Intervista all'ex sindaco di Cagliari. Serve una coalizione ampia e plurale, come in Emilia. Con Pisapia l’abbiamo già praticata. Guardiamo con interesse al percorso dem. Ci confronteremo, del resto lo stiamo facendo da tempo. c’è già una classe dirigente nuova, Elly Schlein è stata votata per la sua coerenza
Il voto in Emilia Romagna ha ridato slancio all’idea di coalizione di un centrosinistra plurale che alcuni esponenti della sinistra, di generazioni diverse, hanno incarnato da tempo. Massimo Zedda, ex sindaco di Cagliari e oggi capo dell’opposizione progressista alla regione Sardegna, l’ha proposta già alle politiche del 2018, con Giuliano Pisapia. Alla guida del Pd c’era Renzi, non se ne fece niente.
Zedda, il tempo è galantuomo? In realtà Pisapia l’aveva già proposta a livello nazionale e poi realizzato nel 2011 a Milano. E noi a Cagliari. E con successo. È l’idea della costruzione di un centrosinistra nuovo, cioè rinnovato nei temi, coerente rispetto ai programmi presentati. E che soprattutto sappia andare oltre il Pd. Ora in Emilia Romagna il Pd ha ottenuto un ottimo risultato, ma per vincere sono state necessarie altre liste, come «Coraggiosa», quella del presidente e le altre che compongono un centrosinistra plurale che ha dato uno spazio anche gli elettori delusi. L’obiettivo non è «solo» la vittoria ma il buongoverno del territorio che ci si candida ad amministrare.
Oggi la destra nazionalista ha il vento in poppa. Un’idea di coalizione larga è l’ultima chiamata per non farla straripare? Non so se si può parlare di ultima chiamata. Anche in aeroporto dopo l’ultima chiamata può succedere che qualcuno perda il volo. Mi lasci dire fuor di metafora: oggi il volo lo stanno perdendo i sardi. È saltata la ‘continuità territoriale’: in Sardegna con il presidente leghista, anche se lui si definisce sardista, da un mese non si può prenotare un volo per Roma o Milano dopo il 16 aprile. Le ho fatto questo esempio per dire che la nostra necessità non è quella di fare un’alleanza per vincere, ma per non consentire a questa destra di devastare il paese.
Lunedì pomeriggio a Cagliari con Fratoianni e Elly Schlein discuterà di obiettivi comuni e autonomia. Come ha fatto ieri a Sassari. L’autonomia che vuole la destra viene è la libertà di fare azioni contro le leggi e senza controllo. Abbiamo iniziato una serie di incontri sul territorio con le candidate e i candidati e con tante cittadine e cittadini che hanno sostenuto il centrosinistra alle regionali del 2019. Lunedì parleremo anche di quello che sta accadendo in Regione. Il punto è questo: qui la destra nazionalista interpreta l’autonomia con la paura, la chiusura in sé e senza volontà di competizione con le altre realtà. Isola le istituzioni, isola le persone. Noi dobbiamo essere capaci di declinare il nostro senso di appartenenza all’opposto: i problemi sono comuni, la solidarietà è un elemento di forza per tutti, l’unità di intenti, di forza, di relazioni, fa crescere tutto e tutti. Non l’interesse particolare. Il problema del lavoro non riguarda un solo individuo ma milioni di persone. Servono politiche unitarie che guardino a tutto il territorio nazionale. E invece la destra si disinteressa del meridione, lo concepisce come un bacino di voti, non investe sul suo sviluppo. È l’elemento che genera la paura sul quale loro fondando il consenso.
Immagina una lista «Coraggiosa» a livello nazionale? Non mi sono appassionato mai ai nomi. Il senso delle prossime iniziative è stare insieme, in alcuni casi anche tornare insieme. Il nome verrà, di nomi ne abbiamo tirato fuori anche troppi, quando dietro quei nomi c’erano poche cittadine e cittadini.
