Il caso Rapporto Caritas 2024 sulla povertà: gli sconvolgenti risultati prodotti dal governo Meloni
Manifestazione per il reddito di base - Foto LaPresse
Il governo Meloni ha creato 331 mila famiglie «esodate» dal cosiddetto «reddito di cittadinanza» e ha peggiorato la loro condizione di povertà assoluta. Calcolando un minimo di tre persone a nucleo stiamo parlando di almeno un milione di persone. In pratica è la metà dei beneficiari che fino a poco più di un anno riceveva il «reddito di cittadinanza». Tutti colpiti dall’odio dei poveri.
Questo è il bilancio fatto dal nuovo Rapporto 2024 sulla povertà della Caritas pubblicato ieri. Nessuna famiglia è riuscita ad accedere all’«assegno di inclusione», o al «sussidio di formazione e lavoro», cioè le misure che teoricamente avrebbero dovuto sostituire il già malconcepito, e peggio realizzato, sussidio voluto dai Cinque Stelle e dalla Lega nel 2018 e rinominato a partire dal 2024.
Secondo la Caritas sui 331 mila nuclei familiari il 57% non ha presentato domanda e il 43% ha visto la propria richiesta respinta. Le categorie più penalizzate nel passaggio dal «reddito di cittadinanza» all’«assegno di inclusione» per i poveri assoluti giudicati inassimilabili dal mercato del lavoro o al «sussidio per la formazione e lavoro» riservato solo ai poveri ritenuti «occupabili» sono «nuclei monocomponenti», cioè single probabilmente giovani, in particolare residenti al Nord o in affitto. In pratica i soggetti più vulnerabili, e giovani, sono stati esclusi dall’assegno di inclusione. Perché, come spesso è stato detto dagli ideologi al governo, sarebbero capaci da soli di trovarsi un lavoro e dunque potenzialmente ritenuti «colpevoli» di essere «scrocconi». Si tratta dell’insulto più infamante partorito dalla torbida storia del Workfare che è stata importata in Italia già con il «reddito di cittadinanza» ed è servita al governo Meloni per escludere del tutto centinaia di migliaia di persone.
Sembrerebbe che, in quanto capaci di lavorare, gli esclusi dall’assegno di inclusione abbiano preso il ben più basso (350 euro) e restrittivo (ci vuole un Isee inferiore a 6 mila euro annui) «sussidio per la formazione e lavoro». La Caritas conferma che anche questo sussidio è stato fallimentare. Su oltre 212 mila nuclei idonei a ricevere quest’altro sussidio – si legge a pagina 183 del rapporto – non hanno invece presentato alcuna domanda. Sono più del 50% del totale. Dato che il governo non intende dare dati a tale proposito l’interpretazione di questo dato inquietante è complessa. L’Inps, e dunque il governo, suggerisce che il numero ridotto di beneficiari potrebbe essere legato alla congiuntura economica favorevole.
C’è anche un’altra spiegazione che non viene presa in considerazione: l’estrema rigidità dei parametri è stata concepita per escludere il numero più alto possibile di persone con il chiaro intento punitivo ed escludente. Dunque, cresce il lavoro povero e si nega ogni forma di tutela universale.
Interessante è la mappatura dell’assegno di inclusione. C’è una maggiore incidenza nel Sud Italia, fino al 10% in regioni come Sicilia, Calabria, Campania. E di meno del 4% nelle regioni settentrionali, dove però la povertà è in aumento. Tanto più cresce, tanto più si punisce. Questa è la logica. I più colpiti sono i senza dimora, le vittime di tratta, gli ex detenuti. Per loro accedere all’assegno di inclusione è quasi impossibili a causa di un iter di accesso proibitivo.
