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IL CASO. Parte l’«assegno di inclusione» che sostituisce il «reddito di cittadinanza»: taglio di 1 miliardo mentre la povertà continua a crescere. Il Workfare di Meloni: tagliare il sussidio e spingere a un lavoro che non c’è. La denuncia dell'Inca e della Cgil Firenze: "Senza sussidio per formazione e lavoro da 3 mesi. Il governo fa cassa sui più vulnerabili"

Reddito a ostacoli, la nuova guerra ai poveri Manifestazione per un reddito minimo garantito - LaPresse

L’inizio del nuovo anno ha segnato un’altra tappa della guerra ai poveri di chi già nel 2021 ha definito il «reddito di cittadinanza» come un «metadone di stato». Ieri è ufficialmente partita la terza «riforma» delle politiche di contrasto della povertà in pochi anni. Dopo il «Rei» del 2017 e il «reddito» del 2019, l’«assegno di inclusione» appena entrato in vigore ha irrigidito i criteri workfaristi già contenuti nel precedente «reddito di cittadinanza», peggiorandoli. Quest’ultima transizione è avvenuta in due tempi. Il primo è iniziato a settembre 2023, quando è stato istituito un sussidio per un’altra categoria di poveri: gli «occupabili». È il «supporto per la formazione e il lavoro». Almeno 240 mila ex beneficiari del «reddito di cittadinanza» definiti «occupabili» hanno perso il sussidio. E sono stati costretti a cercarsi un corso di formazione in cambio di 350 euro (200 in meno rispetto alla media del «reddito»). Non è però detto che ci siano riusciti, come sta emergendo da molte testimonianze.

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Momentaneamente disagiata

SECONDO I PRIMI DATI sull’assegno di inclusione, dal 18 dicembre in totale avrebbero aderito 145 mila persone: 65 mila sono riuscite a presentare domanda online, 80 mila tramite i patronati. Quanto agli «occupabili», prima di Natale risultavano 114 mila domande per il «Supporto formazione lavoro», solo 70 mila ricevevano prima il «reddito di cittadinanza». Alla domanda dove siano finiti gli altri 170 mila ai quali è stato tolto il sussidio la ministra del lavoro Calderone ha sostenuto che

avrebbero trovato un lavoro o che non abbiano superato i «controlli». È probabilmente vera quest’ultima ipotesi. Decine di migliaia di persone sono state escluse da una norma esemplare adottata dal governo che ha ristretto l’accesso alla misura portando il reddito Isee da 9.350 a 6 mila euro. È il risultato del restringimento punitivo dei controlli, non del mercato del lavoro.

SECONDO LE STIME dell’Inps saranno 737 mila le famiglie a ricevere un assegno di inclusione. La spesa nel 2024 sarà di 5,5 miliardi di euro. È un taglio netto rispetto ai 7,6 miliardi stanziati per l’ultimo anno del «reddito di cittadinanza» nel 2023. Si fa dunque cassa sulle spalle dei «poveri». Ciò però non significa che i potenziali beneficiari siano diminuiti.

È STATO DECISO di estendere la copertura ai «soggetti fragili», alle vittime di violenza di genere, ai senza dimora, alla disabilità o a chi è in carico ai servizi per la salute mentale. È previsto un aumento dei cittadini extracomunitari residenti da meno di 5 anni in Italia che avranno diritto a richiedere perlomeno l’assegno di inclusione. Questa decisione non è il risultato di un sussulto democratico del governo Meloni. È stata presa per evitare l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea che aveva già stigmatizzato la norma razzista del governo Lega-Cinque Stelle («Conte 1») che escluse i residenti da meno di 10 anni. I cinque anni voluti da Meloni & co. sono troppi. Come indicato dalla Commissione Saraceno – che ha provato inutilmente a modificare gli effetti più irrazionali del «reddito di cittadinanza» – dovrebbero essere portati a due anni. Come nell’«assegno unico per i figli», per esempio. Si configura allora un rischio: aumenteranno coloro che richiederanno il sussidio che però sarà insufficiente per i cittadini «nazionali». E lo sarà per quelli stranieri residenti. Non è imprevedibile la possibilità che nasca la più infame della guerre sociali: tra gli ultimi stranieri e i penultimi italiani. Questi problemi vanno osservati rispetto alla tendenza generale all’aumento delle povertà. Quella «assoluta», secondo l’Istat, è in aumento: 5 milioni e 600 mila persone, più della metà al sud. È la stessa del 2019 quando nacque il «reddito di cittadinanza» Segno che le politiche di Workfare, all’interno delle quali si trova truffa semantica del «reddito di cittadinanza» che tale non è mai stato – non servono a liberare dalla povertà, ma a governare i poveri.