La sinistra è segnata da fratture in alcuni casi antichissime. C’è il problema di una nuova classe dirigente che chiuda con l’eterna pulsione alle divisioni? Credo che una classe dirigente nuova ci sia già, e lo dimostra per esempio il voto a Elly Schlein: è stata riconoscibile per l’elettorato della sua regione, che chiede alla sinistra maggiore coerenza. Penso alle politiche ambientali. Non significa ‘solo’ tutela dell’ambiente. Intendiamoci, c’è chi lo devasta, ma le leggi italiane sono tra le più avanzate al mondo. Oggi il tema è basare lo sviluppo sull’ambiente, cioè sulla conversione, sulle rinnovabili. È elemento fondamentale per abbattere la spesa sanitaria: il 70 per cento dei tumori è legato a fattori ambientali e alla qualità della vita. Investire in bonifiche, innovazione, ricerca scientifica significa creare nuovi posti di lavoro.
Il centrosinistra governa con i 5 stelle. Nella sua regione c’è la possibilità di un avvicinamento? Sta accadendo. Non dall’oggi al domani. Ed è possibile perché dall’inizio manteniamo una disponibilità al confronto, che giorno dopo giorno determina l’eliminazione dei sospetti reciproci. L’altro elemento, per noi di sinistra, è la riconoscibilità. In particolare i 5s della prima ora, quelli nati sull’ambientalismo e sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, sanno come abbiamo governato Cagliari. Oggi spesso facciamo insieme le battaglie d’opposizione in regione. Ovviamente ci sono differenze caso per caso, e nel resto del paese regione per regione. In alcuni posti il dialogo è più avanzato, in altri meno. Ma la tendenza c’è.
Zingaretti ha lanciato un congresso o, meglio, una conferenza programmatica ‘aperta’ anche a chi sta fuori dal Pd. È interessato? Siamo dell’idea che nel centrosinistra ci sia il bisogno di creare una coalizione ampia e non un unico partito che ricomprenda tutti. Alle regionali bisogna presentare delle liste, e così alle comunali. Alle politiche vedremo quale sarà la legge. Guardiamo con interesse al percorso del Pd, penso che sia opportuna questa apertura sui temi. Vedremo che cosa accadrà, Zingaretti ha parlato di un ripensamento profondo, forse un cambio di nome. Ma la mia opinione è che per noi, per ora, il discorso è prematuro. Seguiremo il dibattito con attenzione, ci confronteremo, del resto lo stiamo già facendo da tempo. Ma continuo a pensare che nel paese manchi una forza organizzata di sinistra vera, forte, coerente.
La candidata più votata dell'Emilia Romagna. Via memorandum e decreti Salvini, ora una politica più umana. La rifondazione del Pd? La guardo con attenzione ma aspetto di capire cos’è. Una lista civica nazionale? Il progetto ancora non c’è ma il nostro metodo può ispirare le altre regioni. Abbiamo dimostrato che si può fare una sinistra che guarda ai movimenti e chiude l’era delle divisioni
Ieri a pagina 10 del Paìs campeggiava il titolo «Elly Schlein, la nueva estrella de la izquierda italiana». Lei sorride, frastornata dagli oltre 20mila voti (a Bologna 15.975, a Reggio Emilia 3.896 a Ferrara 2.227). E dire che «avevo inteso la mia come una candidatura di servizio». La lista «Emilia Romagna coraggiosa» ha preso il 3,8%.
Adesso la chiamano tutti. Hanno scoperto che c’è una sinistra «coraggiosa»?
E questo è un bene. Ma è stato un lavoro di squadra, un metodo che ci siamo dati, e che ci ha permesso di ottenere questo risultato. La vittoria è di tutta la coalizione, ma in buona parte anche di Bonaccini, come dimostra il voto disgiunto. Ma la notizia è che se la sinistra si rinnova nei metodi e nelle proposte torna a fare la differenza. In tre mesi di campagna elettorale abbiamo ottenuto punte oltre l’8 per cento a Bologna ma, ci inorgoglisce il voto anche nelle aree interne e dell’Appennino, che si sentono abbandonate.
Tre settimane di campagna. Ma una storia, la sua, che parte da Occupy Pd fino allo strappo con il Pd, e poi alla sua saggia rinuncia di partecipare alle europee. Si sta ricucendo lo strappo con il Pd?
