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Oggi le opposizioni si siedono con il governo a palazzo Chigi. Chiamate per parlare della loro proposta di salario minimo, rischiano di cadere in una trappola propagandistica. Arriva il testo della tassa sulle banche, già ridotta, e si scopre che non è previsto il gettito

GIOCHI DA TAVOLO. L’Istat: a luglio 5,6% globale ma i prodotti della spesa al 10,2% La «forbice» pagata dai meno abbienti aumenta dello 0,2%. Il trimestre anti rincari di Urso partirà solo a ottobre I dati confermano: l’industria alimentare è innocente

L’inflazione rallenta. Quella nel carrello no: è quasi il doppio Una donna osserva i prezzi in un supermercato - Foto Ap

L’inflazione cala. Quella sul carrello della spesa molto meno, risultando quasi doppia. E così si allarga la forbice fra il costo della vita generale e quella che colpisce chi deve tagliare anche sui beni di prima necessità pur di mettere assieme il pranzo con la cena. In una parola: i poveri.

IL TUTTO ALLA FACCIA del «trimestre anti-inflazione» varato dal ministro Urso che questa «forbice» doveva ridurre e che invece partirà solo a ottobre. Mentre anche la Bce torna a mettere in guardia con il suo bollettino economico in cui dice che «le prospettive su Pil e inflazione restano incerte» e negli Stati Uniti l’inflazione torna ad alzare la testa, seppur solo al 3,2%.

In Italia a luglio l’Istat ha rilevato un tasso di inflazione – l’Indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) – del 5,9% su base annua, in calo rispetto al 6,4% di giugno. Il «carrello della spesa» che tiene conto dei prezzi al dettaglio dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallenta meno: a luglio segna un più 10,2%, rispetto al +10,5% di giugno (ancora inferiore il calo dell’inflazione sui prodotti ad alta frequenza d’acquisto: da +5,7% a +5,5%).

Dunque la «forbice» si

allarga: era 4,1% a giugno, è al 4,3% a luglio. Un più 0,2% che corrisponde a un fardello ulteriore sulle spalle e le tasche dei meno abbienti con un corollario inevitabile di riduzione del consumo interno, il vero spauracchio di qualsiasi governo, compreso quello di Giorgia Meloni.

«Dobbiamo e possiamo fare di più», ha commentato subito il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, rilanciando il suo protocollo anti-inflazione siglato con organizzazioni della distribuzione, artigiani, cooperative e Pmi, che «dispiegherà i suoi effetti dal primo ottobre al 31 dicembre, attraverso «una sorta di calmiere in un paniere di prodotti di largo consumo, per stabilizzare l’inflazione e dargli il colpo finale». Una bacchettata poi alla grande industria alimentare che il ministro chiama a fare la sua parte: «Ci sono aziende italiane importanti che in Francia hanno sottoscritto l’accordo con il governo per ridurre i prezzi e in Italia dicono che non è possibile. Mi auguro che ci ripensino».

Ma è l’Istat a smentire il ministro, elencando i settori in cui i prezzi sono scesi di più: «La decelerazione del tasso di inflazione si deve, in prima battuta, al rallentamento della crescita tendenziale dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +4,7% a +2,4%), dei beni energetici non regolamentati (da +8,4% a +7,0%), degli alimentari lavorati (da +11,5% a +10,5%) e, in misura minore, di quelli degli altri beni (da +4,8% a +4,5%) e all’ampliamento della flessione su base annua degli energetici regolamentati (da -29,0% a -30,3%)».

DELL’ELENCO FANNO PARTE gli «alimentari lavorati» e cioè proprio quella industria che non ha firmato il patto e che è additata (ingiustamente) per la corsa dei prezzi del carrello della spesa. Non solo a luglio, in tutto questo periodo di inflazione galoppante l’Istat ha certificato come «i prezzi alla produzione, vale a dire i prezzi di cessione alla distribuzione, che si attestano ben al di sotto del tasso di inflazione medio», come rivendicano le associazioni dell’industria alimentare. Implicitamente accusando la grande distribuzione di fingere di impegnarsi per rallentare i prezzi.
Infine, l’Istat parla di «dinamica ancora fortemente influenzata dall’evoluzione dei prezzi dei beni energetici», con un’inflazione acquisita per il 2023 che al momento rimane stabile al 5,6%.

ANCORA TROPPO POCO però per le associazioni dei consumatori. L’Unione nazionale consumatori (Unc) parla di «calo con il misurino», a fronte di prezzi che restano agli stessi livelli «lunari» di giugno, stimando per una coppia con due figli una spesa da 1.699 euro in più all’anno. Di questi ben 864 euro soltanto per riempire il carrello della spesa. Per le famiglie più numerose, con oltre tre figli, l’esborso supera i 1.900 euro. La dinamica dell’inflazione però non è omogenea sul territorio nazionale. In alcune città l’impennata di prezzi e spese è più marcata rispetto ad altre. È il caso di Genova dove, indica ancora l’Unione nazionale consumatori, l’inflazione si attesta all’8,2% con 1.787 euro di spesa in più all’anno per una famiglia media. Segue Varese, con un +6,5% su luglio 2022 e maggiori spese familiari pari a 1.714 euro. Sul gradino più basso del podio Milano che, pur avendo un’inflazione poco più alta della media italiana, al 6,3%, fa registrare però una spesa supplementare di 1.710 euro annui per una famiglia tipo