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Home - ER.CGIL.it - CGIL Emilia-Romagna    FP CGIL Emilia-Romagna            SPI - ER.CGIL.it - CGIL Emilia-Romagna

Cgil Fp Cgil Spi Cgil Emilia Romagna guardano con grande preoccupazione ai processi avviati da alcuni Comuni nel territorio regionale che stanno interessando le ASP (Aziende Pubbliche di Servizi alla persona), in particolare in Romagna e nel reggiano.

Processi che, facendo ricorso a strumenti diversi, si prefiggono lo stesso punto di arrivo: la formazione di società miste pubblico-private, a cui affidare la gestione di tutti i servizi facenti capo alle ASP.

Una privatizzazione a tutti gli effetti, che porterebbe a snaturare le Aziende pubbliche di servizi alla persona, vanificando le finalità previste dalle legge regionale che le ha istituite: quelle di rappresentare l’esperienza pubblica del sistema di produzione ed erogazione dei servizi per le persone, parte essenziale della rete integrata dei socio-sanitari, indispensabile per la qualificazione dei servizi e del lavoro.

Siamo consapevoli delle difficoltà economiche che attraversano alcune di queste realtà, ma siamo fermamente convinti della necessità di una forte governance pubblica per assicurare una capacità di programmazione dei Comuni basata su una lettura autonoma dei bisogni e non mediata da soggetti gestori privati. Per questo sono necessarie esperienze di gestione pubblica dei servizi socio-sanitari, in grado di
generare know - how, innovazione sociale e qualificazione dei servizi.

Queste ipotesi, peraltro, vengono formulate alla vigilia della revisione della disciplina regionale dell’accreditamento dei servizi e delle prestazioni socio-sanitarie, che deve avere come presupposto, per l’utilizzo delle risorse del Fondo Regionale per la non autosufficienza, proprio una netta separazione fra gestori pubblici e gestori privati.

Se la scelta di alcune amministrazioni locali è invece quella di far saltare il complesso equilibro di un sistema che vede fr i protagonisti proprio le ASP, rendendole dei contenitori vuoti che fanno economia sulle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori che operano nei servizi, non può che trovare la nostra netta contrarietà.

Chiediamo quindi alla Regione Emilia - Romagna di continuare a sostenere anche economicamente le ASP ed alle Amministrazioni locali di fermare questi processi, aprendo un confronto trasparente con le parti sociali e nelle comunità, finalizzato a recuperare sostenibilità economica, attraverso riassetti che abbiano come presupposti lo sviluppo della rete, la qualità del lavoro e dei servizi a beneficio degli
utenti e delle comunità.

17 aprile 2024

Petizione “Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90”

Al via una petizione per chiedere ai deputati di non svuotare la legge 185/90

Mobilitazione delle organizzazioni della società civile riunite nel coordinamento “Basta favori ai mercanti di armi”

 

https://retepacedisarmo.org/petizione-basta-favori-ai-mercanti-di-armi-fermiamo-lo-svuotamento-della-legge-185-90/

 

Le richieste di questo coordinamento sono chiare e si possono realizzare concretamente approvando gli emendamenti al DDL illustrati e proposti già dall’inizio dell’iter parlamentare del DDL governativo di modifica:

 Fare in modo che la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi, non si trasformi in un “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi ma sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero della Difesa

 Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – che non era presente nel testo originario della Legge 185/90 in quanto entrato in vigore solo nel 2014 – e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali, con forza normativa maggiore di natura internazionale

 Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento, in particolare contenendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero della Autorizzazione MAE (Maeci), gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge

 Impedire la cancellazione integrale della parte della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari

 Impedire l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa

 Reintrodurre la possibilità per il CISD di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’ONU e dall’Unione Europea e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute”

Cosa puoi fare per sostenerci?