C’è un’interlocuzione diversa rispetto al Pd precedente. Ma alcune contraddizioni restano. Non era scontato stare in coalizione. Abbiamo chiesto il consenso per contribuire a frenare una destra pericolosa e bugiarda ma anche per condizionare a sinistra le future scelte della regione. È stato capito: i nostri due consiglieri saranno decisivi. Il lavoro più difficile è stato mettere insieme mondi diversi. Il civismo ma anche quattro forze politiche, Art.1, Sinistra Italiana, Èviva e Diem25. Ci siamo dati un metodo, abbiamo lasciato da parte i personalismi e abbiamo cercato le persone più credibili. Nelle liste c’è uno spaccato di società regionale, dei mondi rimasti al margine. Abbiamo fatto un patto intergenerazionale con personalità come Errani e Bersani. Abbiamo condiviso un’idea di futuro sull’emergenza climatica e quella sociale. Da qui abbiamo messo condizioni a Bonaccini, e lui si è impegnato a un patto per il clima, sul trasporto pubblico gratuito per i giovani, un piano per la casa e il rinnovo del patto per il lavoro. C’è un margine di miglioramento su cui lavorare.
Dirigenti Pd che la snobbavano ora la invocano. Che effetto fa?
Ogni attestazione di stima fa piacere. Ma non volevamo solo aggiungere un pezzo che mancava a questa coalizione, perché siamo l’unica lista di sinistra, femminista ed ecologista che ha sostenuto Bonaccini, ma fare un invito: proviamo a riaggregarci, a ricostruire un’intera area attorno a una visione chiara sui temi su cui si mobilita spontaneamente nella società. Le manifestazioni per il clima, quelle di Nonunadimeno e delle realtà femministe, della solidarietà per i migranti. E le sardine.
Siete gli ufficiali di collegamento fra il centrosinistra e le sardine?
Le sardine a marzo discuteranno del proprio futuro. È un processo da seguire con attenzione. Cercheremo di essere un ponte per capire se si può riaggregare un intero campo su basi nuove. Le persone nelle piazze chiedono unità, ma un’unità nella chiarezza, abbandonando l’ambiguità su alcuni temi, come ad esempio l’immigrazione.
Molti nel Pd chiedono che lei sia coinvolta nella loro rifondazione.
Continuerò a tenere un’interlocuzione solida con il Pd, guardo con interesse a quello che si sta muovendo, in attesa di capire di cosa realmente si tratta. Ma nessuno si illuda che la vittoria vuol dire che va tutto bene. È questo il momento di cambiare tutto se si vuole ritrovare la fiducia delle piazze che si muovono da sole.
Sarà la leader di una lista «Coraggiosa» nazionale?
È presto per fare questa riflessione. Ma siamo felici di condividere la nostra esperienza con altri territori. Ma in questo momento non c’è ancora in campo un progetto del genere. Certo,in Coraggiosa ci sono stimoli utili per chi sta per affrontare il voto in altre regioni. A partire dal metodo di costruire le liste e di ascoltare i territori.
Quanto ha contato Prodi nel suo percorso politico?
La mia esperienza politica nasce nel solco delle proteste contro i 101 che ne affossarono l’elezione al Colle. Prodi è un punto di riferimento per molte cose. Sono stata europarlamentare, non posso che guardare a lui con rispetto e stima.
Il Pd al governo rinnova il memorandum sui migranti con la Libia, senza alcuna modifica.
Per le conseguenze sui diritti umani quella è una vergogna che invece va cancellata. Come i decreti sicurezza. Anche su questo chiediamo più coraggio. Lo dico con umiltà, la persona più votata è quella che ha affrontato questi temi con Bartolo, il medico di Lampedusa, a sua volta votatissimo alle europee. È un segnale chiaro al Pd. Ogni centimetro che si cede alla destra rafforza la destra. Il fenomeno migratorio si può gestire con più lungimiranza e rispetto dei diritti.
Si aspettava che il video di lei che chiede conto a Salvini delle assenze dai vertici sui migranti diventasse virale in rete?
No, è stato un incontro casuale. Evidentemente fare le domande giuste e pacate aiuta a inchiodare la destra alle sue responsabilità. Salvini è scappato.
C’è un complimento che le ha fatto particolarmente piacere?
L’endorsement di Mara Maionchi (produttrice musicale, ndr). Tanti messaggi commoventi. Una nonna di 92 anni che si è fatta accompagnare al seggio, una ragazza partita da Monaco, 16 ore di viaggio per votare. Una persona che non aveva mai votato.
La sinistra ha qualche problema con le donne. Ora ha trovato la sua leader?
