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PATADRAG. Nulla nel marasma andato in scena, in diretta tv, può riferirsi a una normale dialettica politica. Non perché non siano state rispettate le formule della democrazia parlamentare, ma perché l’ultimo fotogramma della crisi immortala il progressivo spappolamento e avvitamento del nostro sistema politico

Sotto le ceneri della legislatura Votazione della fiducia al governo a Palazzo Madama. - Ap

Con l’uscita di scena della terza maggioranza di governo della legislatura, l’Italia corre verso le urne più per caso che per scelta. Il paese rotola verso il voto con l’imbarazzante spettacolo finale del non voto di 5Stelle, Lega e Forza Italia alla mozione di fiducia posta da Draghi in Senato (formalmente ottenuta con 95 sì e soli 38 no). Si chiude una crisi di governo e inizia una campagna elettorale senza rete dentro la tragica escalation bellica e le gravissime emergenze sociali.

Nulla nel marasma andato in scena, in diretta tv, può riferirsi a una normale dialettica politica. Non perché non siano state rispettate le formule della democrazia parlamentare, ma perché l’ultimo fotogramma della crisi immortala il progressivo spappolamento e avvitamento del nostro sistema politico. Di cui Draghi è, nello stesso tempo, causa e effetto,

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GOVERNO. Le riforme strutturali non si addicono a Draghi, autorevole ed efficiente, chiamato non a scegliere, ma ad accompagnare il ritorno dell’Italia a una economia prepandemica
Fisco, ambiente, lavoro, le riforme che Draghi non può fare Fernand Léger, Les Constructeurs 1950

Se Draghi se ne va è perché non ha né la cultura, né gli strumenti, per affrontare la drammatica crisi sociale che colpisce il Paese. Draghi e chi lo ha scelto pensava ad un percorso in discesa. La crescita impetuosa del Pil dopo la pandemia, il Pnrr da spendere, permettevano di pensare ad una crescita tutta dentro il modello neo liberista. Senza bisogno di misure redistributive stringenti.

Aiutare le imprese a crescere, permettere e agevolare la crescita dei profitti, avrebbero potuto permettere un aumento di ricchezza che poteva sgocciolare anche sui più poveri. E di accantonare o rinviare le questioni che ostacolavano questa presunta crescita della ricchezza. La questione ambientale, il reddito di cittadinanza, una riforma fiscale davvero progressiva, la priorità degli investimenti nei bei pubblici essenziali- dalla scuola, alla sanità, alla cultura- sostituiti magari da qualche bonus alle persone. Draghi per questo era l’uomo adatto. Il suo atlantismo economico, sociale, militare, era a prova di bomba. Esente dalle velleità redistributive e di maggior autonomia sul fronte della politica estera che avevano, sia pur contraddittoriamente, caratterizzato il Conte bis.

La guerra scatenata da Putin in Ucraina è servita ancora di più a enfatizzare questa tendenza. A far ridiventare prioritari il carbone, il petrolio, il gas e il nucleare a scapito di un impegno serio ed esclusivo sulle energie rinnovabili; di sopperire alla più lenta crescita del Pil enfatizzando le tendenze alla privatizzazione di beni pubblici e servizi; a metter tra parentesi la lotta alla povertà crescente non solo di chi è disoccupato, ma anche di chi vive del proprio lavoro e della propria pensione.

Ma le questioni non affrontate ormai esplodono sempre più rapidamente. I disastri del riscaldamento climatico non sono più una ipotesi, sono una tragica realtà, che si esprime con ondate di calore ed una siccità senza precedenti; il rincaro dei generi alimentari in gran parte dovuto proprio alla siccità si unisce al rincaro dell’energia; aumenta il numero dei poveri mentre crescono i superprofitti di chi specula sulla scarsità di energia e di beni di prima necessità, e di chi ha investito e investe nella industria degli armamenti.