La Caritas chiede di ripristinare un sistema di supporto universale e continuativo contro la povertà. Tale sistema non è mai esistito con il «reddito di cittadinanza». Le condizioni di accesso erano più ampie ma non ha coperto la povertà assoluta e ha escluso milioni di persone. Un sostegno universale passa dall’abolizione delle condizionalità, da un allentamento radicale della selettività dei sussidi e da una rivoluzione dello Stato sociale. Condizioni difficili da realizzare nella torsione sciovinista del Welfare in corso con il governo Meloni
Il leader della Cgil dopo il confronto col governo: “Non sono disponibili a cambiare nulla, continuano a colpire lavoratori, giovani e pensionati. Non c’è niente su salari e sanità. Serve un messaggio chiaro”
Il governo ha confermato “che quella presentata in Parlamento è la manovra: i margini sono quelli, gli spazi di modifica sono limitati dentro quella logica. Allora noi confermiamo il nostro giudizio di una pessima legge di bilancio, che non affronta e non dà un futuro al Paese”. Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, parlando a margine del tavolo di confronto che si è svolto a Palazzo Chigi.
“Noi abbiamo avanzato richieste molto precise: c’è un aumento salariale da mettere in campo, che non può essere il 6% proposto nell’accordo separato con l’inflazione al 17%”. Le altre richieste centrali sono “aumentare gli investimenti nella sanità pubblica per fare assunzioni; togliere il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e confermare tutti i giovani precari presi durante nel Pnrr; abbiamo posto il tema di una modifica vera della riforma Fornero in tema previdenziale”.
Poi, sulla politica industriale, la Cgil ha chiesto “di ripristinare i soldi per l’automotive, rimettere le risorse sul Mezzogiorno. Alla domanda dove prendiamo le risorse, abbiamo risposto al governo in modo molto esplicito: con una vera riforma fiscale. Questo significa andare a tassare le rendite, i patrimoni, le ricchezze prodotte.
Landini quindi prosegue: “Su questo l’esecutivo non mostra nessuna disponibilità né apertura: continuano a pagare i lavoratori dipendenti e pensionati, i giovani e i precari. Per noi è assolutamente confermato lo sciopero generale del 29 novembre per chiedere di invertire questa tendenza che non è più accettabile. L’aumento delle diseguaglianze fa paura e il governo vive in un altro mondo: ci racconta che cresce l’occupazione, che va tutto bene, che siamo tra i Paesi messi meglio in Europa. Ho la sensazione che non frequentino troppo i luoghi dove vivono le persone vere, forse stanno da un’altra parte”.
Il leader della Cgil non vede luci nella manovra: “Dovrei essere contento per il cuneo? L’hanno reso strutturale, ma ce l’avevo già, non è cambiato nulla. Addirittura quelli che hanno un reddito fino a 35.000 euro ci rimettono qualcosa, perché la modifica tecnica che fanno non è parità di salario. Il rinnovo del contratto nel pubblico impiego offre il 6%, ciò secondo loro dovrebbe valere per la sanità, la scuola, per tutti, con l’inflazione al 17%… Dovremmo essere contenti? Hanno anche liberalizzato le forme di lavoro precario, abbiamo chiesto di ritirare il decreto sicurezza, perché limitare il diritto delle persone di battersi va contro la Costituzione”.
Insomma, tutti gli elementi di fondo nella manovra sono stati confermati. “Il governo si dice disponibile al confronto, purché stia dentro i margini che ci siamo dati e l’impianto della legge. Di cosa stiamo parlando, cosa ci avete chiamato a fare? Non vogliono cambiare niente. L’esecutivo nel rapporto con l’Europa ha deciso di tagliare la spesa e non agire sulle entrate, anzi l’unica spesa aumentata è quella per le armi e la difesa, chiedendo perfino lo scorporo dal patto di stabilità. Perché non lo chiedono per la sanità e la scuola? O per le politiche industriale, visto che da venti mesi la produzione cala?”.
In definitiva, la Cgil non ha avuto risposte e prepara lo sciopero generale. “Diventa allora importante che arrivi un messaggio molto chiaro – afferma il segretario -. Anche dopo lo sciopero del trasporto pubblico locale di venerdì scorso, il governo non ha mossa un dito. Va detto esplicitamente: se c’è un aumento dei salari quest’anno, è solo grazie al rinnovo dei contratti firmati dal sindacato con i datori di lavoro privati: è appena arrivata la notizia della trattativa dei tessili in cui hanno raggiunto un accordo, con aumento salariale tra il 12 e il 13%. Non del 6% come vorrebbe il governo”, conclude Landini.