Non mi piace l’uomo solo al comando, neanche se è una donna. Ma certo, una delle serate più belle della campagna elettorale è stata quella in cui mi sono trovata sul palco con Rossella Muroni, Annalisa Corrado, Marilena Grassadonia, Anna Falcone e Michela Murgia. Non si possono scrivere buone politiche senza lo sguardo delle donne. E a sinistra c’è ancora tanto sessismo strisciante.
Quelli che «le sardine sono solo fuffa» sono serviti, con quelli che ripetevano l’adagio «piazze piene, urne vuote», come fosse la profezia del mago di Oz. O che ne scrutavano i comunicati come fossero atti notarili alla ricerca delle parole incerte o dei temi mancanti. Invece lo dobbiamo proprio a loro, alle sardine, o meglio a quelle piazze piene sorridenti e cantanti, se oggi lo scenario italiano è meno tetro, e se la democrazia costituzionale ha guadagnato un po’ di tempo. Se, cioè, il piano di destabilizzazione totale di Matto Salvini non è riuscito. IL PROGETTO del Capitano di questa inedita Compagnia di ventura che si muove con la logica dell’occupazione fisica dei territori per usarli come clava per la conquista dei «pieno poteri» era chiaro, e dichiarato: «Dare una spallata» al sistema politico-istituzionale italiano. Innescare un effetto domino che dalla Regione-simbolo del «potere delle sinistre» infine conquistata e annessa discendesse fino alla Capitale, per risalire i sacri colli fino al Quirinale, costringere alla «convocazione dei comizi del popolo» e di lì mettere in discussione l’intero assetto istituzionale. NON ERA – vorrei essere chiaro – il progetto «della Lega». Era il progetto di Matteo Salvini, super-personalizzato come si addice al turbo-populismo di cui si è fatto interprete, frutto di un Ego ipertrofico che l’ha portato a concentrare bulimicamente l’intera campagna elettorale sulla propria persona, il proprio corpo, il proprio bomber Moncler, la propria barba barbarica, le proprie passeggiate in borghi e quartieri, e non importa che quelle fossero elezioni amministrative, che ci fosse una candidata (valida o meno che fosse), che ci si giocasse la guida di una regione fino ad allora
Regionali. Il Pd si è salvato grazie alle sardine e i suoi problemi (di contenuti e di leadership) non saranno risolti da miracolistiche scorciatoie. Eppure al Nazareno già cantano le sirene del nuovo bipolarismo, del ritorno a una legge maggioritaria
Naturalmente il day-after del voto ci consegna un grande sollievo e la speranza di vedere un lento, ma progressivo rifluire dell’onda nera salviniana. Ma subito dopo dobbiamo prende atto di una grande vittoria e di una grande sconfitta. Di una forte affermazione del Pd che rafforza il segretario Zingaretti, di uno zoccolo duro per il futuro del governo e per Conte.
Nel responso delle urne, oltre la sonora batosta di Salvini, fermato nella sua voglia matta di prendersi l’Italia, brilla la lama infilzata nelle ferite dei 5Stelle, in gran parte provocate dall’esperienza del governo giallo-verde. Come sembra del resto confermare l’analisi del flusso dei voti in Emilia Romagna: pochi alla Lega, moltissimi tornati all’astensione, un bel pacchetto prestato al Pd emiliano. Mentre in Calabria l’imprenditore Callipo non ha proprio interessato il voto grillino rifluito nello sciopero delle urne. A dimostrazione sia di uno sbandamento dell’elettorato pentastellato, sia del fatto che, in attesa di capire con quale organizzazione e quali contenuti si pensa di porre rimedio alla crisi, questa parte della cittadinanza o resta a casa o si butta più a sinistra che a destra.
Tuttavia, meglio restare con i piedi per terra. Il Pd si è salvato grazie alle sardine e i suoi problemi (di contenuti e di leadership) non saranno risolti da miracolistiche scorciatoie. Eppure al Nazareno già cantano le sirene del nuovo bipolarismo, del ritorno a una legge maggioritaria, specchio dei nuovi rapporti di forza tra Pd e 5Stelle. Tutti ragionamenti basati sulla convinzione che ormai il Movimento è finito. E che dunque il Pd da solo, con la solita storia dei cespugli da usare per abbellire il giardino, può affrontare e vincere le destre.