I soldi del Pnrr sono insufficienti e addirittura inutili se non accompagnati da politiche nazionali di investimento sulle politiche industriali, sulla scuola, sulla ricerca, sulla sanità, che richiedono l’attivazione di risorse possibili solo tassando i superprofitti, i beni voluttuari, combattendo sul serio l’evasione fiscale. Investendo il massimo delle risorse disponibili sulle energie rinnovabili, accantonando i progetti costosi ed inutili sul nucleare o su nuove gassificazioni. In breve, facendo delle scelte.

Interventi strutturali difficili per uno come Draghi, autorevole ed efficiente, ma chiamato a quel ruolo proprio per non scegliere, ma per accompagnare il progressivo ritorno dell’Italia nel quadro tranquillo dell’economia prepandemica. Senza nuove tasse, senza turbare gli storici equilibri- si fa per dire- che regolano nel nostro Paese i differenziali di reddito, di potere, di sapere fra i ricchi e i poveri.

E’ probabilmente di fronte al fatto della impossibilità e della sua incapacità a svolgere questo compito che Draghi decida di lasciare. Per gestire non la crescita economica ma il crescere della povertà e delle emarginazione sociale, per affrontare le cause di fondo del dramma della siccità, per spingere l’Europa ad esercitare un ruolo autonomo per la pace in Ucraina, svincolandosi da un atlantismo senza se e senza ma, Draghi non ha né l’intelligenza né il cuore. Prima che le contraddizioni esplodano meglio scegliere di farsi da parte, costruendo le condizioni per rendere irreversibile la sua scelta.

«Senza i 5Stelle io non governo», mentre una parte consistente della sua maggioranza tuona che è disponibile a continuare a sostenere il governo solo se i 5Stelle saranno messi alla porta. Conte e i 5Stelle, che pure hanno il merito di avere proposto a Draghi una agenda ambientale e sociale, si sono però mossi in modo tale da favorirne la possibilità di fuga. E proprio mentre era incalzato dalle organizzazioni sindacali a fare scelte che andavano in gran parte nella direzione indicata dai 9 punti dei Pentastellati.

Maurizio Landini ha detto chiaramente che l’incontro fra Draghi e i sindacati è stato insufficiente a dare risposte alle loro richieste. E tutti i sindacati ammoniscono il governo sulla necessità di un confronto stringente prima della legge di bilancio, in cui su quelle questioni dovranno esserci scelte concreate e misurabili. Su queste scelte era possibile provare a coinvolgere il Pd, e rilanciare sui contenuti il sedicente campo largo.

Draghi presidente stava per essere messo con le spalle al muro da un vasto fronte radicato nel sociale. E dalla consapevolezza crescente che senza scelte la situazione in autunno rischia di essere ingovernabile, economicamente, ambientalmente, socialmente. Le mosse un po’ avventate e improvvisate di Conte gli hanno permesso di sottrarsi al confronto. Sarebbe il caso di ripensarci.

 
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DEMOCRAZIA. Siamo in una democrazia, ancorché limitata dalla pandemia, dalla crisi energetica, dalla crescita produttiva stentatissima, dall’emergenza ambientale e, per non farci mancare nulla dalla guerra provocata dall’aggressione russa all’Ucraina, e pertanto, la parola il popolo ce l’ha naturalmente, senza garanzia di essere ascoltato e nemmeno di aver capito bene
senato

Votiamo subito! Lo chiede a gran voce chi pensa di vincere le elezioni, con la scusa di dare la parola al popolo, perché decida da chi farsi rappresentare?

Siamo in una democrazia, ancorché limitata dalla pandemia, dalla crisi energetica, dalla crescita produttiva stentatissima, dall’emergenza ambientale e, per non farci mancare nulla dalla guerra provocata dall’aggressione russa all’Ucraina, e pertanto, la parola il popolo ce l’ha naturalmente, senza garanzia di essere ascoltato e nemmeno di aver capito bene. Infatti, lo statista francese Georges Clemenceau ricordava che “In politica le promessa impegnano soltanto chi le ascolta”. Penso alla promessa di cambiare la legge elettorale in senso proporzionale, se il referendum costituzionale avesse avuto successo.

