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MIGRANTI. Piantedosi e Salvini minacciano i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali
Il diritto residuale del mare A bordo della Geo Barents - Medici senza frontiere via Twitter

Prosegue lo stallo dentro il porto di Catania, con due navi delle Ong (Humanity 1 e Geo Barents) bloccate per il mancato sbarco di tutti i naufraghi, l’Ocean Viking di Sos Mediterranée rimasta al limite delle acque territoriali per completare in un porto sicuro le attività di salvataggio intraprese oltre una settimana fa, mentre la Rise Above si è diretta verso Reggio Calabria, dopo essere rimasta per giorni al largo della costa orientale siciliana.

Intanto la Commissione europea richiama l’Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi». Come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Ma il governo italiano replica con i consueti slogan propagandistici sulla difesa dei confini e si profilano le prime sanzioni pecuniarie nei confronti delle Ong, mentre non si possono escludere iniziative giudiziarie da parte della Procura di Catania, che ha indagato per anni, senza alcun esito, sui soccorsi operati dalle navi umanitarie. Piantedosi e Salvini minacciano anche i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali. Anche se nessuno Stato, incluso quello di bandiera, ha dato disponibilità per garantire un porto di sbarco sicuro dopo gli “sbarchi selettivi” effettuati nel porto di Catania.

Sono infatti rimaste senza risposte le “note verbali” trasmesse dalla Farnesina ai paesi di bandiera delle navi soccorritrici, che si basavano sulla tesi che la competenza ad indicare un porto di sbarco doveva essere assunta dallo Stato di bandiera delle navi che avevano operato i soccorsi. Una tesi priva di basi legali e già in passato, nei processi contro le Ong, smentita dai provvedimenti di archiviazione delle accuse formulate dagli organi di polizia. Ma il governo italiano ha preferito raccogliere il plauso di Orbán per questa nuova prassi di «difesa dei confini esterni dell’Unione Europea».

Mentre Salvini torna a parlare di «viaggi organizzati», baluardo della sua difesa nel processo in corso a Palermo sul caso Open Arms, la scelta dell’attuale governo di fare entrare le navi per sbarcare solo una parte dei naufraghi costituisce una novità rispetto al passato, quando si vietava addirittura l’ingresso nelle acque territoriali o nei porti. Adesso le navi delle Ong sono entrate in porto su richiesta delle autorità marittime italiane, che dunque non hanno evidentemente considerato come passaggio «non inoffensivo» in base alla Convenzione Unclos (art.19 ) il loro ingresso nelle acque territoriali italiane. È fallito così il tentativo di configurare come attività contro le leggi sull’immigrazione le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali svolte nel Mediterraneo centrale da navi inviate da organizzazioni non governative.

Ai comandanti della Humanity 1 e della Geo Barents, in base al decreto Piantedosi, è stato tuttavia vietato «di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali». «A tutte le persone che restano sulla imbarcazione sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali». Sotto questo profilo si è introdotta una prassi discriminatoria che nega l’accesso al territorio ed alla procedura di asilo a una parte soltanto dei naufraghi, sulla base di accertamenti medici che potrebbero nascondere, sulla base dei risultati noti, una precisa selezione in base alla nazionalità, come se coloro che provengono dagli orrori della Libia ma sono originari del Bangladesh o del Pakistan non avessero diritto al riconoscimento di uno status di protezione in Italia.

Eppure i Tribunali e la Cassazione hanno, in numerosi casi, ribaltato le decisioni negative delle Commissioni territoriali ed hanno riconosciuto anche per persone provenienti da questi paesi uno status di protezione. Il Regolamento Dublino III del 2013, che le destre europee non hanno voluto modificare, e le Direttive sulle procedure non prevedono la selezione dei naufraghi a bordo delle navi e tantomeno la presentazione delle domande di asilo ai paesi di bandiera delle stesse.

Si minacciano nuovi processi contro i comandanti delle Ong. Non si può restare in attesa che la magistratura penale faccia il suo corso, particolarmente accidentato qualora dovessero emergere responsabilità ministeriali. Occorre che i cittadini solidali si organizzino per denunciare le inadempienze delle autorità governative e per promuovere iniziative sul territorio di concreta solidarietà ai migranti, in difesa dei loro diritti. Non si possono utilizzare i corpi e le vite delle persone bloccate sulle navi o abbandonate in mare per eludere gli obblighi di soccorso e ricattare l’Unione europea in vista della modifica del Regolamento Dublino, trasformando esseri umani in ostaggio.