 sottoscrivi la petizione popolare a sostegno delle richieste di Rete Pace Disarmo per fermare lo svuotamento della Legge 185/90 e chiedere un maggiore controllo sull’export di armi italiane 

  fai aderire la tua Organizzazione (Associazione, Sindacato, Parrocchia, Circolo,…) al documento di richieste della Rete (fai mandare l’adesione a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. trovi qui la lista aggiornata delle adesioni)

 promuovi presso il tuo Comune l’adozione di una Mozione in difesa della Legge 185/90 e per lo stop ad una modifica normativa che favorirà esportazioni irresponsabili di armi, che alimentano guerra e insicurezza

 contatta i Deputati della tua Circoscrizione, Provincia, Regione per evidenziare il grave pericolo che si profila all’orizzonte qualora venisse approvato il DDL 855, esprimendo il sostegno alle richieste di modifica avanzate da Rete Pace Disarmo con questa mobilitazione (qui la lista aggiornata dei Deputati che hanno espresso il loro sostegno alla nostra posizione, qui una bozza di lettera da utilizzare)

 rilancia la nostra mobilitazione sui social media, in particolare facendo un “tag” ai profili social di Rete Pace Disarmo della Camera dei Deputati e dei partiti politici o parlamentari che ritieni più opportuno sollecitare

Licenziamenti, contratti a termine, sicurezza. I quesiti promossi dalla Cgil spiegati da Lorenzo Fassina, responsabile dell’Ufficio giuridico e vertenze

Quattro quesiti a beneficio di tutti i cittadini. Quattro domande per ridurre la precarietà e garantire più sicurezza negli appalti. Quattro proposte per smontare alcune delle leggi che hanno portato a un mondo del lavoro selvaggio, pieno di precarietà e troppo sbilanciato a favore delle imprese. Sono state presentate dalla Cgil e pubblicate in Gazzetta ufficiale: referendum per i quali il sindacato di Corso Italia si appresta a raccogliere entro l’estate le 500mila firme necessarie per andare poi al voto nella prossima primavera.

L’obiettivo? Uno solo: cambiare le norme che hanno impoverito il lavoro e hanno reso i lavoratori meno protetti e più vulnerabili, con meno diritti e con più possibilità di essere licenziati. Insieme all’iniziativa referendaria la Cgil porterà avanti anche proposte di legge e un contenzioso giudiziario mirato, azioni combinate per arginare le numerose riforme pensate e approvate apposta per togliere tutele e protezioni.

DOMANDE DIRETTE, TEMI DIFFICILI

Le domande sono dirette: “Volete voi l’abrogazione di…?”. E poi il dettaglio delle norme che si vogliono cancellare. Il referendum proposto dalla Cgil è di tipo abrogativo, come prevede la nostra Costituzione all’articolo 75, cioè chiede di eliminare leggi o parti di leggi, ed è uno strumento di esercizio della sovranità popolare: i cittadini esprimono direttamente le loro convinzioni al momento del voto, dichiarando semplicemente “sì” oppure “no” all’abrogazione.

Questo però non significa che i quesiti siano di facile comprensione, anche perché i temi che riguardano il lavoro sono ostici per tutti, chiari e accessibili solo ai giuristi specializzati. Vediamoli.

1. CANCELLARE IL JOBS ACT

“Il primo quesito è il più semplice di tutti – afferma Lorenzo Fassina, responsabile dell’ufficio giuridico e vertenze della Cgil –, perché mira a cancellare l’intero decreto legislativo 23 del 2015, il famoso Jobs Act, contratto a tutele crescenti. Stiamo parlando della legge che ha di fatto reso inapplicabile nel 90 per cento dei casi l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.

Tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 da un’azienda con più di 15 dipendenti possono essere licenziati in maniera illegittima, quindi anche se non c’è giustificato motivo né giusta causa (ristrutturazione dell’impresa, crisi aziendale, soppressione del posto, ecc.). Il decreto che si vuole abrogare ha escluso la possibilità per il lavoratore di essere reintegrato: ha diritto solo a un indennizzo che viene stabilito esclusivamente in base agli anni di servizio nell’azienda (elemento peraltro dichiarato incostituzionale dalla Consulta).