Se volete votare dovete prima ridarci, il diritto di voto, che ci avete rubato con il Porcellum e mai più restituito, nemmeno dopo che la Corte Costituzionale ha annullato le liste bloccate e il premio di maggioranza nel 2014, dopo che era stato usato nel 2006, 2008 e 2013 per rinnovare il Parlamento. Un Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale non ha la Costituzione nel suo Dna e pertanto ha cercato di cambiarla, ma il popolo italiano l’ha bocciata e la Corte costituzionale per la seconda volta dichiara incostituzionale la legge elettorale, la n. 52/2015.

Si approva in gran fretta e con 8 voti di fiducia, tra Camera e Senato, una nuova legge elettorale, la n. 165/2017, Rosatellum, studiando bene i tempi per rendere impossibile, che fosse controllata prima della sua applicazione. Per essere sicuri la modificano in peggio con la legge n. 51/2019 e tagliano i parlamentari in media del 36,50% e alla vigilia delle elezioni esentano, quasi tutti quelli che ci sono, dal raccogliere le firme di presentazione delle liste, con buona pace dell’art. 51 Cost. che assicura che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”.

Ridateci il diritto di voto, quindi di eleggere, uno per uno, i nostri rappresentanti, con qualunque sistema maggioritario, proporzionale o misto e non di ratificare quelli nominati dai partiti. Questo è il punto più difficile, perché il blocco delle liste e delle candidature uninominali, piace a troppi, di quelli che decidono: è la fonte del loro potere, più importante delle elezioni.

 
 

 

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CRISI DI GOVERNO. Una svolta nella politica estera per i prossimi decenni seppellendo in un sol colpo l’Europa come terza forza, l’Eurasia e scenari futuribili di possibile neutralità

Il disegno neocentrista dell’agenda Draghi 

Draghi forever avevamo scritto a suo tempo. Era infatti chiaro fin dall’inizio che un governo affidato ad una figura di grande prestigio internazionale non sarebbe stato il solito esecutivo tecnico all’italiana.
E, col passare del tempo, è apparso subito evidente che se Conte aveva contribuito a sbloccare l’austerità verso l’Italia sfruttando la spinta emotiva del Covid, il varo di un Pnrr con tutti i dettagli tecnici, con procedure, processi e tappe dettagliatamente definiti e con un piano di riforme collegate, avrebbero fatto di Draghi ben più di un semplice capo di governo. Ne avrebbero fatto il garante verso l’Europa e verso i mercati di un processo pluriennale e strategico di governo del nostro paese.

Questo per più ragioni. Innanzitutto perché si tratta di un processo che si dispiega in un arco temporale quinquennale. In secondo luogo perché esso deve produrre effetti finanziari capaci di fronteggiare sia il debito preesistente che quello nuovo che lo stesso piano produrrà al netto dei finanziamenti a fondo perduto.

Un processo, quindi, che richiede un assetto politico che sia insieme riformatore e di risanamento finanziario; un assetto ben lontano dal quadro politico preesistente in cui le forze dominanti erano movimenti e non partiti e, per giunta, esasperatamente populisti. Un caos congeniale alla nascita di un nuovo ordine.

Quindi altro che governo di emergenza ed altro che governo tecnico. Al contrario, un governo con una visione e con un disegno politico ambizioso e complesso. E chi, allora, meglio di una persona che ha avuto grandi responsabilità, esperienze e relazioni? La scelta di Draghi è stata di questa natura. Ed egli si è mosso in coerenza con questo mandato.

Come spiegare altrimenti la capacità iniziale di intrecciare nella composizione del governo tecnici e politici e di far fare concretamente il Pnrr a tecnici e consulenti dando al Parlamento solo due giorni di tempo per esaminare un piano di quella portata? Idee chiare e scelte decise. Imposte da uno e digerite da tutti.

