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Il 24 marzo del 1944, l’eccidio nazifascista delle Fosse Ardeatine. Giorgia Meloni da Bruxelles: uccisi «solo perché italiani». Dimenticando che in gran parte furono scelti perché antifascisti, militari resistenti, politici ed ebrei. Tanti i non italiani tra le vittime. La protesta di Anpi e opposizioni

Fosse ardeatine, Meloni: «Trucidati perché italiani» Il presidente Mattarella alle Fosse ardeatine - LaPresse

FOSSE ARDEATINE. Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. […]

Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944., ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. L’hanno ucciso perché era ebreo.

Blumstein non è un caso isolato. Gli stranieri uccisi alle Fosse Ardeatine sono una dozzina. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni (così vuole essere chiamata) vanta giustamente la sua origine alla Garbatella, quartiere popolare di Roma. La Garbatella è direttamente contigua alle Fosse Ardeatine. Chi è cresciuto lì non può non aver sentito parlare di che cosa è successo.

Le sue sorprendenti parole non sono frutto di ignoranza ma di inconfessata e tracotante vergogna. Non fu ucciso perché era italiano neanche il generale Simone Simoni,

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FRANCIA. «Al di là delle pensioni, è contro qualcosa di più profondo, uno stile dell’élite, della nobiltà di Stato come direbbe Bourdieu, di una casta arrogante»

Intervista al sociologo Louis Chauvel: «Nei giovani c’è l’avversione a ciò che rappresenta Macron» Louis Chauvel

Come mai negli altri paesi europei i cittadini hanno ingoiato le riforme delle pensioni fino a 65 o 67 anni, mentre in Francia il simbolo dei 64 anni sta suscitando tante proteste? Il sociologo Louis Chauvel, professore all’Università di Lussemburgo, ha studiato il declino delle classi medie, in libri come Les classes moyennes à la dérive (Seuil), La Spirale du déclassement (Seuil) o le destin des génerations (Puf).

Come spiegare la forza del movimento di protesta in corso?

Tutto il welfare francese, pensato negli anni dopo la seconda guerra mondiale – scuola, sanità, pensioni – è culminato negli anni ’80 con la pensione a 60 anni, quando l’immagine ansiosa della povertà nella vecchiaia è stata sostituita da un ringiovanimento e da livelli di pensione comparabili con quelli dei salari. C’è stato un enorme cambiamento e i lavoratori hanno accettato condizioni di lavoro e di remunerazione più difficili (le 35 ore hanno generato un’intensificazione del lavoro) ma con la prospettiva di una pensione diventata un ideale di vita dopo il lavoro. È una promessa dagli anni ’80: la vita in pensione non sarà né ricchezza assoluta né povertà, ma quella della classe media, un bel periodo tra i 60 e i 75 anni, in forma, l’automobile, le vacanze. Quello che succede oggi è che le persone si rendono conto che la promessa della pensione arriverà sempre più tardi, in condizioni più degradate, con livelli di assegni peggiori. Il mondo salariato difende i suoi diritti sociali. La promessa di vita migliore si allontana a grande velocità, a cominciare da chi è nato troppo tardi nel baby boom. I più fortunati sono quelli che avevano 20 anni nel ’68. Oggi al centro della protesta c’è la generazione nata attorno al ’60, che ha un po’ più di 50 anni, con la pensione relativamente vicina. Sentono che la festa è finita.

Ci sono vicinanze con il movimento dei gilet gialli?

Nei gilet gialli la categoria più rappresentata erano lavoratori del settore privato, free lance, indipendenti, partite Iva, anche in certi casi un proletariato salariato. Oggi, al centro ci sono lavoratori dipendenti che hanno dei diritti sociali conquistati, statuti speciali, occupazioni ben incluse socialmente, con un lavoro stabile. Anche se in Francia il tasso di sindacalizzazione è basso, ci sono comunque competenze sindacali nelle imprese, tutti sanno come rivolgersi a un rappresentante sindacale. In queste categorie il malcontento è generalizzato. Si percepisce un declassamento, che è anche quello più generale della Francia. Sono inoltre persone che hanno conservato connessioni con il paese profondo, che, a differenza di Macron, conoscono la Francia dell’altra parte, quella della povertà, che continua a esistere, che ha una vita dura.

Come spiega la presenza dei giovani in una protesta per le pensioni, che assorbono il 15% del Pil e quindi privano altri investimenti, per il futuro?