 
 
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L’«INCUBO» MELONI. il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi

Sarà di lunga durata se la sinistra non cambia paradigma Giorgia Meloni - LaPresse

Due editoriali di Norma Rangeri (22 e 26 ottobre) hanno fatto il punto su ciò ch’ella definisce l’«incubo» del momento attuale. Nel primo Rangeri si chiede la ragione per la quale «il nostro mondo stia vivendo un dramma tanto profondo, quasi esistenziale». Nel secondo si dà una risposta: «Quando si gioca alla morte delle ideologie, in sostanza togliendo di mezzo le idee della sinistra, succede che vince l’ideologia che resta in campo». Una risposta giusta, ma che non può essere davvero compresa, però, se riferita al tempo breve in cui l’incubo si materializza con «l’orrendo risveglio».

Certo il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi. Oggi le componenti si sono redistribuite tra di loro in maniera diversa e la prevalenza di quella neofascista non fa altro che rendere ancora più agghiacciante la combinazione, ma i caratteri restano quelli di allora.

Su tali caratteri esiste una pubblicistica di buon livello assai conosciuta: affarismo, conflitti di interesse, plebeismo borghese e proletario, invenzione «del passato per governare il presente» (D. Conti, «il manifesto 30 ottobre), estraneità totale allo spirito della Costituzione. D’altra parte, questo insieme delle destre fa il suo mestiere, e non è lì che dobbiamo cercare le cause principali dell’esistenza di una sola «ideologia».

Le «idee della sinistra» sono «ideologie»? Quello relativo al termine di «ideologia» è un vero e proprio universo che riguarda il concetto nei suoi rapporti con la scienza sociale, con il discorso politico e, più in generale, con il campo della battaglia delle idee. La sinistra, o meglio la tradizione politico-culturale del socialismo d’ispirazione, in varie maniere, marxista, quando ha usato la parola in senso neutrale e non negativo, ha sempre, comunque, legato l’analisi dei movimenti della sfera politica a quella degli effetti della fase di accumulazione in corso.

Esattamente al contrario degli «ideologi» di oggi, tanto più tali quanto più considerano il loro pensiero conforme alla natura delle cose, alla normalità degli svolgimenti senza contraddizioni profonde e connessa conflittualità radicale. L’adesione a questo tipo di normalità, sia pure ad iniziare dalla dimensione politica, è stato un contributo di primo piano a «togliere di mezzo le idee della sinistra».

Nel 1995 Massimo D’Alema pubblicò un libro in cui si congratulava con sé stesso per essere riuscito a condurre a termine «il compito della generazione», cioè «portare la sinistra italiana al governo del paese», tramite «un cambiamento dolce». Possibile ormai in «un’Italia meno nervosa di ieri e più ottimista», dopo un anno di sinistra al governo, un’Italia che chiede al governo «cose semplici e chiare: stabilità, tranquillità, normalità».

Il Grande Dizionario del Battaglia definisce la normalità come «una condizione abituale, consueta e ampiamente accettata e che non presenta alcuna irregolarità, né lascia presagire alcun elemento di imprevisto e di inquietudine» e dunque il «paese normale» è quello dello «stato abituale». In un «paese normale» non c’è posto per conflitti radicali capaci di suscitare cesure negli equilibri economico-sociali «abituali». I cambiamenti in profondità, invece, sono le risultanti di conflitti, di conflitti anche assai aspri. D’altra parte, se la lotta di classe non c’è più (come la storia del resto) si può ipotizzare una realtà che cambia attraverso una «normalità autoregolantesi», proprio come il «mercato autoregolato».

La «sinistra per simmetria» ha interiorizzato questa «ideologia» fin dal suo primo inoltrarsi nel percorso della «governabilità» senza aggettivi. Oggi si discute molto sulla nuova identità che dovrebbe assumere il Pd alla conclusione del suo itinerario congressuale. Ma l’identità di un partito non si definisce in una formulazione astratta. L’identità di un partito, in questo caso la continuità tra le varie «cose», è ancorata strettamente alla sua storia.

