GIOVANI. Alla vigilia delle elezioni che avrebbero visto la vittoria della destra, avevano denunciato come le proposte di nessun partito fossero all’altezza della sfida decisiva che riguardava il loro futuro e il presente di tutti. Nessuno ne aveva fatto davvero la priorità.
Erano decine di migliaia nelle nostre piazze, il 23 settembre, le ragazze e ragazzi dai 12 ai 25 anni, che provavano a ricordarci che il genere umano nel mondo è a rischio.
A rischio per il riscaldamento climatico, per l’atteggiamento predatorio verso la natura e tutti gli altri esseri viventi, alla fine di una campagna elettorale che di questo aveva parlato solo di striscio. Alla vigilia delle elezioni che avrebbero visto la vittoria della destra, avevano denunciato come le proposte di nessun partito fossero all’altezza della sfida decisiva che riguardava il loro futuro e il presente di tutti. Nessuno ne aveva fatto davvero la priorità.
Molti di loro non avevano l’età per votare, ma anche chi ce l’aveva non aveva nessuna voglia di schierarsi per un partito. Da movimento sociale maturo avevano detto che avrebbero giudicato tutti sulla base della loro capacità di rispondere alle proposte al centro delle loro manifestazioni, del resto coincidenti con quelle che centinaia di scienziati avevano avanzato in un loro manifesto per la salvezza del genere umano. Proposte concrete e precise, e al tempo stesso col tono alto dell’utopia, di chi continua a sperare in un mondo più bello, più vero e più giusto.
Lontani, e questa era la discriminante politica più chiara, da ogni sovranismo, dalla retorica del «prima gli italiani», mentre la siccità e gli eventi estremi dovuti al riscaldamento climatico fanno i loro morti in ogni parte del mondo, in particolare fra i più poveri.
La discussione aperta nel Paese dopo l’esito delle elezioni credo abbia confermato la loro diffidenza verso la politica politicata. Chi governerà sembra intenzionato a confermare su questi punti la deludente agenda Draghi, e si appresta a ricalcare le orme del lavoro di Cingolani, che ha già preparato il terreno per il ritorno alla centralità del petrolio e del gas, e persino del carbone, come risposta alla crisi energetica aperta con la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina.
Il rincaro dei costi dell’energia per le famiglie e le imprese, che pure pesa come un macigno sul futuro che ci aspetta, sembra l’unica preoccupazione nella discussione in corso. Con rigurgiti di nazionalismo in tutti i paesi europei. Si stringono patti in questa direzione con i regimi autoritari del Medio Oriente e dell’Africa, spingendo nei termini consueti della monocultura estrattiva, causa non secondaria della fame e delle guerre per bande- spesso alimentate dall’esterno. Le due sponde del Mediterraneo, che potrebbero trovare nel sole e nel vento le basi per un percorso comune, continueranno a trovare nei combustibili fossili, la ragione del proprio cooperare e contendere, e continuerà ad essere- le due cose sono collegate- un mare di paura e di morte.
Ma anche chi dopo la sconfitta è chiamato a ripensare se stesso, non sembra avere nelle sue corde questa priorità. Ci si appresta, per quel che riguarda il Pd, al riemergere del vecchio dibattito fra riformisti moderati e compatibilisti, e riformisti più o meno radicali, e la cartina di tornasole che orienterà il dibattito rischia di essere in maniera tragicomica, la futura alleanza elettorale, con i 5Stelle o con Calenda.
La lotta al riscaldamento climatico, con i cambiamenti necessari nel nostro modo di produrre e di consumare, e l’impegno per la pace, che di quei cambiamenti è premessa e conseguenza, è al massimo un punto fra i tanti di un programma da definire. L’inscindibilità fra giustizia ambientale e giustizia sociale, e la possibilità di costruire un mondo di pace, tanto chiara nel messaggio di papa Francesco e nelle testa di quei ragazzi, sembra lontana dalla testa di chi dovrebbe ripensare le ragioni della sinistra nel nostro Pese e in Europa.
Eppure potrebbe venire da lì la base per un nuovo modo di ripensare la scuola, il lavoro, la sanità, il territorio. Per riaccendere nella scuola la speranza, dopo la crisi irreversibile delle aspettative di conquistarsi tramite lo studio un posto nel mondo su cui si era basata fino ad oggi la scuola che forma «capitale umano». Per alimentare dalla scuola, in cui la cooperazione educativa prenda il posto dell’individualismo docente e discente, e del familismo amorale, la speranza di un altro mondo possibile.
