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Interventi. Parallelamente al riconoscimento dell’unicità della Shoah cresce l’attenzione verso altri genocidi e altre memorie bussano legittimamente alla porta

Moni Ovadia

Alcuni anni or sono, ebbi la preziosa occasione di incontrare la grande testimone del genocidio ruandese dei Tutsi, Yolande Mukagasana, una donna straordinaria. Il privilegio di quell’incontro si trasformò in un’amicizia che continua ancora oggi. Yolande è autrice di un memoriale di eccezionale valore Not my time to die, tradotto in italiano con il titolo indovinato di La morte non mi ha voluto.
In questa opera racconta della sua terrificante esperienza che fortunatamente sfociò in un esito positivo. Nel corso di una delle volte che ebbi occasione di vedere Yolande, notai che portava come ciondolo una stella di Davide. La cosa mi incuriosì e le chiesi se per caso fosse ebrea. La sua risposta fu uno dei primi stimoli che mi spinse a dare vita ad un progetto che desse voce alle memorie di tutte le genti e di tutti gli uomini che sono stati vittime di genocidi, stragi di massa, persecuzioni sistematiche. Yolande rispose che quel ciondolo gli ricordava che anche loro,

i Tutsi, dovevano fare come gli ebrei, costruire un edificio della Memoria. La cultura della Memoria nasce in ambito ebraico già dai tempi biblici: nella narrazione dell’Esodo, Amalek, capo di una banda di Edomiti, attaccò gli Ebrei proditoriamente per annientarli. Nella tradizione ebraica, questo personaggio è considerato un progenitore di Adolf Hitler ancorché apparentato con gli Ebrei in quanto discendente di Esaù.

Per quell’episodio di tentato annientamento di tutti gli Ebrei per la sola ragione dell’odio contro di essi, il biblista lancia il monito: «Yizkor!», «Ricorda!».
Questo precedente nella propria narrativa identitaria, spirituale e culturale, ha permesso al mondo ebraico di edificare un poderoso edificio etico che si fonda sul valore e il potere della Memoria. In seguito all’immane catastrofe distruttiva occorsa agli Ebrei nel corso del secondo conflitto mondiale, il progetto della Memoria ha permesso loro di uscire – per quello che era possibile – dall’immane trauma anche grazie all’impetuosa diffusione dei mezzi di comunicazione, di trasmissione e di memorizzazione digitale.
Il magistero ebraico, nel corso dei decenni, ha fatto scuola. Anche volendosi limitare ai crimini perpetrati dai nazifascisti, il progetto di annientamento ha colpito i menomati, i primi a conoscere lo sterminio sistematico, i Rom e i Sinti destinati anch’essi allo sterminio totale e negli stessi lager destinati agli ebrei, gli slavi, gli antifascisti di qualsiasi appartenenza, i Testimoni di Geova, gli omosessuali, gli emarginati, i disabili e tutti coloro che non rientravano nella visione di «purezza» etnica e razziale concepita dai nazisti. Da che il dovere della memoria diventa sentimento diffuso nel mondo occidentale, la Shoah ne prende il centro e la quasi totalità delle manifestazioni che si diffondono nelle città, nelle nazioni, nelle scuole. Una vastissima messe di pubblicazioni sull’argomento sono state date alle stampe, sono stati girati decine e decine di pellicole, prodotti spettacoli teatrali, concerti.

La memoria ebraica ha fatto aggio sulle altre, ma negli ultimi anni altre memorie bussano legittimamente alla porta dell’attenzione e del riconoscimento e presso le persone più sensibili, cresce l’attenzione verso altri genocidi, stermini di massa e persecuzioni che hanno visto la loro sinistra luce prima e dopo la Shoah.
Alcune associazioni, fra le quali per esempio Amnesty International, il Tribunale Russel, – solo per fare degli esempi – hanno fatto un grande lavoro, ma negli ultimi anni, è nata un’associazione di grande importanza, la Gariwo, fondata da Gabriele Nissim che ha portato all’universalità l’istituzione dei «Giusti fra i popoli» aprendo un orizzonte straordinario nel cammino verso la pace nella giustizia.

La Gariwo ricorda e pianta alberi in memoria di ogni giusto che, a proprio rischio e pericolo, salvò esseri umani di qualsiasi origine e nazione dal pericolo di sterminio ad opera di assassini di qualsivoglia origine. L’esempio di Gabriele Nissim è stato fonte di grande ispirazione per me e ha influito sulla mia decisione di dare vita, nel Teatro Comunale di Ferrara Claudio Abbado, alla Settimana delle Memorie.
Fino al 30 gennaio ricorderemo l’unicità della Shoah che avrà due giornate e tre iniziative dedicate. Ma anche il genocidio degli Armeni, l’ininterrotta persecuzione del popolo curdo, il genocidio dei Rom, il genocidio dei Tutsi. Lo faremo con incontri, recital, concerti musicali e spettacoli teatrali.
Gabriele Nissim e io, entrambi ebrei, abbiamo interpretato il giuramento fatto sulle ceneri di Auschwitz «Mai più!», come «ciò che è stato non deve mai più capitare a nessun essere umano». Pensiamo che pur nel riconoscere la specificità di ogni crimine e l’unicità della Shoah che non va certo banalizzata o omologata, non ci possano essere graduatorie nel dolore.