Coinvolti 30 mila lavoratori e tutte le strutture della Cgil. Obiettivo: conoscere meglio il mondo del lavoro con l’obiettivo di migliorarne le condizioni
La grande inchiesta sul lavoro condotta dalla Fondazione Di Vittorio e pubblicata da Futura editrice, è ora scaricabile gratuitamente dal sito dell’istituto di ricerca della Cgil. Un’indagine capillare, coordinata da Daniele Di Nunzio della Fondazione, e che ha raggiunto 31 mila lavoratrici e lavoratori di tutti i settori pubblici e privati, tutte le dimensioni di impresa, tutte le tipologie contrattuali e anche a chi era senza contratto o disoccupato.
Un’operazione di grande rilievo condotta attraverso 30 mila interviste e che ha visto coinvolti 34 ricercatori e ricercatrici e tutte le strutture sindacali della Cgil tra il 2021 e il 2022.
Che lavoro fai? Con che tipo di contratto? Sei soddisfatto delle condizioni in cui si svolge il tuo lavoro? Cosa reputi necessario per poter migliorare la tua situazione? Che rapporto hai con il sindacato? Sono alcune delle domande ineludibili alla base dell’inchiesta.
Con un obiettivo preciso: conoscere meglio il mondo sempre più complesso del lavoro, con l’obiettivo di migliorarne le condizioni e fornire al sindacato una base di conoscenze utile per rendere sempre più efficace la sua capacità d'intervento.
Aumento dei salari, difesa e aumento dell’occupazione, contrasto alla precarietà, salvaguardia del ruolo dei servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti), lotta alle diseguaglianze e alla povertà. Sono queste le priorità su cui i lavoratori chiedono al sindacato di intervenire
Dal sito della Fondazione è anche possibile rivedere la presentazione del volume che si è svolta il 26 a ottobre a Roma e a cui hanno partecipato, tra i numerosi ospiti anche di parte datoriale, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e del presidente della Fondazione Di Vittorio Francesco Sinopoli.
Modificare la legge urbanistica, bloccando realmente il consumo di suolo, e sviluppare le rinnovabili e il risparmio energetico, mettendo in discussione gasdotti e rigassificatori.
Sono le richieste di Legambiente rivolte al nuovo presidente della Regione Emilia-Romagna e che coinvolgono direttamente il territorio ravennate. Il coinvolgimento del consumo di suolo nelle cause che hanno portato all’alluvione, infatti, è stato più volte sottolineato da geologi, urbanisti, e docenti universitari nel corso dell’ultimo anno.
Critiche sono arrivate anche alla legge della Regione emanata nel 2017 sotto la giunta Bonaccini, di fatto troppo permissiva con le sue proroghe e le sue deroghe.
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Dal documento della Cei alle singole prese di posizione: della riforma Calderoli non piace l’idea di dividere il Paese e alimentare così le disuguaglianze
Anche il mondo cattolico dice no all’Autonomia differenziata. Nel dibattito sulla legge Calderoli sono infatti entrati anche esponenti della Chiesa che in questi mesi, anche recentemente, hanno ribadito la necessità di valori e principi della Costituzione italiana che andrebbero persi in un nuovo assetto nazionale, diviso e differenziato.
“L’autonomia differenziata deve essere realizzata nel rispetto della solidarietà nazionale, evitando che si creino nuove fratture sociali ed economiche”. È una frase – contenuta nel documento che la Conferenza episcopale italiana (Cei) pubblicato a maggio – che riassume la preoccupazione principale dei vescovi italiani, che vedono nel progetto di autonomia una possibile minaccia all'equità e alla coesione sociale.
Il documento della Cei sull’Autonomia differenziata rappresenta una riflessione approfondita sulle implicazioni sociali e morali della riforma voluta dal governo Meloni. Ma, dalla lettura del testo, emerge come il mondo cattolico ritenga di fondamentale importanza l’unità del Paese, mettendo in guardia i decisori politici e i cittadini rispetto al rischio di accrescere le disuguaglianze tra le diverse regioni.