E di un lavoro la cui dignità si riconquisti prima di tutto con la consapevolezza della utilità sociale e della sostenibilità morale di quel che si fa, conquistando spazi per poter co-decidere i fini e i mezzi del proprio lavoro, e i suoi effetti sul territorio e sulla vita dei propri figli. Contrastando la paura del cambiamento necessario con una formazione continua per i lavoratori e per il lavoro che verrà, quantitativamente e qualitativamente superiore a quello di oggi, verso un’economia orientata al rispetto della natura, alla cura degli esseri umani e alla pace.
Non so se saranno in grado di una riconversione culturale i partiti impegnati a ridefinire se stessi. Ma la presenza di Maurizio Landini al corteo romano del 23 settembre, e l’invito rivolto dalla Cgil ai ragazzi e alle ragazze del venerdì a prendere la parola alla propria manifestazione dell’8 ottobre, fa sperare che nel tessuto sociale sia possibile cominciare a delineare un percorso di riflessione e di lotte in comune, in cui il patrimonio di quel 23 settembre non vada disperso
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LA RETORICA NUCLEARE. Assistiamo allo slittamento progressivo verso ipotesi di opzione militare nucleare, non più considerata fuori da ogni logica o piano, la crescente retorica nuclearista e in misura maggiore le sempre meno velate minacce da parte russa. La presenza delle armi nucleari è un pericolo esistenziale per l’umanità: nessuna politica o strategia di contenimento potrà portare a zero i rischi
Un missile balistico russo durante la parata per il Giorno della Vittoria sulla Piazza Rossa, lo scorso 9 maggio - Afp/Kirill Kudryavtsev
Lo spettro dell’uso di ordigni nucleari in guerra, con i conseguenti devastanti impatti, si aggira per il mondo. Nell’Asia orientale ha il volto dei test missilistici nord-coreani. E in Europa ha quello delle voci su un possibile test russo ai confini con l’Ucraina.
Il nervosismo è diffuso e palpabile, tanto che ci si focalizza su un caso che appare ingigantito. Le immagini e gli elementi a disposizione sembrano indicare che il «convoglio di armi nucleari» sia invero un trasporto (certamente non standard) di mezzi speciali. Quindi anche solo una esercitazione, oppure un’attività pianificata di modernizzazione nell’arsenale. Oppure una temporanea rassegna, in contesto di guerra, di 12 camion di sicurezza usualmente utilizzati dalla “12 Gumo”, il direttorato delle Forze Armate russe responsabile del munizionamento nucleare.
Tanto che Matt Korda, esperto di arsenali nucleari della Federation of American Scientist, ha twittato: «Dire che la Russia stia spostando testate in Ucraina è un’affermazione molto forte e al momento le prove disponibili non la supportano».
GLI FA ECO il professor Jeffrey Lewis del Middlebury Institute: «L’affermazione che si tratti di un convoglio di armi nucleari si basa su una catena incredibilmente fragile di ipotesi sulla base di pochissime prove, a fronte di molte altre spiegazioni oserei dire più plausibili».
Ci si sta agitando probabilmente per qualcosa di diverso dal trasporto di testate verso il campo di battaglia, peraltro non necessario per l’uso nucleare. Qui sta il punto effettivamente problematico della questione: lo slittamento progressivo verso ipotesi di opzione militare (o addirittura escalation) nucleare, non più considerata fuori da ogni logica o piano.
Il rincorrersi di notizie poco plausibili, la crescente retorica nuclearista e certo in misura maggiore le sempre meno velate minacce da parte russa, contribuisce a peggiorare il quadro. Che è quello di un preoccupante e inaccettabile abbassamento della soglia dell’utilizzo di testate nucleari, con l’indebolimento di tutte quelle valutazioni politiche e militari che dovrebbero frapporsi come «salvaguardia» nei confronti della catena di passaggi e decisioni verso il «bottone rosso».
Il tutto in un contesto in cui i contendenti da un lato arrivano a dichiarare esplicitamente (anche per legge) l’impossibilità di aprire un qualsiasi tipo di negoziato e dall’altro evidenziano un sempre maggiore sfilacciamento tra vertice politico e strutture militari.
PROPRIO NELLA RUSSIA che possiede un arsenale nucleare (il più fornito al mondo di testate “tattiche”) e che nella propria dottrina, sotto certe condizioni oggi ancora lontane ma i cui prodromi si manifestano pericolosamente, prevede pure una autorità dei comandanti di teatro sulla decisione di utilizzo dell’opzione nucleare.
