Fino a sette ore di fila per salutare in San Pietro papa Francesco. Mentre si prepara il funerale di sabato, l’omaggio di credenti e non credenti è già diventato una manifestazione di popolo. In piena sintonia con il messaggio di Bergoglio e niente affatto «sobria»
La santa massa Decine di migliaia in Vaticano, le porte restano aperte per la notte. L’omelia di Zuppi: «Francesco ci ha fatto ascoltare il grido dei poveri»
La salma di papa Francesco trasferita a San Pietro per l'ostensione – Ansa
«La morte fa un po’ paura, ma attraversata la porta c’è la festa»: varcato il portico che conduce a piazza San Pietro, quelli della Gioventù ardente mariana provano a farsi coraggio diffondendo un messaggio estrapolato da una delle promesse che il papa aveva rivolto al suo popolo. La prospettiva di Francesco, espressa con linguaggio popolare più che da speculazione teologica, strappa un timido sorriso. Appena oltre le transenne dalle quali comincia il serpentone che si infila nella basilica ci si accorge che la sobrietà, tanto invocata in questi giorni di piazze diverse e contemporanee, non è la condizione di questo popolo che spesso ricerca anche la profondità tutt’altro che moderata del messaggio di Bergoglio.
ATTORNO ALLA GENTE in attesa, si vanno disponendo le attrezzature per il grande evento del funerale di sabato. Sono comparsi i maxischermi, i carabinieri a cavallo presidiano l’afflusso, gli spazi per la stampa si sono moltiplicati assieme ai varchi con metal detector. Guardandosi attorno si riconosce uno dei fenomeni di questi giorni di mobilitazione ecclesiastica generale, segno dei tempi: preti che spediscono ai fedeli delle parrocchie via social la loro corrispondenza video. Così i follower che li seguono da casa possono osservare proprio lui, il loro parroco, al centro della cristianità e nel mezzo della fase calda.
VERSO LE 19 la sala stampa fa sapere che si sono contati già ventimila passaggi davanti al corpo del papa. Fuori, il paesaggio è inevitabilmente in bilico, tra ordine e caos: le file disciplinate di chi attende e lo sciame confuso della gente che si aggira tra il colonnato Vaticano e Castel Sant’Angelo. Si stimano dalle quattro alle sette ore per fare un passaggio davanti alla salma. Nel pomeriggio viene celebrata una messa in suffragio del papa. C’è il cardinale, considerato tra i papabili, Matteo Zuppi. Descrive lo scenario in cui era arrivato Bergoglio, parla di un «popolo immerso in una casa comune segnata da tante divisioni, incapace di pensarsi insieme, di ascoltare il grido dei poveri, che costruisce altre lance e distrugge le falci e dove, pericolosamente, ci si lascia persuadere dalla logica della forza e non da quella del dialogo, dal pensarsi senza o sopra gli altri e non dal faticoso ma indispensabile pensarsi insieme».
INVECE, PROSEGUE il presidente della Conferenza episcopale italiana, «ringraziamo per
il dono di questo padre e pastore, fratello, che ha speso fino alla fine la sua vita, con tanta libertà evangelica, senza supponenza, scegliendo la semplicità e ricordando che questa è, nella tradizione francescana, sorella germana della povertà, il quale non approvava ‘ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto’».
A PROPOSITO di povertà: i senza tetto presidiano con una certa nonchalance i loro abituali posti per la notte e si confrontano sui pro e i contro della faccenda, si moltiplica la possibilità per gli oboli ma si riduce la privacy e lo spazio del giaciglio. «Francesco ha voluto la Chiesa credibile perché povera e amica dei poveri – sostiene Zuppi nella sua omelia – ‘Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do’. È questa l’unica forza che permette alla Chiesa di ridare speranza a chi l’ha persa».
QUANDO SI PASSA davanti al papa, ai piedi dell’altare della Confessione. Per la prima volta è posto su una pedana leggermente sopraelevata adagiata su un tappeto e non, come i suoi predecessori su un catafalco, in osservanza a un’altra sua esplicita richiesta per semplificare il rito delle esequie. Il corpo è vestito con i paramenti rossi, ha sul capo la mitria bianca, tra le mani la corona del rosario che spesso regalava a chi andava a fargli visita.
NEL TARDO POMERIGGIO arrivano i rappresentanti del governo e delle forze parlamentari e si diffonda la voce che sta per arrivare Giorgia Meloni. Esattamente in quel momento, mentre i cronisti si guardano attorno in cerca di scorte presidenziali e luci lampeggianti, si alza una folata di vento gelido e si addensano alcune nuvole. I ragazzi della Protezione civile si dicono che forse è il caso di allestire i teloni antipioggia. Non pioverà, ma i meno materialisti si pongono qualche domanda. Saranno giornate lunghe e intense e sarà difficile tenere il conto di tutti quelli che passeranno. Si conosce, tuttavia, l’identità di chi è stata la prima a passargli davanti con il fazzoletto bianco in mano. È l’ottantaduenne suor Genevieve, che il papa conosceva bene e che aveva vissuto per decenni nomade a bordo di una roulotte con i lavoratori del circo.
SIAMO ALLA SECONDA stazione dell’ultimo viaggio di Francesco. Da qui, subito dopo il funerale, verrà spostato fino a Santa Maria Maggiore, al quartiere dell’Esquilino. E proprio ieri, suor Adriana Domenici e don Mattia Ferrari hanno diffuso l’idea alla variegata comunità del quartiere. L’idea è di raggiungere il sagrato della basilica dopo la tumulazione muovendosi dall’occupazione socioabitativa di Spin Time. Un altro luogo bergoglianamente poco sobrio.