I risultati non potranno essere altro, al di là delle formulazioni di comunicazione (propaganda), che una scelta tra i diversi gradi di un capitalismo compassionevole.

Senza un cambio di paradigma, il «nuovo», che è cosa seria, si risolve in «novello» al pari del beaujolais (o del chianti). Senza un cambio di paradigma anche «l’antifascismo non serve più a niente» (C. Greppi, Laterza, 2020).

 

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Le persone sperimentano una elevata pressione fisica e sociale ma provano a non arrendersi e noi ad aiutarli aumentando la loro capacità di rivendicare i propri diritti

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La Russia negli ultimi due mesi ha rafforzato la mobilitazione. Molte persone, parliamo di migliaia, ha applicato per il servizio civile alternativo cercando di evitare la partecipazione alla guerra in Ucraina. Naturalmente non tutte queste richieste sono concesse, le persone sperimentano una elevata pressione fisica e sociale ma provano a non arrendersi e noi ad aiutarli aumentando la loro capacità di rivendicare i propri diritti, diffondendo le buone pratiche e i documenti che le persone possono consegnare ai loro comandanti.

E oggi io vi voglio chiedere due azioni. La prima è quella di firmare la petizione diffusa dall'Ufficio Europeo per l'obiezione di coscienza (EBCO-BEOC) e dalla War Resisters' International (WRI) per aiutare gli obiettori russi, ucraini e bielorussi a ricevere asilo in Europa. La seconda azione è quella di donare alla nostra organizzazione tramite il sito stoparmy.org sul quale potete trovare tutte le modalità per supportarci. Con le vostre donazioni, con il vostro aiuto, noi saremo capaci di offrire supporto a più obiettori di coscienza che stanno cercando ora tutti i modi di non entrare nell'esercito. Davvero grazie per la vostra partecipazione in azioni pacifiste.

Alexander Belik del Movimento degli Obiettori di Coscienza Russi

 

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Crediamo nella democrazia. Crediamo nella libertà di parola. Crediamo nella risoluzione nonviolenta di qualsiasi conflitto.

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Sono grata a ciascuno di voi per aver trovato il tempo, per aver trovato l'ispirazione, per aver trovato la pace dentro di voi e per essere venuti oggi in questa piazza di Roma a sostenere il movimento per la pace. Sono una rappresentante del movimento pacifista in Ucraina. È scoppiata una guerra nel nostro Paese e ora... ora i miei compatrioti sentono personalmente le conseguenze di questa guerra. Le conseguenze della guerra non sono solo all'esterno, ma anche dentro ognuno di noi. La guerra è anche dei pensieri e dei sentimenti. Noi crediamo che ogni conflitto possa essere risolto pacificamente; che la guerra è un crimine contro l'umanità; che la vita umana è il valore più grande. La vita umana è il valore più grande. La vita di ogni ucraino è il valore più grande. La vita di ogni russo è il valore più grande. La vita di qualsiasi persona al mondo è il valore più grande. I conflitti sono ciò che abbiamo in testa, ciò che poi esce dalla testa.

Tutto può essere risolto. Potete parlare, potete arrivare a delle conclusioni comuni. La guerra è ciò che c'è dentro ognuno di noi e, purtroppo, ciò che c'è dentro viene fuori e porta a conseguenze terribili. Rappresento il movimento pacifista in Ucraina. Ora lottiamo affinché tutti abbiano il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare. Affinché tutte le persone che cercano la pace e non vogliono partecipare alla guerra, abbiano la possibilità di farlo. Rispettiamo la scelta di ogni persona. Sappiamo che prima di tutto dobbiamo lavorare all'interno, con i pensieri di ogni persona, affinché diventino più pacifici. Ma ora tutti coloro che cercano la pace io vorrei che avessero questa opportunità di rimanere persone pacifiche, di vivere senza andare contro la propria coscienza e di non partecipare al crimine dello spargimento di sangue. Crediamo nella democrazia. Crediamo nella libertà di parola. Crediamo nella risoluzione nonviolenta di qualsiasi conflitto.