Il documento inoltre invita a considerare il bene comune come principio cardine in qualsiasi modifica dell'assetto istituzionale del Paese così come viene richiamato il principio della giustizia sociale contro il prevalere degli interessi particolari.
La Conferenza Episcopale Italiana e diversi esponenti cattolici sono infatti entrati nel merito della riforma e nel dibattito politico sviluppatosi anche grazie alla raccolta firme per il Referendum contro il progetto di riforma che, lo ricordiamo, ha raggiunto in pochissimo tempo il numero necessario.
Oltre al documento ufficiale della Cei, diversi rappresentanti del mondo cattolico hanno espresso le proprie opinioni sull'autonomia differenziata. Tra loro Monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Cei, si è espresso più volte criticamente sull’Autonomia differenziata, manifestando preoccupazioni riguardo agli effetti che potrebbe avere sull'unità e l’equità del Paese. Per Savino si rischia di accentuare le disuguaglianze territoriali, creando un'Italia a più velocità, dove le regioni più ricche potrebbero beneficiare a scapito di quelle meno sviluppate.
Nell’intervista pubblicata su La Repubblica il 28 agosto scorso, Monsignor Francesco Savino ha ribadito la sua forte opposizione all'autonomia differenziata descrivendola come “un pericolo mortale” per l’unità nazionale e un processo che accentuerebbe le disuguaglianze regionali. Savino ha sottolineato come questa riforma potrebbe impoverire ulteriormente il Sud Italia, creando una “secessione dei ricchi”, un far west tra le regioni, a discapito del bene comune nazionale.
“Il Sud ha capito che la riforma è un cavallo di Troia per creare due Italie: una prospera e l’altra abbandonata a sé stessa” ha detto il vice presidente della Cei. Il rischio per Savino è creare “altra povertà, altro spopolamento, le differenze col nord si accentueranno” e per evitarlo servirebbe “un nuovo Risorgimento” che, in qualche modo, per il vescovo può partire con “questa raccolta firme” che “segna una presa di coscienza”.
“A chi in questi giorni lamenta una inopportuna ingerenza della Chiesa cattolica sull’argomento – commenta Antonio Russo vice presidente nazionale Acli e componente Consiglio Direttivo del Comitato per il sì al referendum per l’abrogazione della legge sulla autonomia differenziata – suggeriamo la lettura dei documenti attraverso i quali, dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, la Conferenza Episcopale Italiana e i Vescovi delle Chiese particolari hanno dato il loro contributo a un dibattito ‘spesso strozzato’ da interessi trasversali e di parte”.
“Se rimaniamo ai giorni nostri – prosegue Russo – è ancora vivo l’appello partito dalle Settimane Sociali della Chiesa italiana di Trieste, e anche l’analisi che abbiamo fatto come ACLI con la presentazione della ricerca sulla povertà delle Aree interne del Paese. Ed è certo comprensibile il nervosismo da parte di chi come il ministro Salvini, l’On. Calderoli e il Presidente della Regione Veneto Zaia vedono crescere di giorno in giorno il fronte di organizzazioni cattoliche e laiche, di sindacati, di partiti e, soprattutto, di italiane e italiani che in poche settimane hanno apposto oltre 500mila firme per l’abrogazione della legge 86/2024”.
“Sarà la nostra incapacità di leggere il disegno strategico e la portata storica della riforma dello Stato che la maggioranza di governo ha voluto introdurre con l’autonomia differenziata, ma facciamo nostre le preoccupazioni di monsignor Savino – specifica il vice Presidente nazionale Acli – Anche in questa circostanza, si dimostra che senza un’idea di comunità nazionale e di Stato, movimenti o partiti politici, al massimo scrivono programmi infarciti di amor patrio e di esaltazione dell’italianità che svelano, alla prova dei fatti, un irrefrenabile bisogno di dividere. Il tema delle autonomie territoriali non ha mai spaventato i cattolici e le forze politiche democratiche e liberali. Lo si affronta però seguendo i principi di solidarietà e sussidiarietà che la legge 86/2024 ignora alla radice. Peccato per chi credeva di aver già incassato un risultato storico”.