Sindacati convocati a Palazzo Chigi per una legge di bilancio che sembra blindata. Cgil e Uil: “Nessun pregiudizio, ma preoccupati per il futuro del Paese”
Dovevano vedersi la scorsa settimana, ma poi l’incontro è slittato ad oggi a causa di uno stato influenzale della presidente del consiglio Meloni. Un rinvio che riduce ulteriormente lo spazio di trattativa, se mai ci sarà, per modificare una legge di bilancio che per Cgil e Uil presenta più ombre che luci a differenza della Cisl che trova nel testo grande soddisfazione.
Il giudizio di Landini e Bombardieri è ben noto e lo sciopero generale indetto per il prossimo 29 novembre conferma che la manovra va nella direzione contraria a quella auspicata dai due leader sindacali, convinti che il governo “infliggerà al Paese sette anni di austerità” con la perdita del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati causata da un’inflazione da profitti, con la crescita della precarietà e del lavoro nero e sommerso, con i tagli ai servizi pubblici, a partire da sanità, istruzione, trasporto pubblico ed enti locali.
Per non parlare dei rinnovi contrattuali per il pubblico impiego, che coprono appena un terzo dell’inflazione, il taglio del cuneo fiscale (con perdite per molti) pagato dagli stessi
Leggi tutto: Il tavolo - Manovra, quanto margine di trattativa?
Anche Faenza multietnica nella rete italo-albanese “network against migrant detention”
È tornata da Tirana la delegazione che ha rappresentato Faenza multietnica nella conferenza stampa fondativa del network against migrant detention: una rete internazionale contro la detenzione e la deportazione delle persone migranti.
Ad un anno dall’accordo Rama - Meloni ci siamo trovatə a Tirana con realtà, associazioni e collettivi albanesi e da tutta Italia per mostrare il nostro dissenso nei confronti di questo accordo incostituzionale.
Il Network Against Migrant Detention si oppone alla logica neocoloniale che questo accordo esprime, al modello di sicurezza che privilegia la protezione delle frontiere rispetto alla protezione della vita umana, e alla speculazione economica inevitabile che queste opere implicano.
Come Faenza multietnica abbiamo costituito il comitato “Romagna Welcome” per dare il benvenuto ai migranti che vengono fatti sbarcare a Ravenna, che ricordiamo dal 31/12/2022 sono più di 1500. Anche questo fa parte del piano disumano che il governo meloni sta attuando da anni.
L’accordo per la costruzione di centri di permanenza del rimpatrio in Albania è solo la punta dell’iceberg delle politiche razziste e fasciste che questo governo sta mettendo in atto.
Come Faenza multietnica, assieme alle associazioni albanesi, siamo state anche a Shengjin e Gjader per il secondo arrivo della nave Libra con a bordo solo 8 persone, che probabilmente torneranno in Italia in pochi giorni. Avremmo voluto dare il benvenuto anche qui, ma non ci sembrava appropriato: che benvenuto si può dare a persone che si ritrovano in detenzione, in un paese fuori Europa dopo infiniti viaggi in condizioni più che precarie per raggiungerla?
Riaffermiamo il nostro rifiuto rispetto alla scelta del governo italiano di sdoganare in Albania il modello di esternalizzazione delle frontiere, con l'intento di farlo divenire, come affermato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, un sistema legittimato per l'Europa nei prossimi anni. Al contempo, ci opponiamo alle decisioni del governo albanese di Edi Rama di stringere accordi con governi neofascisti, come quello italiano guidato da Giorgia Meloni, giustificandoli come un "debito morale" che il popolo albanese dovrebbe all’Italia per l’accoglienza riservata ai rifugiati albanesi negli anni passati.
Ma le persone albanesi non dimenticano il trattamento a loro riservato dai governi italiani che si sono susseguiti negli anni. Non dimenticano che lo Stato italiano ha imprigionato migliaia di rifugiati albanesi nello stadio di Bari, lasciandoli lì per 7 giorni senza acqua né cibo.
