Innanzitutto gli affari, suoi e dei miliardari che lo accompagnano. Ma in Arabia Saudita Trump si dedica anche al futuro del Medio oriente. Rilancia il patto di Abramo e annuncia una tregua che non c’è a Gaza. È la dollaro-diplomazia
Big Mecca A gonfie vele il primo giorno del presidente Usa in Arabia saudita, domani tocca al Qatar. Israele osserva, sempre più inquieto
Foto di gruppo ieri per la visita di Donald Trump a Riyadh – AP /Alex Brandon
Donald Trump ha alzato il pugno in aria mentre scendeva dall’Air Force One, atteso da Mohammed bin Salman (MbS), suo giovane partner di buoni affari. E aveva buoni motivi per essere raggiante. Giunto ieri a Riyadh come un lupo affamato, il presidente ha ottenuto da principe saudita un impegno da 600 miliardi di dollari per investimenti negli Usa.
UNA SOMMA enorme che include quello che gli americani descrivono come il più grande accordo di vendita di armi tra alleati, per un valore di quasi 142 miliardi di dollari. Il mese scorso gli Stati uniti si erano detti pronti a offrire a Riyadh un pacchetto di armi del valore di 100 miliardi. MbS è andato ben oltre, coprendo buona parte del desiderio della Casa bianca di ottenere investimenti per «mille miliardi di dollari» negli Usa durante la sua missione nel Golfo, la prima all’estero del suo secondo mandato. «Credo che ci piacciamo molto», ha detto Trump incontrando il fedele alleato e sovrano di fatto dell’Arabia saudita.
Oggi Trump sarà al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo, primo presidente Usa a farlo. Tra i temi sul tavolo: la sicurezza regionale, il nucleare iraniano e lo Yemen.
La missione proseguirà domani nel piccolo ma potente Qatar, attore chiave della diplomazia e delle finanze mediorientali. Si parla di intese tra i 200 e i 300 miliardi di dollari. Con l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani – che insiste per donargli un lussuoso Boeing 747 – Trump discuterà della crisi di Gaza, dando il via alla parte più politica del suo viaggio nel Golfo. Poi andrà ad Abu Dhabi, dove sarà ricevuto da Mohammed bin Zayed.
Il governo Netanyahu ha seguito ogni passo del presidente Usa. Il premier israeliano, che fatica a tenere agganciato Trump alle sue prossime operazioni militari a Gaza – ieri Netanyahu ha confermato l’imminenza dell’offensiva «Carri di Gedeone» – e al rifiuto di una tregua permanente con Hamas, a svantaggio anche degli ostaggi israeliani, fatica a digerire la decisione della Casa bianca di non includere nel tour mediorientale lo Stato ebraico. Tel Aviv è preoccupata per ciò che Trump potrebbe proporre mentre re e principi arabi lo ricoprono di dollari.
SI PARLA da giorni di una dichiarazione «importante» del presidente Usa a proposito di Gaza e della Palestina. È assai improbabile che riconosca il diritto dei palestinesi all’indipendenza nella loro terra, alla luce anche della sua proposta di espellere i palestinesi da Gaza. Eppure, l’entourage di Netanyahu non ha nascosto il timore che «l’imprevedibilità» di Trump possa produrre proposte e soluzioni non in linea con quelle di Israele.
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Guerra ucraina, le parole armate e la verità come vittimaIl tycoon ieri ha cercato di tranquillizzare Netanyahu proclamando che
il suo «sogno» è che l’Arabia saudita aderisca agli Accordi di Abramo e, quindi, normalizzi le relazioni con Israele. Allo stesso tempo ha riconosciuto che Riyadh non lo farà subito. «È mia fervente speranza, desiderio e persino sogno che l’Arabia saudita… aderisca presto agli Accordi di Abramo…Ma lo farete quando vorrete», ha detto, riconoscendo che il regno dei Saud non è pronto ad avviare relazioni con Israele mentre le forze agli ordini di Netanyahu distruggono Gaza e la popolazione palestinese soffre la fame. Senza dimenticare il rifiuto del governo israeliano di stabilire un percorso verso l’indipendenza palestinese. In realtà, la dichiarazione – se e quando ci sarà – di Trump su Gaza e i palestinesi non conterrà svolte clamorose. Più parti lo prevedono.
PUNTERÀ INVECE sulla richiesta di una tregua temporanea tra Israele e Hamas e sullo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri politici palestinesi. Doha insiste per accettare la proposta di Hamas di liberare tutti gli ostaggi israeliani e porre fine alla guerra, ma – risponde l’Amministrazione statunitense – la posizione di Netanyahu e dei ministri più estremisti non andrà oltre un accordo temporaneo.
In cambio della liberazione di Edan Alexander, gli Stati uniti – riferisce il sito Axios – avrebbero promesso di fare pressione su Israele affinché accetti un cessate il fuoco di 70-90 giorni in cambio del rilascio di dieci ostaggi. Più di tutto, starebbero agendo per impedire che Israele lanci l’operazione «Carri di Gedeone».
TRUMP ha ribadito che la sua amministrazione «lavora per riportare indietro gli ostaggi e per porre fine alla guerra». Da parte sua, il governo israeliano ripete che i negoziati saranno condotti sotto tiro e che l’offensiva per occupare l’intera Striscia andrà avanti se Hamas non rilascerà gli ostaggi.
Nello scenario migliore, prevedono i media israeliani, Trump presenterà un piano sostenuto dagli arabi per porre fine alla guerra. «Nel peggiore dei casi – ha scritto Haaretz – Trump non presenterà nulla, oppure Israele o Hamas respingeranno il piano. Di conseguenza, il presidente Usa perderà interesse, la guerra a Gaza continuerà senza fine, gli ostaggi moriranno e il ministro delle Finanze (e leader dell’ultradestra, ndr) Bezalel Smotrich sarà contento».