Che Salvini, Meloni e Berlusconi esultino per la crisi dei 5Stelle ci sta, ma i cattivi consigli di chi suggerisce al Partito democratico, dalle pagine dei giornali di riferimento, di umiliarli nelle questioni di governo e di togliersi dalla testa l’idea di una legge elettorale proporzionale, si sprecano.
Questo atteggiamento di esultanza, a stento trattenuta, di una parte della sinistra italiana ad ogni scivolone, politico, sociale, culturale dei 5Stelle è assai miope perché pensare di tornare al bipolarismo, con un forte blocco di destra da una parte e una sola forza politica dall’altra, può essere foriero di altre, prossime sconfitte. Meglio non montarsi la testa. (Renzi, pure inesistente in queste elezioni, sempre docet).
Con le destre così forti in gran parte del paese (Emilia Romagna e Calabria comprese), sarebbe meglio evitare di immaginare di poterle contrastare senza una terza forza che conquisti i consensi di quell’elettorato che da anni non vota più il partito democratico, che invece ancora guarda ai 5Stelle e che proviene in larga parte proprio dalla sinistra, come appunto i flussi elettorali ci dicono.
Abbiamo davanti una strada ancora lunga da percorrere, avremo sei elezioni regionali (Campania, Toscana, Puglia, Marche, Liguria, Veneto), e dovremo sperare nella replica dell’effetto-sardine, cioè in una resurrezione civica che dia forza al voto e possa tradursi in un’alleanza politica del campo democratico. «Un campo progressista e riformista», come ha detto Conte che, a commento del risultato elettorale, a proposito della fase2 del suo governo, ha esortato la maggioranza a smetterla con le bandierine sui singoli provvedimenti, rimarcando come «i numeri dei 5Stelle in parlamento siano diversi» da quelli usciti dalle urne regionali.
C’è poi un capitolo a parte, che riguarda la sinistra/sinistra. Se escludiamo la discreta affermazione di E-R Coraggiosa, la lista di Elly Schlein, ci troviamo davanti a un deserto, con piccole oasi che resistono, resistono, resistono. Che senso ha presentare tre liste (L’Altra Emilia Romagna, Potere al Popolo, Comunisti ) per conquistare percentuali da zerovirgola, quando è in ballo non solo il governo della regione, non solo il governo nazionale, ma l’assetto democratico del Paese? Per una manciata di voti?
E’ deludente per chi si batte da sempre per l’unità delle sinistre, perché si affermi una forza politica nuova e non si disperdano voti, che questa scelta non venga presa in considerazione. Tra le nostre speranze c’è anche quella che altri, a sinistra, prendano esempio dalla lista Coraggiosa.
Il voto utile è spesso un ricatto, un forte limite alle scelte libere di chi vuole essere presente nelle istituzioni e viene condizionato, nel diritto alla rappresentanza, dalle decisioni politiche altrui. A volte però diventa necessario. Perchè può essere davvero determinante non solo per evitare una sconfitta, ma soprattutto per non “regalare” un territorio, una storia, a chi è non un avversario ma un nemico pericoloso: per i cittadini, per i diritti civili e sociali, per la cultura e la democrazia. Per il paese tutto. Quel che è stato fatto e detto – dalle posizioni ostili sull’immigrazione alle decisioni contro le Ong, dal rifiuto delle diversità all’odio scatenato via web, dalle strumentalizzazioni dei bambini allo squadrismo del citofono – incarna il promemoria di quel che Salvini, Meloni e Berlusconi (si, ancora lui) potrebbero scatenare nella società e nelle istituzioni.
Per questo l’utile diventa doveroso. E oggi chi vive in Emilia-Romagna e appartiene al mondo democratico ha il dovere di non consegnare la Regione alla peggiore destra della Storia italiana. In ballo non c’è soltanto la presidenza regionale, ma il governo nazionale, non si discute di buona o cattiva amministrazione, gestita da decenni dal centro sinistra, ma il futuro, il cambiamento, la convivenza civile. Dentro il voto c’è poi il senso di appartenenza ad una società che ha spesso interpretato la parte più avanzata della comunità nazionale. Possiamo dire che in Emilia-Romagna vive un forte sentimento popolare, diffuso, radicato, profondo. La più chiara espressione di questo “vivere sociale” l’ha manifestata il movimento delle Sardine, che ha raccolto intorno a sé la migliore gioventù e le generazioni over 60 che hanno sempre scelto come “campo politico” quello democratico.