A cosa ha portato il cosiddetto contratto a tutele crescenti? Ha precarizzato il lavoro e tolto tutele al lavoratore: chiunque assunto dopo il 2015 (quindi per lo più i giovani) può essere licenziato in qualsiasi momento e senza motivo. Quindi è sotto ricatto.

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2. CANCELLARE IL TETTO ALL’INDENNIZZO

Con il secondo quesito siamo nell’ambito delle aziende al di sotto dei 15 dipendenti. Piccole e medie. Se un lavoratore viene licenziato, va dal giudice e dimostra che il suo è stato un licenziamento illegittimo, la legge (604 del 1966) prevede la riassunzione o l’indennizzo. Ebbene, il referendum della Cgil chiede di abrogare le norma che mette un tetto massimo all’indennizzo che è di 6 mensilità, maggiorabile dal giudice fino a 10 mensilità per il lavoratore con anzianità superiore a 10 anni, e fino a 14 per quello con più di vent'anni.

“Vogliamo fare in modo che il giudice abbia la possibilità di definire più liberamente l’indennizzo che l’azienda deve corrispondere al lavoratore licenziato illegittimamente, in relazione a diversi fattori – spiega Fassina –: la capacità economica dell’impresa, per esempio, la situazione familiare del lavoratore, l’età, i suoi carichi, e così via”.

Qual è la finalità? Alzare il tetto massimo può essere un deterrente ai licenziamenti illegittimi. Se il datore di lavoro sa che con il licenziamento illegittimo rischia di dover pagare un indennizzo di una certa consistenza, ci pensa su due volte prima di avere un atteggiamento spregiudicato nei confronti del lavoratore. Anche in questo caso, si toglie un’arma all’azienda e si tutelano di più le persone.

3. CANCELLARE L’ABUSO DEL CONTRATTO A TERMINE

Il terzo quesito riguarda il contratto a termine e vuole intervenire sulle norme che ne hanno liberalizzato l’uso da parte delle aziende, fino al ricorso dilagante che se ne fa: basti dire che secondo l’Istat sono 3 milioni gli occupati a termine in Italia e sono impiegati in tutti i settori, nel privato come nel pubblico.

Per definizione un’azienda dovrebbe stipulare contratti a termine perché ha esigenze temporanee da soddisfare: sostituzioni maternità, picchi produttivi, stagionalità e così via. Oggi invece le imprese attivano questi contratti senza alcuna ragione reale e senza alcun limite perché la legge glielo consente. Prendono e lasciano a casa i lavoratori a loro piacimento.

“Con il referendum vogliamo abrogare le norma che consente di stipulare contratti a temine anche senza alcun motivo, che in gergo tecnico si chiama causale giustificativa, mettendo un tetto di 24 mesi ai rinnovi e alle proroghe – aggiunge il giurista della Cgil –. Chiediamo quindi di cancellare l’articolo 19 del decreto legislativo 81/2015, cosa che porterà a eliminare anche un articolo del decreto Lavoro varato lo scorso anno dal governo Meloni. A dispetto di quanto prevede anche una direttiva europea, il contratto a termine è diventato una specie di Far West che ha creato solo altra precarietà”.

4. CANCELLARE LA DERESPONSABILIZZAZIONE DELLE AZIENDE

Per il quarto quesito siamo nel campo degli appalti e in particolare della sicurezza negli appalti. Oggi se un’azienda dà in appalto un’attività a un’altra e questa a un’altra ancora, i committenti non sono responsabili in solido in caso di infortunio o di malattia professionale del lavoratore. Questo vuol dire che il lavoratore non può chiedere nessun risarcimento del danno alle imprese committenti. Il quesito vuole cancellare la norma che esclude questa responsabilità.

“Molto spesso accade che i committenti scelgano aziende in appalto e subappalto senza tenere conto della loro solidità o della loro serietà: con l’esternalizzazione si vogliono abbattere i costi risparmiando sulla sicurezza o applicando contratti irregolari – conclude Lorenzo Fassina –. Questo ha portato a una crescita degli infortuni sul lavoro, specie in situazioni di appalto e subappalto. Abrogando l’articolo 26 del decreto legislativo 81/2008, se l’appaltatore o il subappaltatore non sono in grado di risarcire, il committente sarà chiamato a risponderne”.