E, per avvicinarci ai fatti più vicini, come spiegare la capacità di districarsi nelle vicende seguite all’aggressione russa all’Ucraina muovendosi con lucida determinazione nelle due direzioni di rafforzare il legame Europa-Nato e di rafforzare l’egemonia Usa nella corsa ad un nuovo assetto geopolitico volto a confliggere con Russia prima e Cina dopo?

Un disegno, questo, di portata storica che, senza un dibattito democratico nel paese o nel parlamento, compie, sotto l’emozione della terribile guerra scatenata da Putin , una svolta radicale nella politica internazionale per i prossimi decenni seppellendo in un sol colpo l’Europa come terza forza, l’Eurasia e scenari futuribili di possibile neutralità.

Ma non si tratta solo di questo. In questo scenario va collocato anche il rapporto tra le diverse forze politiche assemblate per concorrere al governo di unità nazionale. Forze con storie ed identità diverse, spesso ricomposte con bonus e ristori, quindi con spesa pubblica mirata a gruppi sociali di cui i neopopulisti sono stati bravi portatori di interessi.

Un disegno, quindi, anche di politica interna: guidare un processo di ristrutturazione, di scomposizione e ricomposizione delle forze politiche, per produrre un nuovo scenario più omogeneo e stabile, coerente con gli obiettivi di lungo periodo di cui si parlava. La cornice è quella che viene definita come l’agenda Draghi, non scelta da nessuno, ma evocata da troppi, da forze diverse, sparse ed in forte agitazione.

Un primo passo in questa direzione è stato fatto, non a caso, con la scissione di Di Maio che ha scomposto l’ex M5S e dato vita ad una formazione filo Draghi e ad un’altra oscillante tra una vecchia identità non riproponibile ed una nuova tutta da definire.

Non siamo ancora al partito di centro o a quello di Draghi. Ma su quella strada. Quello che è in ballo in questa crisi è il futuro di questo disegno e non solo il destino dei singoli protagonisti, Draghi o Conte, come vuol farci credere la cronaca.

Vedremo cosa accadrà. Ma i prossimi avvenimenti dovremo analizzarli con questa chiave di lettura. Perché è solo all’interno di questo processo che potremo e dovremo capire quale spazio e quale ruolo per le forze progressiste e di sinistra.

Certo poco dipende da noi e molto dagli altri . Ma già sarebbe tanto se potessimo evitare di ripetere schemi micropoliticisti di vecchi residui impregnati di personalismi ed identitarismi. Invece sembra che la storia tenda ancora a ripetersi.

Mentre tanti giovani sognano e gridano ambiente, clima, solidarietà, giustizia sociale, siamo lontani dal fare massa critica, dal produrre leadership, dal creare soggetti. Non ci resta che sperare che le spinte giovanili crescenti, il disagio sociale che monta, i movimenti che coinvolgeranno soggetti sociali e soggetti politici toccati dai processi di ristrutturazione che si sono messi in moto, aprano spazi ed attivino processi.

Forse avremo ancora Draghi e per un certo tempo. Sapendo, però, che non è un mago, ma espressione di un disegno politico sovranazionale che ha un segno conservatore e tutt’altro che progressista. E che la sinistra ha un senso ed un futuro se costruisce un disegno ed una visione alternativi.

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Tre ipotesi. 1) il governo è dimissionario, ma rimane in carica fino alla nomina di uno nuovo o anche fino alle elezioni. 2) un nuovo governo, in carica ma in attesa del voto di fiducia ...