“Dopo la valutazione della Consulta sulla ammissibilità del referendum, la parola passerà ai cittadini. Capiremo se anche loro –conclude – non hanno ben compreso quanto benessere produrrà la riforma a regime sulla vita del Paese o se, sceglieranno ancora per l’Italia unita che rifiuta il ritorno a un feudalesimo competitivo in cui la prima nemica sarà la regione che confina con la tua. Se i Pastori della Chiesa cattolica sono, come io credo, anche quelli più vicini al popolo, consiglierei sommessamente di ascoltarli”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’Azione Cattolica Ambrosiana. In un comunicato, ha sottolineato come questo processo potrebbe accentuare le disuguaglianze tra le regioni italiane, specialmente a scapito delle aree più deboli e svantaggiate del Paese. L’organizzazione ha evidenziato la necessità di garantire che l’autonomia differenziata sia accompagnata da misure che preservino la coesione sociale e l’uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dalla regione di appartenenza. L’Azione Cattolica Ambrosiana ha anche richiamato l’attenzione sull’importanza di mantenere un forte senso di solidarietà nazionale, affinché l'autonomia regionale non diventi uno strumento di frammentazione ma, piuttosto, di rafforzamento della responsabilità collettiva per il bene comune.
Prudenza e responsabilità dunque, per il rispetto del bene comune e per lottare, tutti insieme, cattolici e laici, contro le disuguaglianze sociali. Per non perdere di vista l’interesse generale del Paese.
Sui binari della stazione morirono 5 operai. Gli indagati sono 15 e 4 società. La chiusura dell’inchiesta è lontana. Sotto accusa il sistema degli appalti
È passato un anno, dalla strage di Brandizzo, e la giustizia è ancora lontana dall’essere fatta. Il 30 agosto 2023, poco dopo la mezzanotte, nella stazione piemontese un treno regionale (12 carrozze, vuoto) diretto a Torino e proveniente da Alessandria con una velocità di 160 chilometri orari travolse e uccise cinque operai: Kevin Laganà (22 anni, il più giovane), Michael Zanera (34 anni), Giuseppe Sorvillo (43 anni), Giuseppe Aversa (49 anni) e Giuseppe Saverio Lombardo (52 anni). Erano addetti della Sigifer, un’azienda di borgo Vercelli che cura la manutenzione del tratto per conto di Rfi, e dunque in appalto. Avevano ricevuto l’ok per scendere sui binari e avviare i lavori previsti quella notte, aprendo dunque il cantiere prima che, però, venisse fornita l'autorizzazione e bloccata la linea.
Le indagini coordinate dalla procura di Ivrea sono ancora in corso, e lontane dal concludersi. Gli inquirenti chiederanno una proroga di sei mesi, ed è probabile che, dopo, ci sarà un’altra proroga. Gli indagati al momento sono 15, ma sotto accusa è un intero sistema di “lavoro”, retto su appalti e subappalti, la cui fragilità è emersa in modo lancinante. Ben quattro società sono iscritte nell’elenco dei pm, con diversi livelli di imputazione, i più gravi disastro e omicidio colposo: Rfi; Sigifer; Clf, la società di Bologna che ha subappaltato alla Sigifer di Borgo Vercelli i lavori a Brandizzo; e Uniferr Srl (controllata di Clf).
I familiari delle vittime, durante una conferenza stampa a Vercelli pochi giorni fa, hanno dichiarato di sentirsi “abbandonati”. Particolarmente toccanti le parole di Massimo Laganà, papà di Kevin, raccolte dal Corriere della Sera in una intervista di Giusi Fasano: “Quelli che indagano stanno lavorando. Non li disturbiamo, ci mancherebbe. Ma noi, qui, siamo in una specie di gabbia, siamo imprigionati in quei giorni di un anno fa. Dopo un anno avremmo gradito almeno una chiamata, una piccola frase, qualche parola di sollievo. Insomma, qualcuno che ci dicesse: siamo a buon punto, stiamo aspettando questo o quell'accertamento... Qualcosa. Invece niente, abbiamo saputo degli indagati e poi più nulla”.
