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Intervista L'ex ministro: «Con i referendum può arrivare una scossa per rimettere al centro il lavoro. Il quorum è difficile ma possibile. La condizione dei lavoratori deve essere il cuore dell’alternativa alle destre. Schlein l’ha capito, con 5S e Avs si diano una mossa». «Con Renzi e Calenda in futuro si può discutere, ma il nucleo della coalizione deve essere solido. Meloni? Con lei al governo hanno guadagnato solo banche e assicurazioni»

Bersani: «Abbiamo fatto cose disdicevoli. Ora ripartiamo» Pier Luigi Bersani – Ansa

Pierluigi Bersani ha appena pubblicato un libro, Chiedimi chi erano i Beatles (Rizzoli), in cui racconta gli ultimi tre anni in giro per l’Italia, a incontrare giovani e ragionar di politica. Più che un memoir è un’analisi della storia della sinistra in Italia, piena di idee per il futuro.

Nel libro lei ricorda spesso la necessità di tenere «l’orecchio a terra». Cosa dice il suo orecchio rispetto ai referendum di giugno?

Può essere una buona occasione, l’inizio di un risveglio. La questione del quorum è molto seria ma non la drammatizzo: come sinistra davanti abbiamo davanti un percorso lungo. Con i referendum si mettono a tema due questioni che riguardano il futuro dell’Italia: lavoro e cittadinanza. Il problema è come risvegliare le energie che ci sono, ma non trovano canali. Non siamo ancora riusciti ad accendere il fuoco, siamo ancora ai fuocherelli. In questo percorso i referendum sono una tappa cruciale: mi aspetto che una reazione nelle urne ci sarà.

Mondo del lavoro e sinistra, un rapporto complicato.

La parte del libro a cui sono più affezionato è quella sul lavoro. Dobbiamo far capire alle persone questo nesso: non può esserci in Italia una democrazia sana se il lavoro è malato. Il lavoro, come soggetto, è stato protagonista nell’impedire che la Costituzione rimanesse una carta astratta, nel difenderla dagli attacchi fascisti, la chiave per estendere tutti i diritti. Io spero che dalle urne esca l’energia per riprendere la strada di una legislazione positiva su questo tema: una legge sulla rappresentanza, il disboscamento di tutte le forme di precarietà, il salario minimo, la parità salariale, la sicurezza. Dobbiamo riunificare un mondo che oggi è disperso e frantumato: è un punto centrale della futura piattaforma dell’alternativa.

Questi quesiti sono adeguati per un progetto così ambizioso?

In Italia tutti i referendum vincenti hanno spinto ad approvare leggi che hanno portato a dei passi avanti, al di là del tecnicismo dei quesiti. Hanno messo in moto un processo.

Pensa che il quorum ci sarà?

Una sfida difficile ma possibile. Ma già mettere al centro della discussione questi due temi sarà un grande passo avanti.

Il Pd chiede di abrogare riforme volute dal Pd come il Jobs Act.

In tutti gli anni Novanta e nei primi Duemila tutta la sinistra nel mondo si è attardata su parole d’ordine vincenti nella fase ascendente della globalizzazione: si pensava che la marea sollevasse tutte le barche, anche quelle piccole. Poi è arrivata la smentita: e con questa il bisogno di protezione e la vittoria delle destre. Le sinistre di allora non sono impazzite, sono state catturate da un fenomeno globale. A volte abbiamo fatto cose disdicevoli, ma è il passato. Ora dobbiamo capire come ripartire. Il Pd ha capito meglio di altre forze la nuova fase e ha cambiato posizione: ha deciso di ripartire dalle costituency fondamentali della sinistra, come il l lavoro. Oggi molti lavoratori stanno perdendo il segnale radar dei partiti, dei sindacati, della partecipazione al voto. Non possiamo permetterlo. Ma non dobbiamo cedere allo scoramento: bisogna guardare in faccia questa fase storica.

Schlein è accusata, anche dentro il partito, di avere schiacciato il Pd sulle posizioni della Cgil.

