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Matteo Salvini

Nel secondo terremoto politico in un anno, la sinistra è finita sotto le macerie. Il responso delle urne punisce severamente la lista a sinistra del Pd, che abbiamo sostenuto con convinzione e scarse speranze. Non bisognava essere facili profeti per temere di sbattere contro il muro del 4%, ma a quel muro non ci si è nemmeno avvicinati.

Il confronto con i verdi e le sinistre europee è impietoso. Mentre negli altri paesi l’onda verde sta assumendo i connotati del partito di massa, come in Germania, e le stesse sinistre, pur se in pesante arretramento, tuttavia sono al 5,6, 10 per cento, in Italia il 2,2% dei Verdi e l’1,7% di La Sinistra, ci relegano a fanalino di coda in Europa.

Nel paese c’è un’area larga e impegnata, di realtà sociali e ambientaliste più vasta di quel milione di voti che Verdi e La Sinistra hanno raggiunto, perdendo entrambi. E lo spettacolo delle divisioni non ha giovato. I verdi sono andati leggermente meglio ma sarebbe utile prendessero qualche lezione da francesi e tedeschi.

A parziale giustificazione del tonfo della sinistra può essere portato il fatto che ormai il paese passa da un terremoto all’altro. Con un sistema mediatico implacabile, votato al plebiscito, alimentato da investimenti massicci sulla comunicazione, Salvini docet. Esserne tagliati fuori, riuscire qualche volta a diventare la notizia, come nel caso della Mare Ionio sull’immigrazione, non infrange la regola di una disconnessione culturale e politica.

Nemmeno un anno è trascorso dall’onda anomala che a marzo 2018 aveva portato il Movimento di Di Maio al 32% e che oggi, maggio 2019, lo precipita al 17% spostandosi impetuosamente verso il 34% della Lega.

Se l’Italia ha votato meno, finendo a fondo classifica anche sulla partecipazione, da dove sono venuti i 3 milioni di voti conquistati da Salvini? Da tutto il paese, purtroppo anche da Riace, da Lampedusa, già in passato governata da una sindaca leghista, dal Piemonte e dall’Umbria, dal Nord e dal Sud, quel Sud dove i 5Stelle perdono 2 milioni di voti facendo il pieno dell’astensione, dissanguandosi con un forte travaso a favore della Lega.

L’analisi dei flussi, il giorno dopo, chiarisce i contorni delle linee di frattura, la dinamica dei travasi e, fondamentale, dirada molta nebbia con il conto puro e semplice dei voti assoluti. Il Pd ne perde per strada circa 100mila. Sul Partito democratico grava

una grande responsabilità e l’emorragia dell’Italia centrale (Piemonte, Umbria, Emilia, Marche e anche Toscana nonostante Firenze) è ben più significativa del rientro dei voti persi con la scissione.

Con Calenda a Pisapia, i candidati più votati, insieme a Bartolo, simbolo di cura e di accoglienza dei migranti, Zingaretti dice di aver ripristinato le basi del centrosinistra. Sommando quegli alleati che una volta si chiamavano “cespugli” vede in futuro tornare la grande quercia. Non è facile immaginare come, visto che pesca solo una piccola fetta dell’astensione, e, ciliegina sulla torta, sembrerebbe perdere voti anche a vantaggio della Lega.

Per contrastare l’onda anomala della destra non si deve certo abdicare alle proprie idee, la dignità non ha prezzo e ciò che ha prezzo non ha dignità, diceva il filosofo. Ma nemmeno è più il tempo di coltivare una minoranza di innocua testimonianza.

E definire fascista la Lega forse non aiuta a spiegare il razzismo, l’antifemminismo, il capitalismo e la flat tax. Viceversa sembra denunciare la difficoltà a decifrare la società. Altrimenti le repliche della storia saranno ancora più severe e, soprattutto, il paese sarà condannato a un’altra stagione della destra al governo.

Se le elezioni europee sono il grande sondaggio prima delle politiche, e Tsipras già chiama i greci al voto, in Italia c’è solo da sperare che questa campana non suoni tanto presto.