La miccia della crisi  politica  accesa  da un sistema economico allo sbando

Tanto tuonò che quasi piovve. La crisi era ampiamente annunciata. Con il rigetto delle dimissioni di Draghi e il rinvio alle camere Mattarella ha mantenuto aperto uno spiraglio, legato al passaggio di mercoledì prossimo in Senato.
Fin qui, tutto secondo copione. Nel turbinio di commenti si è rilevato che Draghi è salito al Quirinale una prima volta senza alcun previo passaggio in consiglio dei ministri. Un punto forse politicamente, ma non formalmente, rilevante. Il “potere della crisi” è nelle mani del premier, la cui decisione di dimettersi non richiede una necessaria condivisione con il consiglio.

Il doppio passaggio di Draghi al Colle può segnalare la diversità di vedute tra lui e Mattarella. È probabile che già nella prima visita Draghi abbia

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Al via sottoscrizione per sostenere  il «Modello Riace»

Caro Manifesto, (car* altr*)
le recenti notizie provenienti dal processo di appello contro Mimmo Lucano e l’acquisizione da parte della Corte di importanti prove documentali ci rendono ancor più persuasi dell’assoluta buona fede dell’ex sindaco di Riace e degli altri interessati, ai quali rinnoviamo la nostra solidarietà. Nel frattempo Lucano ha ripreso quell’attività di accoglienza verso gli stranieri, che è stata e continua a essere la sola finalità che ha fin qui qualificato il cosiddetto «Modello Riace».

Nel Villaggio Globale di Riace in questo momento soggiornano già oltre quaranta persone in difficoltà e altre ancora sono attese: profughi afghani, nigeriani, eritrei e di altre nazionalità, esseri umani bisognosi di assistenza. Il che richiede la disponibilità di risorse anche economiche. La precedente raccolta di fondi, attraverso una sottoscrizione nazionale, ha dato ottimi risultati, ma la destinazione di quel denaro è, in prima istanza, vincolata al pagamento dell’enorme sanzione pecuniaria inflitta agli imputati (da essi comprensibilmente percepita come ulteriore ingiustizia). Di conseguenza, riteniamo necessario sostenere l’esperienza del Modello Riace (conosciuto in tutto il mondo) promuovendo una nuova raccolta di fondi finalizzata al pagamento delle spese che richiede, ora, subito, nell’immediato, l’importante attività di accoglienza e integrazione in corso. Servono fondi per la sistemazione degli alloggi, le vettovaglie, le attività di inserimento socioculturale che erano state brutalmente interrotte. Consideriamo importante per tutti noi la prosecuzione dell’attività di accoglienza diffusa, intrapresa da Mimmo Lucano che non vuole arrendersi alle avversità. Si tratta di un esempio di solidarietà concreta che merita un vasto sostegno. Avviamo perciò una sottoscrizione destinata a concludersi il 31 ottobre, che ha come obiettivo la raccolta di 100.000 euro. L’intera somma verrà devoluta all’attività di accoglienza secondo le indicazioni del suo promotore, Mimmo Lucano.

Vi chiediamo di dare il vostro contributo, piccolo o grande che sia, inviando un bonifico a:
A Buon Diritto Onlus – Banco di Sardegna
IT73H0101503200000070779827 – causale «Per Mimmo».

Nota bene: A Buon Diritto Onlus sostiene e affianca l’iniziativa mettendo a disposizione un conto corrente bancario interamente dedicato alla raccolta di fondi. Le relative sottoscrizioni non sono erogate, quindi, a favore di A Buon Diritto Onlus e pertanto non godono del beneficio della deducibilità fiscale.

*** Promuovono: Alex Zanotelli, Luigi Manconi, Gad Lerner, Alessandro Bergonzoni, Valentina Calderone, Eugenio Mazzarella, Elena Stancanelli, Vittoria Fiorelli, Luisa Morgantini, Giuliano Giubilei, Angela Azzaro, Sandro Veronesi, Marino Sinibaldi, Tommaso Di Francesco, Marica Fantauzzi, Mauro Magatti, Chiara Tamburello, Silvio Di Francia, Paolo Corsini, Maurizio De Giovanni

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