“Ad un anno dalla strage di Brandizzo rimane alta l’attenzione della Cgil nei confronti di Rfi e continua la vertenza per garantire maggiore sicurezza nelle attività di manutenzioni ordinarie e straordinarie della rete ferroviaria sia per le lavorazioni in appalto che quelle interne, per una migliore organizzazione e articolazione del lavoro più attenta ai ritmi di lavoro, per una maggiore qualificazione delle ditte in appalto”. È quanto dichiarano Stefano Malorgio e Alessandro Genovesi, rispettivamente segretari generali di Filt Cgil (trasporti) e Fillea Cgil (edili).
“Registriamo dei passi avanti positivi sul piano della occupazione così come il proseguimento di un confronto serrato sulla reinternalizzazione di alcune attività, sulle procedure per i bandi di gara e degli investimenti - spiegano i segretari - ma rimangono ancora molte cose da fare: dal badge elettronico per rilevare presenze e orari reali dei lavoratori in appalto, al divieto di subappalto per tutte le lavorazioni più pericolose, dal rispetto dei corretti inquadramenti professionali secondo il contratto edile alla specifica formazione, fino ad una nuova organizzazione che consenta di avere tempi e procedure per ridurre il traffico merci e persone in contiguità con i cantieri e investimenti tecnologici più avanzati che garantiscono chi lavora sulla rete”.
“Pensiamo – proseguono Genovesi e Malorgio - che occorra una maggiore qualificazione di tutti coloro che sono chiamati, come lavoratori diretti o in appalto, ad operare sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie, investendo ancora di più in formazione e proseguendo in una riorganizzazione del lavoro orientata ad una programmazione degli interventi più efficace e compatibile con tempi e carichi di lavoro sperimentando in questa logica l’introduzione di una figura di responsabile della sicurezza di sito”.
“Su questo come Filt e Fillea Cgil continueremo a lavorare per accelerare il raggiungimento di quegli obbiettivi e superare i ritardi e le chiusure che pure rimangono. Perché non ci sia mai più una nuova Brandizzo”.
Sul fronte della società e delle istituzioni, attorno alla strage di Brandizzo si terrà, fino al 4 settembre, la prima edizione della “Settimana del Lavoro Sicuro”, promossa dall'associazione Sicurezza e Lavoro insieme ai sindacati edili FenealUil, Filca Cisl e Fillea Cgil, con il patrocinio del consiglio regionale del Piemonte, della Città Metropolitana di Torino e del Comune di Brandizzo. Questa mattina comunità e istituzioni si ritrovano alle 9.30, nella piazza della stazione, per la celebrazione ufficiale davanti al monumento alle vittime.
A seguire, il convegno "Brandizzo un anno dopo" per fare il punto sulla situazione della salute e sicurezza sul lavoro in Piemonte e in Italia, insieme alle istituzioni, all'Ispettorato nazionale del lavoro, ai sindacati e alla presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, Chiara Gribaudo. Nell'occasione ci sarà l'inaugurazione del nuovo allestimento della mostra fotografica sulla strage ferroviaria di Brandizzo “Morire sui binari”.
In programma, intorno alle 21.30, una fiaccolata dalla chiesa sino alla stazione ferroviaria. Molte le iniziative in programma durante la settimana, come l'annuncio della realizzazione di un murale commemorativo con i sindacati edili, e l'avvio di interventi nelle scuole nell'ambito del progetto “A scuola di Sicurezza” con Fillea Cgil Torino e Piemonte. Sarà lanciato un bando per una borsa di studio rivolta agli studenti dell’ultimo anno dell’istituto Cavour.