Le persone albanesi non dimenticano come le loro sorelle venivano rapite in pieno giorno, spinte su gommoni e trafficate massivamente verso l'Italia, dove sono state sottoposte a ogni forma di abuso e sfruttamento.
Le persone albanesi non dimenticano la tragedia di Otranto, quando le navi della marina italiana causarono l’affondamento della nave Katër i Radës , provocando la morte di 81 persone.
Le persone albanesi non possono permettere che corpi militari e polizieschi italiani occupino intere aree del paese per far replicare su altri migranti quello che, trent'anni fa, lo Stato italiano ha permesso accadesse a loro.
È tempo di mobilitarsi per evitare che questo accordo diventi un modello per il controllo e il confinamento delle persone migranti. Per queste ragioni, il 1° e il 2 dicembre saremo nuovamente in Albania, in un’ampia mobilitazione dal basso e trasversale che attraverserà la città di Tirana e raggiungerà luoghi simbolo della repressione della libertà di movimento, come il comune di Lezha e le località di Shengjin e Gjader.
La lotta contro la realizzazione di qualsiasi altro CPR sul territorio italiano e per la chiusura di quelli che sono già operativi non può essere disgiunta dall’opposizione al processo di esternalizzazione dei dispositivi di controllo, repressione e criminalizzazione delle persone in movimento. No ai CPR in Italia, in Albania e altrove.
Se le alte sbarre che nascondono i lager cpr sono state costruite coi colori della bandiera europea allora è compito anche, soprattutto, degli europei abbatterle.
Non voglio fare l’avvocato d’ufficio di Landini e nemmeno il saccente prof d’italiano, faccio semplicemente il giornalista quale sono, ma “rivolta sociale” è chiaramente un’iperbole lessicale. Credo che nessuno con un minimo di sale in zucca – perfino il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Foti che si è tanto scandalizzato – pensi davvero che il segretario generale della Cgil abbia l’intenzione bellicosa e rivoltosa di indossare il gilet giallo e assaltare la Bastiglia. E nemmeno di aizzare la folla contro Capitol Hill.
Anzi ricordo agli smemorati, di ieri e di oggi, che è la sede della Cgil ad essere stata assaltata dai fascisti tre anni fa. Da una matrice ancora sconosciuta all’attuale presidente del consiglio e alla sua cerchia. Quindi chi pensa che le parole di Landini istighino al disordine pubblico è in malafede oppure lo fa in modo strumentale. La verità è che siamo al solito festival dell’ipocrisia. Perché è quantomeno curioso che la critica provenga dalla stessa parte politica che fa dello scontro verbale e del linguaggio duro e puro un marchio di fabbrica.
Fatemi capire: non vi scandalizzate se Donald Trump dichiara pubblicamente che vorrebbe avere al suo fianco i generali di Hitler, e gridate allo scandalo se un leader sindacale rompe le catene facendo il proprio mestiere? E il mestiere di un sindacalista, degno di questo nome, è quello di rappresentare i bisogni e migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone. E di smascherare le menzogne del potere. La lista è lunga e alquanto indecorosa: dal pil fermo allo zero virgola al boom della precarietà, dalla povertà ai massimi livelli ai tagli alla sanità pubblica, dalle folli spese militari ai salari da fame.
Mi sembrano tutti ottimi motivi per ribellarsi e lanciare una vera rivolta sociale nel Paese che, tradotto nel Landini-pensiero, equivale semplicemente a mettere in campo tutti gli strumenti democratici a disposizione del sindacato: piazze, scioperi, manifestazioni, presidi, contrattazione, fino al referendum.
Non vedo nessuna istigazione alla violenza bensì una grande istigazione alla partecipazione. In un Paese anestetizzato, sfiduciato, scoraggiato, rassegnato, assuefatto alla marginalità, è ossigeno puro se qualcuno alimenta il sacro fuoco della lotta. Sana, democratica, propositiva. Per scardinare lo storytelling governativo che ci vuole sudditi e non cittadini. Che ci impone doveri togliendoci diritti.
Per dirla alla Martin Luther King “una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”. Ecco, è ora di farci sentire.