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L'urlo. Nella capitale la più grande delle manifestazioni. Trump blindato e difeso da paramilitari

La manifestazione a Washington

 

Gli Stati Uniti sono entrati nel decimo giorno consecutivo di proteste, si parla di quasi 600 città sparse in tutto il paese; a Washington è stata preparata la più grande manifestazione di questa lunga settimana di rivolte. A partire dalle 6 del mattino la polizia ha chiuso gran parte del traffico, creando una zona per soli pedoni; il perimetro della Casa Bianca è stato super militarizzato e circondato da una barricata eretta a tempi record dopo giorni di confronto tra la polizia e i dimostranti.

A DIFFERENZA di molte altre manifestazioni a Washington le mobilitazioni sono state tante, una dozzina, gestite da diverse organizzazioni e poi confluite nello stesso corteo iniziato alle 14. La situazione di Washington è peculiare e delicata in quanto si scontrano il potere della sindaca, che in questo momento è l’afroamericana democratica Muriel Bowser, e quello del presidente che vi ha la residenza. Bowser, che non ha preso bene l’approccio autoritario di Trump, ha ribattezzato la strada di fronte alla Casa Bianca Black Lives Matter Plaza, dove ha fatto dipingere sull’asfalto, in giallo e a caratteri cubitali, lo slogan del movimento, Blm, in un passo deciso nella lotta con Trump per il controllo delle strade della capitale.

Anche nel giorno della manifestazione Trump ha voluto che dell’ordine pubblico, oltre alla polizia, che risponde al sindaco, se ne occupassero dei corpi militari che risultano nuovi ed inquietanti, in quanto non hanno numero identificativo e non se ne capisce l’affiliazione, in compenso sono pesantemente armati. Questa militarizzazione non piace nemmeno al Pentagono, che ha detto ai membri della Guardia Nazionale schierati a Washington di non usare armi da fuoco o munizioni, e ha ordinato di ritirare le truppe in servizio attivo che l’amministrazione Trump aveva chiamato in città.

QUELLO CHE ARRIVA dal Pentagono non è solo un segno di de-escalation nella risposta militare alle proteste nella capitale, ma anche un sintomo della nuova situazione che si venuta a creare, con i militari che non stanno seguendo Trump nella sua svolta autoritaria.

Una mobilitazione nazionale così imponente sta producendo degli effetti, o quanto meno dei segnali rilevanti. La Nfl, la lega di football americano, dopo aver umiliato il quarterback dei 49ers Colin Kaepernick, e averlo lasciato senza lavoro per anni a causa del suo inginocchiarsi durante l’inno nazionale per protestare contro la brutalità della polizia sugli afroamericani, finalmente ha fatto ammenda, si è scusata, sostiene la protesta, e ora incoraggia i propri giocatori a esprimersi.

IL GOVERNATORE della California ha annunciato che la polizia del suo Stato smetterà di insegnare le tecniche di soffocamento, e il sindaco di Seattle ha ordinato di sospendere l’uso di lacrimogeni per almeno un mese.

A New York il sindaco Bill De Blasio ha detto che due agenti sono stati sospesi senza retribuzione per cattiva condotta durante le proteste, e un supervisore è stato riassegnato mentre altre indagini sono in corso; «I newyorkesi meritano la responsabilità», ha scritto De Blasio su Twitter ma la sua mossa appare blanda e tardiva considerando la violenza continua e spropositata della polizia della città che governa. Il problema della violenza della polizia che arriva ad uccidere gli afroamericani ma che di per sé sembra un corpo armato fuori controllo, è diventato un tema di discussione, l’esempio di Buffalo, nello Stato di New York è forse l’esempio più lampante.

DOPO LA SOSPENSIONE dal servizio dei due agenti che avevano ferito in modo grave un dimostrante 75enne scagliandolo per terra, 57 loro colleghi hanno annunciato le loro dimissioni esprimendo «solidarietà».

Il problema con cui deve interfacciarsi la polizia è che ora non si tratta più della loro parola contro quella di un civile, in quanto esistono i video degli eventi che vedono agenti coinvolti, come nel caso del 75enne di Buffalo, di George Floyd e del 33enne afroamericano Manuel Ellis, ucciso nel marzo scorso a Tacoma, nello Stato di Washington durante un arresto; anche per Ellis è spuntato un video che inchioda gli agenti del dipartimento di polizia alle loro responsabilità, in quanto si vedono i poliziotti picchiare Ellis dopo averlo schiacciato per terra e ammanettato.