L’effetto della cancellazione sarebbe quello di rafforzare e ampliare la sicurezza sul lavoro e di spingere i committenti a selezionare appaltatori adeguati.

SINDACATO. Due contro i licenziamenti illegittimi, uno contro la liberalizzazione dei contratti a termine e un altro sulla sicurezza nel lavoro in appalto

Referendum, la Cgil deposita quattro quesiti 

La Cgil ha depositato in Corte di Cassazione 4 quesiti referendari: due contro i licenziamenti illegittimi (dunque per cancellare il Jobs act e impedire i facili licenziamenti illegittimi anche nelle imprese con meno di 15 dipendenti), uno contro la liberalizzazione dei contratti a termine e un altro sulla sicurezza nel lavoro in appalto.

Dopo l’uscita in gazzetta ufficiale nei prossimi giorni sarà definita la data di avvio della raccolta delle firme che sarà fatta entro l’estate in modo che nella primavera prossima si possa andare al voto.

«Accanto a questi 4 quesiti – ha sottolineato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini – presenteremo e raccoglieremo firme per delle proposte di legge su una nuova legislazione del lavoro. Tra le proposte abbiamo intenzione di formularne una che riguardi la sanità pubblica».

Stop di quattro ore nei settori privati. Esteso a otto in molte realtà. Cgil e Uil: “Lottiamo per zero morti sul lavoro, un fisco più giusto e per cambiare modello di sviluppo” 

MATTEO OI

 

È il giorno dello sciopero generale. Oggi, giovedì 11 aprile, le lavoratrici e i lavoratori si fermano per quattro ore in tutti i settori pubblici, per la protesta proclamata da Cgil e Uil. Una giornata che assume un sapore particolare, amaro e di lotta, dopo l’immane tragedia alla diga di Suviana: l’esplosione alla centrale idroelettrica Enel, che ha provocato tre morti accertati, quattro dispersi e molti ustionati. Già definita “la nuova Thyssenkrupp”.

Va da sè, purtroppo, che la mobilitazione per la sicurezza – motivo dello sciopero – acquista una forza diversa, in una situazione già prima segnata dalle morti sul lavoro. L’Emilia-Romagna ha portato lo sciopero ad otto ore. Così anche gli edili, che da giorni avevano annunciato l’allungamento all’intera giornata.

LAVORATORI ELETTRICI E DELL’ENEL, STOP DI 8 ORE

Lo sciopero diventa di otto ore anche per tutti i lavoratori del settore elettrico e dell’Enel, ovvero il settore coinvolto direttamente nella strage. Così Filctem Cgil e Uiltec Uil: “A seguito del gravissimo incidente accaduto ieri alla centrale elettrica della diga di Suviana, presso il comune di Camugnano, le segreterie nazionali di Filctem Cgil e Uiltec Uil proclamano otto ore di sciopero per la giornata dell’11 aprile e per tutti i lavoratori del gruppo Enel”.

In molti territori la Fiom decide per l’estensione a otto ore. Nello specifico, la Fiom nazionale e la Uilm “decidono di dare copertura nazionale alle strutture territoriali e alle rappresentanze dei lavoratori in caso di estensione da quattro a otto ore dello sciopero”. In particolare l’estensione a 8 ore è stato stabilito dalle Fiom e dalle Uilm regionali per tutte le province dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, delle Marche (dove lo sciopero si estende a 8 ore a livello confederale in tutti i settori privati), della Sicilia. Così come in molte altre province dove lo sciopero sarà effettuato per l’intera giornata lavorativa, ad esempio a Venezia, Padova e Verona, Siena, Foggia, Udine, Pordenone, Vercelli e in tantissime altre aziende metalmeccaniche dove le Rsu, i delegati della Fiom e della Uilm, hanno allungato la proclamazione dello sciopero per tutti