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Cannes 78 Questo premio ci ricorda che l’Iran e il Medio oriente non sono solo campi di battaglia

Un giorno a Teheran. Battersi in patria oltre le guerre dell’Occidente

 

Un giorno arrivai a casa di Jafar Panahi. Mi fece sedere sul divano e, di fronte a me, c’era un grande manifesto: quello di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. «Avevo fatto una tesi su di lui alla scuola di cinema di Teheran», mi disse.

E Jafar Panahi mi raccontò una storia: «Vedi quel professore che mi promosse a pieni voti per la mia tesi? Fu lo stesso professore che, anni dopo, censurò uno dei miei film e ne impedì l’uscita nei cinema iraniani. Era diventato il capo della censura». Panahi non è solo un grande regista, ma un uomo straordinario, che sa comunicare con chiunque. Ha realizzato film nel suo Paese sormontando enormi difficoltà, girando persino un film come Taxi Teheran soltanto con una piccola macchina da presa e un’auto pubblica. È stato presente in ogni momento della storia dell’Iran, senza mai abbandonare il suo Paese e la sua gente, pensando sempre che fare film, che fare arte, fosse il modo migliore per aiutare l’Iran e gli iraniani. Il premio che gli è stato conferito ieri non consacra solo una carriera: è un riconoscimento all’uomo, al regista e a tutti gli intellettuali iraniani che, in questi decenni, hanno levato la loro voce contro la censura e il regime. Tutto questo avviene in un momento di grande tensione internazionale. Da una parte, gli Stati uniti hanno intavolato negoziati sul nucleare con l’Iran; dall’altra, il governo israeliano di Netanyahu minaccia di colpire l’Iran, sostenendo che sia vicino a ottenere una bomba atomica. Ma questo premio ci ricorda che l’Iran e il Medio oriente non sono solo campi di battaglia ma sono anche terra di cultura, di uomini e donne che lottano per la libertà, la loro, ma anche quella di tutti noi.