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GAZA. «Ospita base di Hamas». I medici negano e chiedono un’ispezione internazionale che smentisca. Incubo bombe per 5mila pazienti. Netanyahu sul «dopo-Hamas». Tel Aviv si occuperà della «sicurezza di Gaza» per un periodo indefinito

I reparti israeliani mettono nel mirino l’ospedale di Shifa

«Sventolando bandiere bianche, gli abitanti di Gaza si spostano a sud mentre l’esercito israeliano apre un corridoio umanitario». Leggendo il titolo del bollettino di notizie live sul Times of Israel si ricava l’idea che a Gaza a fine ottobre sia entrato un contingente di caschi blu dell’Onu incaricato di proteggere l’esodo volontario di migliaia di persone dal nord verso il sud della Striscia. E non forze armate che hanno sganciato migliaia di bombe su Gaza e ammonito in volantini lanciati il mese scorso alla popolazione che sarebbe stato identificato come un potenziale nemico e terrorista chiunque resterà nel nord della Striscia. Nonostante l’impegno profuso dal Times of Israel dubitiamo fortemente che i soldati israeliani siano visti come dei «liberatori dalla tirannia di Hamas» dai civili palestinesi che hanno perduto tutto nei bombardamenti, la casa e ogni avere, e che ieri scappavano verso sud. A piedi per chilometri, adulti, bambini, ammalati. Perché a Gaza non c’è il carburante per le auto, Israele non ne permette l’ingresso, e perché il «corridoio sicuro» offerto per alcune ore dai comandi militari altro non è che la superstrada Salah Edin che in più punti è gravemente danneggiata dalle esplosioni. Lunghi tratti di strada percorsi con poca acqua, qualche bottiglia per tutta la famiglia. Trovare acqua è una delle priorità per gran parte delle persone. Il fabbisogno è enorme. Già prima del 7 ottobre un palestinese di Gaza aveva poca acqua a disposizione e di cattiva qualità. Ora in media ha tre litri al giorno, avvertono Onu e Oms.

Tanti restano a Gaza city e nel nord. Sarebbero 300-400mila secondo stime non ufficiali. E l’esercito israeliano ormai è intorno alle loro case. Ieri il generale Yaron Finkelman,

capo del Comando sud, riferiva con toni vittoriosi che «Le nostre azioni stanno danneggiando il cuore delle attività di Hamas. Abbiamo eliminato decine di comandanti, svelato molti tunnel e stiamo colpendo duramente il nemico». Ad annunciare un’intensificazione delle operazioni, era stato lunedì sera il portavoce militare, Daniel Hagari, precisando che i reparti corazzati israeliani avevano isolato e circondato il nord della Striscia, colpito il campo profughi di Al Shati e la zona portuale di Gaza city.

Nessuna conferma o smentita arriva dall’altra parte, da Hamas che dopo un mese di bombardamenti senza precedenti su Gaza riesce sempre, ogni giorno, ad indirizzare razzi verso i centri abitati israeliani e diffonde video in cui i suoi uomini, emergendo da tunnel sotterranei, realizzano agguati a danno di soldati e mezzi corazzati. Non ci sono dubbi, comunque, su violenti scontri a fuoco che continuano a Tal al Hawa, a sud di Gaza city, sul fatto che i reparti israeliani siano dentro il quartiere di Rimal e si stiano avvicinando all’ospedale Shifa. Ciò potrebbe scrivere con il sangue un’altra pagina drammatica della guerra. Nell’ospedale ci sono circa 5mila pazienti, ammalati e feriti dalle bombe, e intorno sono accampate altre migliaia di civili che credono di trovarsi in luogo protetto dai raid aerei. Israele sostiene che sotto l’ospedale si trovi la base più grande di Hamas a Gaza city. Perciò vuole l’evacuazione dello Shifa e i palestinesi temono che possa bombardarlo. Il personale medico nega l’esistenza di questa roccaforte di Hamas e chiede che una delegazione internazionale venga ad effettuare controlli in modo da smentire le accuse e salvare l’ospedale. Ugualmente a rischio è un altro ospedale di Gaza city, l’Al Quds, situato a Tel al Hawa in mezzo a combattimenti e bombardamenti. Colpito anche il sud dove si ammassano gli sfollati. Una bomba ha centrato il campo profughi di Shaboura. A Khan Yunis e Deir al Balah sono stati colpiti edifici residenziali. Gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso 548 palestinesi tra lunedì e martedì, ha comunicato il ministero della Sanità a Gaza. Ciò porta il bilancio delle vittime a 10.328 persone uccise, tra cui 4.237 bambini, 2.719 donne e 631 anziani. 89 erano dipendenti locali dell’Unrwa (Onu). Altri 25.956 palestinesi sono rimasti feriti. Oltre duemila civili sono dispersi, probabilmente morti sotto gli edifici crollati. Numeri destinati a salire ancora. L’Amministrazione Biden infatti si sta preparando ad inviare anche le bombe di precisione ad Israele, per 320 milioni di dollari, scrive il Wall Street Journal. Altri giornali descrivono come continuo il flusso di armi, missili e bombe che gli Usa mandano a Tel Aviv.

