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Crisi ucraina. La repressione dei media: chiusi decine di siti e radio, oggi si discute una legge per condannare a 15 anni chi diffonde notizie non ufficiali

Il direttore di radio Ekho Moskvy, Aleksei Venediktov

Il direttore di radio Ekho Moskvy, Aleksei Venediktov © Getty Images

«Sosteniamo una rapida fine del conflitto armato e la sua risoluzione attraverso un processo di negoziato». È il gigante petrolifero Lukoil il primo a saltare davanti al fuoco finanziario dell’Occidente contro la Russia, e la nota del consiglio di amministrazione resa pubblica quando a Mosca è sera incendia le agenzie di stampa. È il fronte interno della Russia in guerra, un impasto di sanzioni e code in banca, media chiusi o censurati, arresti a migliaia di pacifisti coraggiosi e isolati.

LUKOIL è la principale industria petrolifera del paese, la settimana scorsa aveva una capitalizzazione di Borsa di quasi 74 miliardi di dollari, un po’ meno del pil dell’Uruguay. Ieri alla chiusura di Londra aveva perso il 92,5%, in pratica non esiste più. Come la banca Sberbank (-99,7%), il big dell’oro Polyus (-95,5%) e il gigante dei giganti Gazprom (-93,7%). Il ceo di Lukoil è Vagit Alekperov, un 70enne azero che viene dalla nomenklatura sovietica come Putin. Era già presidente allora e lo è ancora oggi, con 25 miliardi di dollari in tasca. Come per tutti gli oligarchi, sembrava che il suo problema fosse salvare il mega-yacht – il suo Galactica Super Nova, un 70 metri, è stato visto navigare a tutta velocità dalla Spagna verso l’ospitale Montenegro, dove già si affollano molti altri giocattoli russi.

Fuori dal cerchio magico degli oligarchi (e dalle terrificanti conseguenze economiche sui russi), l’altra trincea del fronte interno è quella dei media e dell’opinione pubblica, su cui il Cremlino picchia come un fabbro. Gli eroi disarmati sono quelli di Novaya Gazeta, il coraggioso giornale che fu di Anna Politkovskaia, nato sulla tomba della Pravda e diretto da quasi trent’anni da Dimitri Muratov – che ci ha preso il Nobel per la Pace l’anno scorso. Il primo marzo la Gazeta ha scritto di aver ricevuto 6 diverse ingiunzioni dal temibile regolatore russo Roskomnadzor (non usare le parole guerra, vittime, invasione, fake news eccetera) e di aver chiesto ai sottoscrittori cosa fare: il 94% ha risposto «continuare». E hanno continuato, 550mila copie tre volte a settimana, mentre intorno a loro avveniva un’ecatombe di testate: ieri chiusa la stazione radio Eco di Mosca, come solo nel golpe del ’91, nei giorni scorsi chiusi i siti o le stazioni radio di Current Time, The New Times, Krim.Realii, Taiga.info, Doxa, The Village, Tv Rain, rimosso il materiale “bellico” da Tomsk Tv2, e la fila continua.

PUR TITOLANDO l’editoriale «Sul lavoro in tempo di guerra», alla Gazeta sono quindi costretti a impiegare allusioni, in questo sostenuti dalla storia russa: è il “linguaggio esopico”, quello che lo schiavo greco impiegava per ritrarre i padroni come animali, diventato il rifugio del dissenso politico dai tempi dello zar Alessandro II fino a Michail Bulgakov (ucraino russofono) e al suo celeberrimo Cuore di cane. E quindi i titoli sono «Putin avanza sull’Ucraina, giorno otto», «Esempi di resistenza personale alle bugie», «Ricostruire l’economia con i propri soldi», e avanti così finché si può.
L’altro sito citato ovunque in Occidente è Meduza, un aggregatore di notizie scelte a mano, che ieri ha lanciato un editoriale: «Pubblichiamo mentre siamo ancora in tempo, per segnare l’inizio di un altro sviluppo storico: la Russia ha ufficialmente introdotto la censura di stato». Meduza parla dei 15 anni di galera che oggi il presidente della Duma Vyaceslav Volodin proporrà come legge contro chi diffonde notizie non ufficiali sulla guerra «e commette atti ostili contro il proprio Paese». La pena terrorizza anche Meduza, che ha un vantaggio: è in Lettonia, finanziata dall’ex oligarca Michail Chodorkovski quando uscì dopo dieci anni dalle prigioni di Putin (per truffa, ma Amnesty lo considera un prigioniero di coscienza).

INTANTO l’attendibile “contatore degli arresti” della ong Ovd-Info ieri sera era arrivato a 8.012. E il capo del “Comitato investigativo della Federazione russa” Alexandr Bastrykin ha annunciato la creazione di «gruppi di repressione delle manifestazioni estremiste e terroristiche». La Rai ha scovato un cartone animato diffuso nelle scuole: il piccolo Vanya (russo) strappa il bastone al cattivo Nikola (ucraino) circuito da un tizio in maglietta a stelle e strisce. C’è aria di legge marziale, a Mosca.
Mentre l’Europa spegne siti e ripetitori di RT e Sputnik, media ufficiali del Cremlino – inutile macchia sulla coscienza: sono grotteschi. L’altro giorno Sputnik proponeva nei titoli principali «Operazione di peacekeeping affidata a Berlusconi».