E chiediamo, chiedo il vostro sostegno. Chiedo il vostro sostegno affinché il nostro Stato presti attenzione a tutte le opportunità per risolvere il conflitto senza violenza; affinché ci si impegni tutti per negoziare, non per trattenere le persone nel loro Paese senza dare loro l'opportunità di andarsene e salvarsi la vita, dal momento che la guerra è in casa. Ogni ucraino ora lotta per la pace, e ancor più per la vittoria. Ma per noi la vera vittoria è la salvaguardia delle vite umane, della dignità umana e delle anime umane. Grazie per il vostro sostegno. Spero che la pace arrivi presto nel nostro Paese e nel mondo intero.

Katrin Cheshire è un'attivista del Movimento Pacifista Ucraino

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Nessun obiettivo politico giustifica l'omicidio di massa. La violenza, la crudeltà e la conquista di terre straniere non hanno posto nell'Europa del XXI secolo

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Mi chiamo Olena, vengo da Odessa, nel sud dell'Ucraina. E ora la mia terra fiorente è bruciata e calpestata dalla guerra che distrugge le nostre case e toglie la vita alla nostra gente. L'invasione russa crea rischi di catastrofe nucleare e di terza guerra mondiale. Questo non può essere permesso. Dio conceda che questo non accada, che le persone non si uccidano a vicenda e diano valore alla vita, che prevalgano l'amore e il buon senso. Sono una madre, sono una figlia, sono una donna e faccio appello a tutte le persone buone del nostro pianeta affinché liberino l'umanità dalla guerra, chiedano pace e giustizia, si schierino con noi per la nostra indipendenza, per la nostra libertà, per le nostre vite. Per favore, aiutate l'Ucraina! Abbiamo bisogno di pace! C'è un film basato sul famoso libro Niente di nuovo sul fronte occidentale. Mostra come un secolo fa un terribile e insensato massacro sia continuato fino all'abdicazione del Kaiser. Proprio come oggi, negli stessi giorni di novembre del 1918, si concludeva la Prima Guerra Mondiale. Non possiamo aspettare la fine della guerra in Ucraina.

Mi appello al Presidente Putin: fermi immediatamente lo spargimento di sangue e ritiri le sue truppe dall'Ucraina! Sedetevi al tavolo dei negoziati e pentitevi di tutto il dolore che avete portato agli ucraini con la vostra invasione! Se non avete il coraggio di agire in modo responsabile, cedete il potere a persone più oneste e pacifiche! E se il Cremlino non mi ascolta, mi appello ai russi, che Putin sta perseguitando fino alla morte. Nessun obiettivo politico giustifica l'omicidio di massa. La violenza, la crudeltà e la conquista di terre straniere non hanno posto nell'Europa del XXI secolo. Se milioni di persone scendono pacificamente in piazza e protestano contro la guerra, questa finirà molto rapidamente. Avete visto nei telegiornali come gli ucraini si sono riuniti come comunità e, anche senza armi, con la forza dello spirito hanno fermato i carri armati russi. Prendiamo esempio da questo. C'è sempre una speranza di pace, c'è sempre un'opportunità di fare sforzi per evitare spargimenti di sangue. Pensateci. Per concludere, voglio citare una poesia del poeta ucraino Ivan Franko, scritta durante la Prima guerra mondiale: "Il cielo azzurro è più fiero, // Quando la disumana guerra sanguinosa // Si trasforma in pace".

Olena Besedovska è una blogger e volontaria dell'associazione "Proteggi Odessa, proteggi l'umanità"

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5 NOVEMBRE a ROMA. Per una manifestazione che, ci auguriamo, sia piena di giovani, forte, variegata, unitaria contro la guerra. Senza bandiere di partito, sperando che a sinistra i partiti si occupino di pace non strumentalmente.
Basta guerra, un movimento necessario Manifestazione per la pace - Andrea Sabbadini

La guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina vive uno stato di pericoloso «stallo», in attesa di nuovo spargimento di sangue, di fronte alla drammatica realtà che mostra l’irresolutezza delle armi, quelle usate per aggredire in modo criminale un paese sovrano e quelle usate per la legittima difesa che ormai sono diventate di offesa – e sono tante, Amnesty International ha denunciato che anche la loro dislocazione improvvida mette a rischio i civili. È proprio in questo momento di vuoto che annuncia tempesta che vuole inserirsi, dal basso, il movimento per la pace che oggi scende in piazza a Roma chiamato ad essere protagonista da “Europe for peace”. Per una manifestazione che, ci auguriamo, sia piena di giovani, forte, variegata, unitaria contro la guerra. Senza bandiere di partito, sperando che a sinistra i partiti si occupino di pace non strumentalmente.