Se a queste discussioni partecipassero iscritti e militanti tutto filerebbe più liscio. La nostra gente ha capito che oggi la responsabilità nazionale del Pd non è essere il punto di garanzia del sistema, ma organizzare il campo dell’alternativa. Schlein questa cosa l’ha capita e deve andare avanti, insistere fino a far sparire l’antico riflesso che vede il Pd come forza che deve garantire la tenuta del sistema. La percezione reale del nostro mondo è molto più avanti di quella si vede nei battibecchi dentro il ceto politico.

Nel libro lei racconta l’incontro in streaming del 2013 con i capigruppo 5S Crimi e Lombardi per cui fu molto criticato. Oggi che l’alleanza col Pd appare quasi scontata come si sente? Il cambiamento dei 5 stelle deriva dal fatto che hanno trovato un avvocato che ha archiviato le follie antipolitiche di Grillo?

(Sorride) Conte ha ben interpretato il fatto che nella cultura diffusa del M5S, dopo mille curve, si è arrivati a ritenersi stabilmente nel campo progressista. Scherzando dico spesso che si definisce progressista uno che non ha il coraggio di dirsi di sinistra. Ma, come si è visto, ho pazienza. Per loro, che sono una forza recente, è indispensabile avere 2-3 temi che facciano da bandiera, che consentano di distinguersi: è stato così col reddito di cittadinanza e col salario minimo, che per primi hanno portato avanti. Ora c’è la pace. Per questo penso che occorra mettere in piedi un programma con 2-3 punti in cui loro si possano riconoscere pienamente. Mi preoccupa invece l’idea del «marciare divisi per colpire uniti: è una sciocchezza pericolosa. Il nostro elettorato non va sottovalutato ed è diverso da quello delle destre: ha bisogno di percepire una unità della coalizione su alcuni valori di fondo e se non la vede può disamorarsi. Per questo è utile che Pd, M5S e Avs dicano delle cose insieme: lo hanno fatto su Gaza, sul salario minimo, sulla separazione dei poteri. Bisogna andare avanti così.

Da qualche settimana Renzi spinge per entrare nel centrosinistra: è diventato accomodante.

Per l’alternativa non si butta via niente, ma si deve partire dal solido, e cioè da chi più coerentemente sta facendo l’opposizione: Pd, M5S e Avs. Strada facendo si possono allargare gli orizzonti, con disponibilità, discutendo anche con chi mostra dei ripensamenti.

Vale anche per Calenda?

Lui è un mistero della politica. Dice di avere le radici nel social liberalismo di Rosselli, ma quelli hanno combattuto in Spagna contro i fascisti! C’è bisogno di una coerente componente liberale, per saldare il tema sociale alla difesa delle istituzioni. In passato abbiamo avuto figure come Ciampi e Andreatta che rassicuravano il mondo produttivo, le elite con uno sguardo democratico. Uno come Calenda, in teoria, potrebbe seguire questi esempi. Ma non si decide a fare una scelta di campo.

Meloni in Parlamento ha detto che i salari crescono, l’occupazione pure e l’Italia sta reagendo meglio di altri alle crisi internazionali.

Pura propaganda. Basta farsi una domanda: da quando ci sono loro dove sono andati i soldi? Non nei consumi e nei salari, non negli investimenti e neppure nella produzione industriale in calo da 26 mesi. Sono andati alle rendite finanziarie, con un record assoluto di profitti per banche, assicurazioni e grandi società di servizi. I consumi calano perché devi pagarti la sanità e il lavoro è sottopagato. Come ha detto Draghi, ora l’Europa deve puntare di più sul mercato interno. Per risvegliare l’economia bisogna mettere i soldi nella tasche delle persone. Le ricette delle destre non sono più così apprezzate: il loro elettorato c’è ma è ammaccato. Per questo è ora di accendere il fuoco, lanciare un progetto nel paese con 4-5 proposte precise: far capire che questo dialogo tra le forze di opposizione può diventare un’alleanza vincente. Non c’ tempo da perdere.