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IN ATTESA che emergano dati più attendibili, possiamo individuare il carattere pro-ciclico della politica di Meloni: tagliare i diritti residuali mentre sarebbero necessarie per sostenere chi è più esposto alle crisi. L’obiettivo è trasformare l’assistenza e l’accompagnamento al lavoro in una corsa ad ostacoli che rende la vita un inferno. Va interpretata in questo senso l’analisi devastante fatta da Bankitalia (e contestata dal governo) sul taglio dell’importo medio degli assegni pari a 1.300 euro annui. O quella dell’Alleanza contro la povertà secondo la quale la fine del «supporto per la formazione e il lavoro» tra un anno genererà altri poveri che non saranno calcolati tra i disoccupati anche perché queste persone sono «lontane» da anni dal «mercato del lavoro».

TAGLIARE i fondi, scaricare la «colpa» sui beneficiari dei sussidi, fare in modo di rendere la loro vita un inferno. È una delle leggi del Workfare applicato dal governo Meloni. I risultati emergono da una prima indagine condotta – prima di Natale – dalla Cgil Firenze, dal Servizio Orientamento Lavoro del sindacato e dal patronato Inca nel capoluogo toscano. Riguarda in particolare il «supporto per la formazione e il lavoro». Con l’«assegno di inclusione» ha sostituito il «reddito di cittadinanza».

SU 140 PERSONE che hanno richiesto questo «sussidio», 50 hanno ricevuto l’assegno promesso di 350 euro, dopo l’iscrizione e la frequenza dei corsi. Condizione imposta dal governo per percepire un sussidio inferiore di 200 euro medi rispetto all’assegno di inclusione. Il resto delle persone si trovava però senza sostegno economico da più di tre mesi.

L’INCHIESTA ha rilevato anche l’aumento della cosiddetta «offerta formativa». L’avvio dei corsi è stata rallentata dalla sua ampiezza. In Toscana a settembre c’erano 2 mila corsi. Ciò però ha impedito in alcuni casi il raggiungimento del numero minimo di allievi per corso. Chi è riuscito a frequentarli ha maturato un’insoddisfazione per la mancanza di sbocco lavorativo.

LA FORMAZIONE, inoltre, non è stata ritagliata sulla persona ma sulle imprese che non pensano a «investire» sui soggetti che si rivolgono ai centri per l’impiego. I soldi finanziano l’industria della formazione e non producono l’«annunciato aumento dell’occupazione». C’è «grande confusione e disorientamento tra le persone coinvolte che seguono con difficoltà (o non riescono a seguire) le procedure farraginose che collegano l’erogazione del sostegno, tanto necessario quanto insufficiente per i loro bisogni vitali. Non sempre è possibile ritagliare i corsi sulla condizione della persona».

«QUESTA  è una operazione di cassa sui più poveri – ha commentato il sindacato – Hanno tolto quello che esisteva per aiutarliu e non hanno preparato nulla, scaricano sugli enti locali e non sono nemmeno in grado di offrire una opportunità di lavoro».
Nell’area fiorentina si sono rivolte alla Cgil circa 2.200 famiglie che percepivano il «reddito di cittadinanza»: meno della metà avranno l’«assegno di inclusione». «Era un sacrosanto dovere della politica costruire un sistema universale di sostegno al reddito che tenesse conto della condizione complessiva della persona, ma di fatto è stato smantellato anche quello che seppur con molte criticità avevamo»