino (337) e Parigi (250), dove invece si registra un deciso calo nell’uso dell’auto privata a favore di trasporto pubblico e bicicletta.

Poca integrazione tra trasporto pubblico e mobilità dolce

A Parigi, prosegue Legambiente, dal 1990 l’utilizzo delle auto è diminuito del 45%, mentre il trasporto pubblico è cresciuto del 30% e l’uso della bicicletta è aumentato di dieci volte. In Italia, al contrario, il tasso medio di motorizzazione si attesta a 682 auto ogni mille abitanti, con un 30% in più rispetto a Francia, Germania e Spagna. La causa principale è attribuita nel rapporto alla mancanza di interconnessioni tra trasporti pubblici locali, mobilità dolce e infrastrutture ciclabili, che penalizza l’integrazione dei trasporti urbani e la riduzione dell’uso dell’auto. Le conseguenze di questa situazione si riflettono direttamente sui livelli di inquinamento atmosferico e sulla salute pubblica. Nel 2023, 18 città italiane hanno superato i limiti giornalieri di PM10.

Nella Giornata internazionale del migrante il docufilm della Funzione pubblica Cgil. Una riflessione sui lavoratori della filiera della solidarietà

In occasione della giornata internazionale del migrante, la Funzione pubblica Cgil offre uno spaccato delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto dell’accoglienza e sulla loro operatività che segna ogni giorno dell'anno.

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Da questa consapevolezza nasce “In-visibili: i professionisti dell’accoglienza”, il docu-video che ricostruisce alcune tappe del percorso dei migranti, scandito dalla professionalità di chi lavora nei servizi pubblici: da chi li soccorre in mare a chi offre loro le prime cure cura, dagli operatori legali che li prendono in carico a chi valuta le loro richieste di asilo. Dai mediatori culturali, agli assistenti sociali fino al personale dei centri di accoglienza che si occupano, tra le molte cose, della loro istruzione, degli aspetti psicologici e sociali del loro vissuto e del loro inserimento nella società.

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Sono davvero molte le figure professionali che rendono viva e possibile la filiera dell’accoglienza per dare a chi arriva nel nostro Paese la legittima opportunità di vivere una vita dignitosa. E proprio per questo la loro professionalità andrebbe valorizzata e i servizi rafforzati. Nulla di più lontano dalle scelte della politica che ha optato per la via dei respingimenti, della detenzione inumana nei CPR, del decreto Cutro e dei decreti Sicurezza, e dello smantellamento del sistema pubblico di accoglienza.

Ma un migrante che arriva e non è supportato dall’assistenza legale come può sapere a cosa ha diritto? Se si elimina l’insegnamento dell’italiano dalle attività dei centri, quale prospettiva di inclusione si può dare a chi arriva senza parlare la lingua? Un migrante che arriva, spesso al termine di percorsi che mettono a dura prova la salute fisica e mentale, come può integrarsi senza assistenza sanitaria e sociale, senza politiche per l’istruzione e per l’attivazione lavorativa?

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Per questo la Funzione Pubblica Cgil sceglie, con convinzione, di andare in direzione contraria, verso la valorizzazione di chi è impegnato ogni giorno per accogliere i popoli e dare loro una possibilità di integrazione, verso canali di accesso umani e legali nel nostro Paese. Si tratta di condizioni necessarie e non più rinviabili.

Persona che si sposta verso nuove sedi, una persona che si muove dal suo paese di origine per migliorare le sue condizioni di vita”.

È quanto si legge nel dizionario italiano alla voce “migrante”. Sono migranti i giovani italiani che scelgono di vivere all’estero in cerca di una valorizzazione professionale, sono migranti i popoli che fuggono dalla guerra, sono migranti quelli che scelgono di spostarsi a causa dei disastri climatici.

A nessuno verrebbe in mente di respingere un giovane europeo che sceglie di vivere in Italia, né di isolarlo e non coinvolgerlo nella società, di negargli possibilità di studio e di lavoro. Non ci viene in mente perché sappiamo e diamo per scontato che ognuno di noi abbia il completo diritto di spostarsi, di scegliere dove vivere, di varcare confini che sono solo immaginari.

Eppure, il termine "migrante”, nel tempo, è stato utilizzato con un’accezione volutamente negativa che mirava ad orientarne l’effetto di senso suggerendo l’associazione a una situazione di illegalità, delinquenza, pericolo ed estraneità. Si è messo in atto un vero e proprio processo di demonizzazione del fenomeno della migrazione di tutti quei popoli che “danno fastidio”. E non vale per migranti economicamente facoltosi, che al contrario sono ben accetti, ma solo per chi arriva in cerca di un’opportunità.