Perciò sono altamente pericolosi, e possono favorire una spirale drammatica, anche i commenti di analisti (sicuramente in Occidente, probabilmente anche in Russia) che insistono in maniera fuorviante sulla fantomatica «minore pericolosità» delle testate «tattiche», considerandole erroneamente «di minore potenza».
Ma non è solo il potere esplosivo che ne contraddistingue la definizione, e pure poche decine di chiloton di un singolo ordigno potrebbero provocare una catastrofe incontrollabile e conseguenze devastanti soprattutto in regioni popolate come quelle europee. O, peggio, favorire una escalation verso l’uso delle testate intercontinentali strategiche. Anche solo un conflitto nucleare regionale di poche decine di testate porterebbe a conseguenze globali con sconvolgimenti climatici e carestie che colpirebbero miliardi di persone.
La presenza delle armi nucleari è un pericolo esistenziale per l’umanità: nessuna politica o strategia di contenimento potrà portare a zero i rischi, perché prima o poi le condizioni per utilizzarle si materializzeranno. Basare su esse la nostra sicurezza è un drammatico errore: solo l’eliminazione di tutti gli arsenali – ne avevamo l’occasione storica, mancata, alla fine della Guerra fredda – potrà garantircela.
* Coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo
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WELFARE . La «marea nera» è l’agenda sociale dei «vincitori»: più avanzata nelle politiche famigliari, trascura precarietà e povertà lavorativa tradendo la matrice neo-liberista
La Destra vince, il Pd mostra una volta di più l’incapacità (la non volontà?) di guidare una coalizione progressista in grado di contendere la vittoria al campo avversario, i partiti a sinistra del Pd – pur con il superamento della soglia di sbarramento da parte di Sinistra Italiana-Verdi – confermano di non riuscire a (a voler?) creare una forza capace di modificare asse e dinamica della competizione a Sinistra.
Ci riuscirà il M5S di Conte? Vedremo. Nel mentre, fiumi di inchiostro si sprecano sul «pericolo nero» rappresentato dalla Meloni e alleati uniti: c’è «una marea nera che sta salendo» per dirla con Giannini su La Stampa. In realtà, non c’è alcuna marea nera che sale, perlomeno in Italia. La Destra ha preso sostanzialmente gli stessi voti (12,3 milioni) del 2018 (12,1 milioni): ciò che ha determinato la vittoria sono state sia
Commenta (0 Commenti)POLITICA. Giunge così ad una stretta oramai ineludibile uno dei vizi d’origine del Pd: ossia, il fatto che il suo regime interno non è ispirato ai principi della democrazia rappresentativa. È un misto di plebiscitarismo e di feudalizzazione.
In fila ad un gazebo Pd per votare per il segretario - Ansa
Si va verso il congresso del Pd, ma che tipo di congresso sarà? Si vuole un processo basato su documenti alternativi che si pronuncino sulle questioni del nostro tempo? O si pensa al rito delle cosiddette primarie, alla corsa ai gazebo?
Si pensa alla mobilitazione delle cordate, alla retorica schiettamente populista che solitamente ha accompagnato questo momento? Ma, per il Pd, è possibile un vero congresso, come quelli che si facevano un tempo, e che non pare siano stati sostituiti da qualcosa di meglio?
È bene ricordare che,
Leggi tutto: Si fa presto a dire congresso e a finire nei gazebo - di Antonio Floridia
Commenta (0 Commenti)INTERVISTA. Il coordinatore Forum Disuguaglianze: «Nel futuro della sinistra uno scontro tra radicali e conservatori. Non so se il Pd sia riformabile». «La vittoria di Meloni è una rivincita della politica, ma non darà risposte al malessere sociale. Temo faticherà a tenere a bada frange violente contro poveri e comunità lgbtq+»
Fabrizio Barca, economista, ex ministro con Monti, coordinatore del Forum Diseguaglianze e diversità. Come valuta il risultato delle urne?
Purtroppo questo esito era prevedibile. I programmi dei partiti di centrosinistra riflettevano solo in parte il fermento sociale e imprenditoriale che c’è nel paese. Ma neppure di quello hanno parlato, penso ad esempio alla sacrosanta proposta Pd di 500mila nuovi alloggi popolari senza consumare nuovo suolo. Non hanno mostrato agli elettori che il centrosinistra è responsabile verso di loro, specie quelli più colpiti dalle disuguaglianze. Sono apparsi responsabili, ancora una volta, verso astratte istituzioni, e gli elettori si sono rivolti a un altro sarto.
A quali istituzioni si riferisce?
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