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PIAZZA FONTANA: 1969 - 2023. La bomba di Milano aprì il decennio più nero della Repubblica: le responsabilità di neofascisti e pezzi di Stato sono ormai storia. Bettin e Dianese a caccia dei «gelidi mostri», Tobagi punta agli intrecci della politica

54 anni fa la Strage di Piazza Fontana: un sanguinoso fil rouge unisce i 5 attacchi del 12 dicembre

 

Per trovare una verità sepolta dai decenni bisogna mettersi a riguardare la storia minuto per minuto. È un lavoro che richiede pazienza e poi non è affatto detto che produca risultati tangibili, perché se è vero che in guerra la prima vittima è proprio la verità, dove una guerra non è mai stata dichiarata a morire subito è quasi sempre la memoria. E purtroppo l’esattezza delle risposte dipende sempre dalla domanda da cui si decide di partire. Per esempio: il decennio che corre tra la strage di piazza Fontana, avvenuta 54 anni fa esatti , e quella della stazione di Bologna è stato un decennio di guerra? Si dirà che sono successe tante cose, che non c’è stato solo il sangue, non c’è stata solo la violenza, non ci sono state solo le bombe, le trame e le congiure. C’è stato anche il coraggioso tentativo di trasformare l’Italia in un paese civile: lo statuto dei lavoratori, l’aborto, il divorzio, l’obiezione di coscienza, la chiusura dei manicomi.

GIANFRANCO Bettin e Maurizio Dianese parlano di «verità d’insieme», forse l’unica possibile a distanza di tanto tempo dai fatti. La tigre e i gelidi mostri, da poco uscito per Feltrinelli, è un tentativo di portare un po’ di luce nelle tenebre della Repubblica: la tigre è il cambiamento che irrompe in società (e spaventa i reazionari) e il resto del titolo è un riferimento a Nietzsche, secondo il quale «Stato si chiama il più gelido dei mostri», perché in fondo il sangue delle stragi è per lo più nelle mani di uomini dello Stato, non pezzi deviati come si usa dire, ma funzionari, agenti, dirigenti, nomi noti e importanti, tendenzialmente stimati in società.

E il percorso arriva fino a oggi: la destra italiana appare distante dalle tendenze eversive del passato – anche se certi dettagli ricorrono: Meloni ha festeggiato la sua vittoria elettorale del 2022 all’hotel Parco dei Principi di Roma, dove nel 1965 andò in scena il battesimo della cosiddetta «destra rivoluzionaria» – e ha pure imparato bene a gestire la tigre, imponendo

le sue parole e i suoi temi a tutta l’opinione pubblica. Basti pensare al racconto del fenomeno delle migrazioni, tra invasioni immaginarie, fortezze da proteggere e identità per cui combattere. Ricetta che funziona benissimo in un paese che non c’è più e che infatti adesso si fa chiamare nazione. E lo Stato? È ancora gelido, anche se non ha più bisogno di apparire mostruoso.

EPPURE è proprio da un uomo dello Stato che Bettin e Dianese partono per cavalcare la tigre e svelare il volto dei gelidi mostri: il sostituto procuratore Mario Amato, ucciso dai Nar a Roma nel 1980 e prima ancora lasciato solo, senza scorta, a indagare sulle trame dei reduci di Salò che si misero al servizio dell’impero del bene quando il mondo venne diviso in due e il confine – di ferro – era a casa nostra, dove la lealtà ha sempre un suo doppio e dipende dall’incrocio delle varie strategie. Fino a che punto è lecito fare del male nel nome del bene? Una domanda che contiene in sé tutta l’inquietudine per le sorti di un paese sempre sotto tutela, mai considerato davvero maggiorenne. Le stragi italiane, dunque, furono stragi politiche: «Non solo ai sensi del codice penale, ma anche su un piano storico», spiegano gli autori.

DALLA PRIMA parte di questa frase, cioè dai mille lunghissimi processi spesso finiti in assoluzioni generalizzate o verità scritte in piccolo nelle tardive sentenze di Cassazione, che Benedetta Tobagi fa partire il suo Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo (Einaudi). Forte di un’immersione totale nei documenti declassificati dei servizi e nelle carte giudiziarie, la storica compone un affresco molto politico del decennio stragista. E i fili che collegano i fatti non sono tanto nel dibattito pubblico dell’epoca – in ogni caso molto più evoluto di quello attuale – quanto nel retrobottega della Repubblica: i rapporti spesso conflittuali tra magistrati, gli scontri interni all’intelligence, le manovre di sottogoverno. E cose note. Talmente risapute che nessuno le ha mai studiate davvero: la P2, suggerisce Tobagi, alla quale abbiamo addebitato di tutto e che è stata davvero un enorme centro di potere occulto. E però curiosamente nessuno ha mai affrontato il tema da un punto di vista accademico.

C’È UN ANNO fondamentale in tutta questa storia: il 1977, quando i servizi segreti vennero riformati (sdoppiati, in parte democratizzati) e le istituzioni cominciarono a cambiare. Difficile da dire se in meglio o in peggio, ma un’idea ce l’abbiamo tutti, ed è quella del paese che cambia maschera in continuazione, assecondando le circostanze. E c’è una conclusione (anche se i libri non finiscono mai, al più si abbandonano): la metà degli anni ’90, quando l’Italia ha preso atto della fine della guerra fredda e il suo sistema politico ha smesso di funzionare, lasciando campo libero ai venditori di fumo e ai tanti, troppi, cantori della fine delle ideologie. Un tema resta, sempre uguale a se stesso, anche se di tempo ne è passato parecchio, anche se di stragi non ce ne sono più, anche se gli intrighi sembrano essere scomparsi: il controllo democratico sugli apparati della Repubblica. Lo sforzo costante di sorvegliare gli argini dei fiumi per evitare che si rompano. E per far sì che i fatti vengano archiviati si può solo lavorare sugli archivi: se è vero che tutto passa, è vero pure che tutto lascia traccia