Grande sarebbe la responsabilità che ricadrebbe dunque sui 5Stelle – e sulle minoranze di sinistra/sinistra – se le destre dovessero prevalere a causa di una volontà di autoaffermazione, di un presenzialismo distruttivo, della miopia politica di chi pensa che Bonaccini e Borgonzoni pari sono. Sarebbe perciò imperdonabile negare il voto disgiunto, che appunto consente di essere fedeli al proprio partito ma non ciechi di fronte alle possibili conseguenze che potrebbe determinare una manciata di voti.
Lo stesso ragionamento vale anche per la Calabria, dove si sfidano Pippo Callipo, un candidato civico largamente stimato, e Jole Santelli, una berlusconiana ripescata: girarsi dall’altra parte, oltretutto in una terra sfigurata dalla n’drangheta, dove i magistrati vivono sotto scorta, sarebbe un drammatico errore.
Tutto questo non cancella le responsabilità delle amministrazioni regionali a guida Pd. Come appunto dimostrano la crisi calabrese e la recente, storica sconfitta in Umbria. Perchè nel campo democratico c’è una questione morale, sono troppi gli errori gestionali, manca una prospettiva di reale cambiamento, prevalgono ancora le lotte di potere, scarseggia una politica di forte difesa dei diritti sociali e dell’ambiente. Ma oggi la partita è diversa, se non si vuole trasformare l’Italia in un grande Papeete al ritmo del Bunga-Bunga.
Elly Schlein: «Verdi dal cuore rosso. Con Bonaccini per essere decisivi»
intervista di Giovanni Stinco da "il Manifesto del del 22 gennaio 2020
Regionali. Elly Schlein guida la lista ecologista di sinistra Emilia-Romagna Coraggiosa: «Vogliamo condizionare il governo della regione»
Lo ha incontrato per caso durante una serata di campagna elettorale nel bolognese. E lì Elly Schlein, di fronte a Matteo Salvini, non ha resistito alla tentazione di chiedergli conto per l’ennesima volta di due anni di assenze a Bruxelles, quando entrambi sedevano sui banchi dell’Europarlamento e il tema all’ordine del giorno era la gestione dei migranti e il trattato di Dublino. Il risultato è stato immortalato in un video che ha fato decine di migliaia di visualizzazioni, con Salvini in imbarazzo e costretto a guardare per 80 lunghi secondi l’amato smartphone. Poi, a corto di risposte, al leader della Lega non è rimasto che bofonchiare un «ma io le riunioni che contavano le seguivo». «Semplicemente non è vero», spiega Schlein, che lasciato l’Europarlamento sta ora affrontando una nuova avventura, quella delle elezioni regionali guidando la lista ecologista e di sinistra. Si chiama Emilia-Romagna Coraggiosa e ha messo assieme candidature politiche (Sel, Art1, civiche e, appunto, ecologiste.
Schlein, non è la prima volta che chiede conto a Salvini delle sue assenze. Questa volta una risposta è arrivata Salvini è stato ministro dell’interno, dovrebbe sapere che uno dei problemi maggiori per l’Italia resta il regolamento di Dublino perché quel testo ha bloccato e blocca in modo ingiusto nel nostro paese migliaia di richiedenti asilo. Non ha alcun senso che un partito che parla quotidianamente di immigrazione non partecipi a due anni di lavoro negoziale e a 22 riunioni, eppure è andata così. Lui non si è mai fatto vedere, nemmeno per sbaglio.
Nei suoi comizi Salvini promette di dare le case popolari prima agli emiliani. La lega furbamente solleva questioni reali a cui non dà mai risposta concreta e efficace. Con Emilia-Romagna Coraggiosa abbiamo girato tutta la regione per capire le difficoltà delle persone, e sulla casa proponiamo un piano concreto. Vogliamo che si azzeri il numero di appartamenti pubblici inutilizzati e che i Comuni siano incentivati nel mettere in campo soluzioni intermedie: ci sono tante coppie che non hanno i requisiti di reddito per accedere a una casa popolare, ma nemmeno guadagnano abbastanza per affittare una casa sul libero mercato. A che serve agitare davanti a loro