E che sventolerà le bandiere arcobaleno per un «raduno» che è una pratica della democrazia, così fragile in questo momento, rispondendo così all’arroganza di Giorgia Meloni che, dimenticando la stessa parola pace, sfotte arrogante: «Non è sventolando le bandiere arcobaleno che si fa la pace». No, è vero il contrario. Dopo più di nove mesi di guerra, di stragi contro la popolazione ucraina, di repressione delle proteste dei giovani russi, di una escalation che ripropone – addio deterrenza -l’uso dell’arma atomica.

Perché, nel deficit irresponsabile e criminale dell’azione diplomatica, c’è bisogno proprio di un attore nuovo, disperato ma rinvigorito, il pacifismo, capace di produrre immaginario futuro perché ha una storia da non dimenticare, in Italia e nel mondo Un movimento che non è stato a guardare, con proteste nazionali e in ogni città subito dopo il 24 febbraio, carovane umanitarie a Kiev e sostegno a tutti i disertori. Un movimento che dal basso chiede finalmente che l’«inutile strage» finisca, un negoziato e una Conferenza internazionale sul modello di Helsinki .

Coinvolgendo attori internazionali – l’Onu che sembra fuorigioco e cancellato da troppe sconfitte, insieme a Paesi come Francia e Cina che vedono nella continuazione di questo conflitto il disastro della loro stessa strategia politica; e protagonisti sociali – i sindacati e la società civile, tutti consapevoli dei costi spaventosi che l’«economia di guerra» arreca alle classi subalterne.

A chi serve che resti accesa una crisi bellica, un Afghanistan, nel cuore d’Europa? Nessuno vincerà questa guerra, ma tutti la perderanno. A chi serve che non esista l’Unione europea? A troppi: al neo-zar Putin, al pesante latrare della Nato e ai nuovi sovranismi nazionalisti, all’arrembaggio da est e da ovest .

Serve ora un movimento che chieda dunque un cessate il fuoco e un tavolo negoziale. Se lo si è fatto per il grano perché, magari per gradi come accaduto per altre guerre, non è possibile avviare una iniziativa di mediazione per una tregua delle armi e sullo status di Donbass e Crimea? Subito. Perché ora la parola è solo alle armi. E se non c’è diplomazia serviranno altre armi, che occupano lo spazio abbandonato dell’iniziativa di mediazione e di pace.

Sveliamo dunque il mondo in cui viviamo. Che crede di essere in pace mentre, al contrario vive «di» e «sulla» guerra, mentre nuovi e vecchi imperialismi e i mercanti di armi la fanno sempre da padrone, non solo in Ucraina ma in tutto il mondo, la cui condizione non è di vivere i conflitti armati quotidiani e permanenti.

Non c’è infatti una guerra degli ultimi trenta anni che non abbia lasciato sul campo milioni di vittime civili – con crimini di guerra rimasti impuniti – e che non sia rimasta con la sua scia di sangue e odio a determinare il presente, fatto di una geopolitica che dispiega bandierine, ma resta incapace di capire e fermare la deriva di morte tornata in piena Europa dopo la crisi jugoslava.

A proposito di guerre d’aggressione, vale per l’Iraq, per la Libia, per la Siria, per il Libano, per la Palestina, per il Kosovo, per l’Africa, per la tragedia dei migranti in fuga da nuova miseria e nuovi conflitti armati da noi alimentati. Per questo il manifesto oggi è in piazza e partecipa di questo movimento che ha nel suo Dna. Il manifesto, quotidiano comunista, che ha iniziato i suoi primi passi più di cinquanta anni fa protestando contro l’aggressione sovietica a Praga e contro quella americana al Vietnam, contro ogni imperialismo.

 
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