Dopo la strage è nata la Star.fer, una società attraverso cui sono tornati a lavorare, sempre sui binari, gli ex dipendenti della Sigifer. Ma le procedure su appalti, subappalti e sicurezza non sono cambiate, denuncia la Fillea. “I lavoratori di Star.Fer sono lavoratori che vanno sempre e comunque tutelati e anche se legalmente il contratto di subappalto con una nuova impresa è fattibile, la circostanza per cui, cambiato il cappello, gli stessi dirigenti della Sigifer siano nuovamente impiegati nei subappalti di Rfi è un fatto di una gravità inaudita”. Lo hanno dichiarato lo scorso maggio la Fillea Cgil nazionale, del Piemonte e di Vercelli in una nota congiunta: “Così come grave è che non siano minimamente cambiate le procedure per più formazione, più qualificazione degli operatori, meno subappalti e più gestione diretta da parte di chi materialmente vince gli appalti delle manutenzioni”.
In questi mesi la Cgil ha promosso e raccolto le firme necessarie su quattro referendum sul lavoro, e il quarto quesito riguarda proprio gli appalti, come spieghiamo qui: la Confederazione invita le cittadine e i cittadini italiani a chiedere l’abrogazione delle norme che escludono la responsabilità delle aziende committenti, in caso di infortunio e malattia professionale. Sarebbe una svolta fondamentale per evitare un’altra Brandizzo.
Più di un mese fa, invece, il 5 luglio a Vercelli, la Fillea nazionale, la Fillea Torino e Piemonte insieme alla Cgil hanno organizzato un’assemblea nazionale dei lavoratori delle manutenzioni ferroviarie e stradali, un’occasione importante per lanciare una vertenza delle manutenzioni edili.
“Ora più che mai - ha spiegato in quell’occasione Alessandro Genovesi - è necessario un salto di qualità a tutela della sicurezza e delle professionalità di decine di migliaia di lavoratori, a fronte della grande mole di investimenti per ammodernare un sistema infrastrutturale fortemente invecchiato, sia in termini ambientali che tecnologici a cui saranno destinati decine e decine di miliardi di euro tra Pnrr, Fondo complementare, Risorse comunitarie e nuovi accordi di Programma FF.SS-Anas. Una cifra complessiva di 34 miliardi di euro solo per i prossimi 4 anni, senza contare i tanti investimenti di concessionarie e municipalizzate”
"L'attacco alla Cisgiordania, condannato dall'ONU per violazione del diritto internazionale, è una unilaterale espansione della guerra da parte del governo israeliano che contribuisce a rendere sempre più esplosiva la polveriera del Medio Oriente e accresce ancor di più la tensione internazionale; ma rivela anche la volontà delle forze politiche israeliane più fanatiche di annettere progressivamente l'intera regione, già occupata dagli insediamenti, dichiarati illegali dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja, di centinaia di migliaia di coloni israeliani.
L'aggressione alla Cisgiordania da parte del governo Netanyahu si aggiunge al massacro in corso da otto mesi a Gaza, nella sostanziale inerzia della comunità internazionale, e al costante rifiuto di dar vita ad una tregua.
Questa politica bellicista ed espansionista, oltre a causare una ininterrotta strage di palestinesi, è la palese negazione della possibilità di dar vita allo Stato di Palestina e rappresenta un pericolo gravissimo per la sicurezza della stessa Israele perché, aggravando l'odio e il risentimento nei suoi confronti da parte della popolazione palestinese, alimenterà ulteriormente la spirale del terrore.
Chiediamo che il governo italiano, in coerenza con le sue dichiarazioni a favore di dar vita a due popoli in due Stati, condanni l'aggressione in corso, richieda con forza il ritiro dell'esercito israeliano dalla Cisgiordania e un immediato cessate il fuoco a Gaza, e riconosca lo Stato palestinese".
La Segreteria Nazionale ANPI
Il governo Meloni prepara la manovra, tra le promesse elettorali e i vincoli della Ue. Cgil: se necessario sarà mobilitazione. I punti principali
Il governo Meloni si avvicina a una delle sfide più complicate, che rischia di mostrare davvero la sua natura e la reale competenza, oltre la retorica diffusa puntualmente dai membri della maggioranza: la sfida si chiama legge di bilancio.
La scadenza per la presentazione della manovra è fissata entro il 20 settembre, data in cui l’esecutivo dovrà rispondere non solo alle nuove direttive di stabilità decise dall'Unione europea, ma anche ovviamente alle aspettative delle cittadine e dei cittadini italiani.
