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Persone, non intrusi. Parliamo di migranti con “Farsi prossimo”, associazione promossa dalla Caritas diocesana

Quanti luoghi comuni, quanti pregiudizi e autentiche falsità circolano sui migranti. Tanti, troppi. Al punto di contribuire al formarsi di un’opinione diffusa fondata più sul sentito dire piuttosto che sulla conoscenza di un fenomeno di indubbia rilevanza. Ciascuno può legittimamente pensarla a modo suo, ma risulta davvero difficile un confronto serio se si prescinde dalla realtà.
Una realtà che ben conoscono quelli di Farsi prossimo, una sorta di braccio esecutivo della Caritas diocesana. “In effetti – affermano il presidente Stefano Guerrini e Davide Agresti – non tutti hanno chiaro cosa si intenda per migranti. Questo termine indica in modo generico l’insieme delle persone che lasciano i rispettivi Paesi per ragioni che possono essere diverse: le guerre, i cambiamenti climatici, la miseria, la speranza di un futuro migliore”. La stessa speranza che ha spinto in passato milioni di italiani – e spinge tutt’oggi decine di migliaia di giovani – a fare le valigie e a recarsi lontano.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. “Il migrante mosso da ragioni economiche può in teoria far ritorno al suo Paese, non è un perseguitato politico e non ha diritto a particolari tutele. Gli ingressi in Italia sono ancora regolati dalla legge Bossi-Fini, quella che prevede il reato di clandestinità tuttora vigente. Negli ultimi anni le quote sono sensibilmente diminuite. Il rifugiato è invece chi è costretto a fuggire perché perseguitato per le sue idee, per la sua religione, per la razza o l’etnia alla quale appartiene. Lo status di rifugiato è riconosciuto e tutelato dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Il richiedente asilo è la persona in attesa che le autorità competenti decidano la sua inclusione nel sistema di protezione”.

A chi compete decidere? “Circa la richiesta di asilo e al relativo status di rifugiato è la Commissione territoriale, nel nostro caso quella di Bologna - sezione di Forlì. Spetta invece

alla Prefettura decidere l’inclusione nel sistema di protezione, distribuendo i richiedenti asilo sul territorio sulla base delle disponibilità dei Comuni e vigilando sul rispetto degli standard a proposito di vitto, alloggio, assistenza sanitarie e legale, percorsi di alfabetizzazione. La Prefettura di Ravenna è fra le più attente e disponibili nel cercare di far fronte a queste esigenze. Le difficoltà maggiori si riscontrano in quella che viene chiamata la ‘seconda accoglienza’, cioè l’integrazione di quanti hanno concluso la prima fase: mancano strumenti, sono poche le aziende che attivano tirocini formativi, andrebbe adeguata la legislazione del lavoro”.

Cosa c’è di vero nelle ricorrenti affermazioni secondo le quali ai “migranti” vanno consistenti somme di denaro? “Ai richiedenti asilo vanno 2,50 euro al giorno. Tutto qui. Il costo totale giornaliero pro capite è pari a 35 euro. Niente invece spetta ai migranti”.

C’è chi insiste nel dire che è in atto un’invasione, quanti sono i richiedenti asilo nel faentino? “In tutto sono circa 250, assistiti dall’Asp (Azienda servizi alla persona), dalla Caritas, dalle parrocchie e da altre associazioni. La Caritas, attraverso Farsi prossimo, accoglie attualmente una sessantina di persone”.
Problemi? “Tanti. Ciascuna di loro ha alle spalle storie drammatiche, di violenza e di tribolazioni. Vengono soprattutto dall’area sub-sahariana, da culture e usanze molto diverse dalle nostre. Nell’aiutarli occorrono tempo, comprensione, disponibilità. L’apporto dei mediatori culturali è essenziale, prima di tutto per capirsi e stabilire un rapporto di fiducia. Molti, infatti, parlano dialetti che qui nessuno conosce”.

Perché non è la Caritas a svolgere in prima persona questa attività? “La Caritas è un organismo pastorale della Diocesi che risponde al diritto canonico. Occuparsi di accoglienza significa mettersi in relazione con la Prefettura, con altri soggetti istituzionali, sottoscrivere convenzioni. Per questo è nata Farsi prossimo ed è in corso una fase di assestamento. Sta per essere costituita, fra l’altro, una fondazione di diritto civile. Farsi prossimo è un’associazione di laici che si occupa anche di molto altro: dal Centro d’ascolto all’Osservatorio delle povertà, dall’oratorio doposcuola all’ambulatorio, dal servizio civile all’orientamento al lavoro. Tutte queste attività impegnano circa 160 volontari”.

Siano consentite a chi scrive, a questo punto, due riflessioni. La prima: Davide, Stefano e i tanti altri, ragazze e ragazzi, che dedicano il loro tempo – senza calcoli di tornaconto personale, anzi – a chi soffre e ha bisogno, meritano rispetto e apprezzamento. Appartengono alla parte migliore della nostra comunità. Lavorano in silenzio, forti della convinzione di essere nel giusto. E lo fanno consapevoli dell’indifferenza e persino dell’incomprensione che li circonda.

La seconda, di ordine generale: lo scorso anno in Italia sono state più le persone arrivate agli 80 anni dei nuovi nati. Gli analisti stimano che fra trent’anni gli italiani saranno sei milioni in meno. E l’età media sarà ancora più alta. Coloro che gridano “Mandiamoli tutti a casa! Padroni in casa nostra!” dovrebbero spiegarci come pensano di mantenere lo stato sociale (pensioni, sanità, assistenza e altro) senza l’apporto degli immigrati. La verità è che di loro abbiamo bisogno. Il fenomeno delle migrazioni continuerà finché permarranno squilibri, ingiustizie, guerre. Si tratta dunque di farne una risorsa e non un problema. E di considerare gli “altri” quali persone e non intrusi. 

Mirka Bettoli e Angelo Emiliani