La invocano il segretario generale dell’Onu Guterres e tutte le ong e le agenzie umanitarie, ma la tregua generale non ci sarà fino a quando non saranno liberati i 241 ostaggi israeliani e stranieri nelle mani di Hamas. Lo ha ribadito più volte Benyamin Netanyahu. Al massimo, dice il premier, Israele potrebbe attuare «pause tattiche» nei bombardamenti che durerebbero circa un’ora ciascuna. A far rumore in queste ore sono anche le dichiarazioni di Netanyahu a proposito del «dopo-Hamas» nell’intervista data a Abcnews. Israele, ha detto assumerà la «responsabilità complessiva» della «sicurezza di Gaza» per un periodo indefinito dopo la fine della guerra. Parole che nascondono l’intenzione di fare di tutta Gaza una «Area B» sul modello delle aree della Cisgiordania in cui il controllo effettivo è (grazie agli accordi di Oslo) nelle mani di Israele mentre la gestione dei semplici affari civili è dei palestinesi. Gli Usa e l’Ue e anche il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid vogliono che l’Anp di Abu Mazen si sostituisca ad Hamas. Israele tace. In ogni caso al di là delle «soluzioni» immaginate dalle parti, Israele pensa a rioccupare Gaza. «Non è una buona idea» avvertono gli Stati uniti che affermano di credere nella soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Lapidario il commento dell’analista Mouin Rabbani. «L’eliminazione di Hamas è impossibile a Gaza. Hamas non è solo una forza militare, è un movimento con un largo seguito sociale, con ampie ramificazioni nella popolazione. Non sparirà» ha spiegato. «Nessuna entità o gruppo palestinese può pensare di arrivare a Gaza dietro i mezzi corazzati israeliani e poi di governare stabilmente e senza problemi. I piani e le proposte di questi giorni mi appaiono tutti slegati dalla realtà palestinese in generale e di Gaza in particolare».

Alla crisi umanitaria scatenata dalla guerra che si aggrava giorno per giorno, allo strazio dei parenti di morti e feriti e al dramma di decine di migliaia di famiglie che hanno perduto tutto, si aggiunge la preoccupazione dei palestinesi originari di Gaza che vivono all’estero, per i loro famigliari e amici nella Striscia. Le comunicazioni sono molto precarie. La telefonia mobile funziona ad intermittenza, internet quasi mai. «Dal 27 ottobre non riesco a contattare i miei genitori e mia sorella Fadwa» racconta l’attivista Asma Al Ghoul, che si è trasferita all’estero qualche anno fa. «Lascio messaggi su Whatsapp – aggiunge – provo a telefonare, niente. Ascolto con ansia le notizie di famiglie colpite e decimate dalle bombe. Se il cognome non è quello dei miei cari faccio un lungo respiro, sono vivi mi dico, però è terribile pensare che al mio sollievo corrisponde nello stesso momento il dolore di tante altre persone»