La legge sarà un banco di prova decisivo per verificare la capacità di mantenere le promesse della campagna elettorale, allo stesso tempo rispettando i vincoli economici europei che non si toccano. Alla prova, dunque, c’è l'equilibrio tra politica fiscale e obiettivi di crescita. Con un’ombra che si allunga sulla manovra: quella dell’austerità, un ritorno al passato che non sarebbe in alcun modo tollerabile.
Tra le questioni più urgenti che il governo dovrà affrontare, spiccano alcune misure economiche chiave che pesano particolarmente sul bilancio dello Stato. Le ha ricostruite nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore, facendo il punto sui provvedimenti allo studi. Gli interventi, che scadranno a dicembre 2024, includono il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell'Irpef: provvedimenti che, combinati, rappresentano un costo significativo di circa 14 miliardi di euro.
Il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell’Irpef, sostiene il governo, sono state misure fondamentali per il sostegno al reddito e la competitività delle imprese. Tuttavia, il loro rinnovo e potenziamento per il 2025 non sarà facile e bisogna trovare le risorse necessarie, che non possono pesare sulle fasce deboli.
In generale, sono molte le promesse del governo legate alla prossima legge: tra queste c’è la riduzione delle tasse al ceto medio, legata concordato Irpef, il superbonus al 120% per favorire l’occupazione, sul fronte del fringe benefit la spinta al welfare aziendale per far fronte alle spese delle persone.
C’è poi sul tavolo la famigerata carta anti-povertà, dal titolo retorico “Dedicata a te”, ormai da molte parti definita come poco più di elemosina; anche qui occorre capire dove andrà a finire per il 2025. Infine, l’esecutivo ha paventato il taglio del canone Rai annuo per una cifra intorno ai 430 milioni.
Il tema delle pensioni rappresenta un altro punto di tensione all'interno della maggioranza. Qui le divisioni si fanno palesi: la Lega spinge per un'uscita anticipata dal mondo del lavoro, attraverso una versione più flessibile di Quota 41, che – sempre nelle intenzioni - permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi. La proposta, a quanto si apprende, non è condivisa dalla premier Meloni, che appare più cauta su questo fronte.
L’altra componente di governo, Forza Italia propone un aumento delle pensioni minime, senza specificare quanto e come verrà trovato il finanziamento. Proposte divergenti, quindi, che mettono in luce le difficoltà del governo nel trovare una linea comune su un tema tanto delicato come quello previdenziale.
Una cosa è certa: guardando al futuro, il governo Meloni dovrà fare i conti con una serie di decisioni difficili. Da un lato, vi è la necessità di trovare le risorse per prorogare o migliorare le misure a sostegno di lavoratori e famiglie, se sarà in grado di farlo; dall’altro c'è il rischio di dover affrontare tagli o sacrifici per rispettare i vincoli europei. La “sfida” è proprio trovare un equilibrio tra queste istanze, che non può essere lacrime e sangue. Le prossime settimane saranno cruciali per definire il futuro economico del Paese.
Da parte sua, la Cgil ha già espresso con forza la propria opposizione a qualsiasi ritorno all'austerità, manifestando preoccupazioni sulle possibili conseguenze sociali delle scelte di bilancio. Pochi giorni fa, il segretario confederale Christian Ferrari ha ribadito la necessità di trovare risorse attraverso un aumento della tassazione sui redditi più elevati, la tassazione delle rendite finanziarie e una lotta più incisiva contro l’evasione fiscale.
“Chiediamo la conferma della decontribuzione – ha detto –: le buste paga sono già stata falcidiate dall’inflazione, il rischio è che milioni di lavoratori si trovino con 70-100 euro in meno al mese. Siamo in attesa – infine – di capire come il governo lavorerà alla legge di bilancio: chiediamo di agire con la leva fiscale per la redistribuzione, non è accettabile che la stretta del patto di stabilità sia pagata dai ceti medio bassi”. Se sarà necessario, il sindacato è pronto a mobilitarsi per evitare che le fasce più deboli della popolazione siano colpite da tagli o riduzioni di spesa