Discutiamo in redazione del vento che è cambiato su Gaza. E se è veramente cambiato. Del fatto che l’«orrore» nella Striscia – «infinito» in effetti – compaia adesso sulle prime pagine degli stessi giornali che l’avevano nascosto. Così i palestinesi nei titoli hanno smesso di morire per cause misteriose e ora vengono ammazzati, bombardati e affamati da Israele. La condanna del 7 ottobre, si è scoperto, non deve concludersi necessariamente ribadendo le ragioni di Netanyahu. Che non esistono.
In Italia i partiti di opposizione recuperano un po’ di voce, anche quelli che riuscivano a parlare di Gaza solo sotterrando il biasimo dentro interminabili premesse. Fuori dall’Italia, i video della riviera di Trump, i progetti di deportazione di tutti i palestinesi dalla Striscia (in Libia!), la percezione che Netanyahu non si fermerà e la soddisfazione dei suoi ministri che rivendicano di condurre una pulizia etnica sotto al naso del mondo, hanno smosso più di un governo. Almeno nelle dichiarazioni.
Non quello di Giorgia Meloni che non si allontana di un passo dall’ombra di Trump.
È un bene che questi segnali adesso arrivino. Anche se si sono fatti attendere 20 mesi e 50mila morti ammazzati. Per provare a fermare il genocidio non servono buttafuori della causa palestinese, non diremo chi può e chi non può prendere parola per la vita dei gazawi. Possono farlo, devono farlo a questo punto tutte e tutti.
Già che ci sono si ricordino anche della Cisgiordania e delle violenze dei coloni armati. E allora chi finalmente avverte la necessità di mobilitarsi per Gaza smetterà di compilare liste di presunti antisemiti, nelle quali mettere tutti coloro che si mobilitano già da un anno e mezzo nelle scuole, nelle università e anche nelle piazze. È responsabilità della caccia alle streghe che televisioni, giornali e forze politiche hanno condotto contro il movimento «pro Pal» se il nostro paese è praticamente l’unico dove non c’è stata una grande manifestazione nazionale per Gaza.
Certo, dobbiamo riconoscere anche un limite nella capacità di allargare e unire del movimento. Così come un limite nell’azione del sindacato, concentrato su altro (referendum) ma che avrebbe potuto chiedersi se Gaza non meritasse uno sciopero.
Il manifesto racconta l’orrore di Gaza senza reticenze e con tutte le sue forze denuncia i crimini di Israele. Lo fa dal primo giorno, un minuto dopo aver condannato le brutali violenza di Hamas e chiesto la liberazione degli ostaggi. Ma quel minuto dura da 20 mesi.
Se d’ora in avanti saremo in una compagnia più grande, bene. Non ci facciamo troppe illusioni ma è chiaro che politica e media non possono sopravvivere a lungo tanto lontani dalla sensibilità dell’opinione pubblica che di fronte a un così gigantesco dramma si forma malgrado la disinformazione. Ed espone ovunque, pure al Giro d’Italia, la bandiera della Palestina. Il nostro compito è raccontare e dare strumenti per capire. Continueremo: la prossima settimana dedicheremo un intero giornale, dalla prima all’ultima pagina, a Gaza.
Perché ora più che mai è il momento della chiarezza. Un generoso, ma generico appello alla pace di fronte allo scempio di vite umane che procede incessante non basta. Due popoli due stati verrà dopo, ammesso che abbia ancora senso riproporlo. Adesso bisogna fermare Israele. Bisogna smettere di armarlo, iniziare a isolarlo, colpirlo nei suoi interessi, fargli sentire forte la condanna mondiale. Una manifestazione nazionale dovrà dirlo forte. Bisogna agire sui governi nazionali. Fare pressione sul governo Meloni perché l’Italia, persino l’Italia, dica almeno «basta». Bisogna portare in piazza questo sentimento popolare che è una richiesta politica.
E proprio per questo bisogna farlo a Roma.