In modo molto regolare, le classi medie constatano il degrado sul lungo termine. Si paragonano, generazione dopo generazione. I giovani di oggi hanno in media 2-3 anni più di studi dei loro genitori, ma vivono diverse frustrazioni, a cominciare ad esempio dalla casa, ci vogliono molti più anni di lavoro per poter acquisire una stessa superficie rispetto al passato. Quando si mettono a confronto con i genitori, vedono che è più difficile. Anche se spesso i giovani hanno dimenticato molte competenze sindacali e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori, hanno aspirazioni da classe media superiore, ma per le difficoltà economiche si trovano con livelli di vita bassi, una volta pagato l’affitto e il resto, vivono una profonda regressione sociale. Nel passato, anche i conservatori puntavano sull’avvenire del paese, c’era una proiezione, tanto più in Francia che ha avuto un’alta natalità. Oggi la situazione è diversa rispetto agli anni ’80, i giovani sono meno numerosi demograficamente.

Quali sono le prospettive politiche?

C’è un vero rischio di vittoria del Rassemblement national se continua così. Una durezza reale della vita rende l’estrema destra una possibilità. Potrebbe finire con una crisi sociale e politica di grande ampiezza, Macron riattiva una forma di pensiero violento in politica, Mélenchon rianima il 1793. Bisogna dire che Macron manca assolutamente di tatto, si rivolge a non più del 10-15% della popolazione francese e suscita ormai ostilità anche in chi lo ha sostenuto. Al di là delle pensioni, c’è qualcosa di più profondo, uno stile dell’élite, della nobiltà di stato come direbbe Bourdieu, di una casta arrogante. Per i giovani, che vivono frustrazioni generazionali, la profondità del movimento è determinata meno dalle pensioni che da un’avversione profonda per tutto quello che Macron rappresenta. Adesso non si può ancora parlare di esplosione, ma c’è un degrado molto rapido del clima sociale. Il Big One sarà adesso o fra 5 anni? È imprevedibile

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INTERVISTA. Putin "criminale" come dice Al Jazeera, ma la Corte dell’Aia è ipocrita e succube. Una legge del Congresso Usa autorizza il presidente a usare la forza per «salvare» ogni americano dalla Cpi
Noam Chomsky: «La diplomazia cinese fa paura agli Usa, non vogliono la pace»
 

Sui recenti sviluppi della crisi ucraina abbiamo raccolto per il manifesto alcune riflessioni di Noam Chomsky, professore emerito del Mit, linguista, filosofo e politologo di fama internazionale di cui è uscito in libreria in questi giorni l’ultimo volume, Poteri illegittimi. Clima, guerra nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo, (ed. Ponte alle Grazie tradotto e curato nell’edizione italiana da chi scrive).

Venerdì 17 marzo la Corte penale internazionale ha accusato formalmente Vladimir Putin di crimini di guerra in Ucraina e ha emesso un mandato di arresto contro di lui e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova, che cosa ne pensa?

La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin perché sarebbe responsabile della deportazione e trasferimento illegale di bambini ucraini. O, per dirla in maniera un po’ diversa citando Al Jazeera, «gli ipocriti di professione della Corte penale internazionale» hanno emesso un meritatissimo mandato di arresto a carico di «quel personaggio grottesco che è il presidente russo, che compie allegramente crimini contro l’umanità ed è poco più che un delinquente» («An ICC warrant against Putin is good – and hypocritical», Al Jazeera, 20 marzo 2023). I mezzi d’informazione occidentali preferiscono attenersi a una versione più morbida. In ogni caso, è sempre meritevole ricercare la verità, per quanto possa entrare in conflitto con l’asservimento alle verità dottrinarie dei potenti.

Partendo dal presupposto che quello della Cpi sia un atto legittimo, sorge spontanea la domanda se esso non debba stimolare l’applicazione di un criterio analogo anche a quanto è avvenuto in Iraq, proprio in questi giorni in cui si commemora il ventesimo anniversario dell’invasione a guida angloamericana.
Se la Corte penale internazionale avesse il coraggio di elevarsi a tale livello di onestà e integrità, la punizione sarebbe dura e brutale. Quando il procuratore della Corte Fatou Bensouda ha osato suggerire che la Cpi dovrebbe indagare sui pesanti crimini statunitensi e israeliani, il presidente Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha imposto sanzioni contro i funzionari della Corte sospettati di essere colpevoli di questa oltraggiosa violazione dell’«ordine internazionale basato sulle regole» governato dagli Stati uniti. Il visto di Bensouda è stato revocato. Successivamente, sono state imposte sanzioni a Bensouda e a un altro alto funzionario della Corte penale internazionale (si tratta di Phakiso Mochochoko, «US Sanctions on the International Criminal Court», Human Rights Watch, 14 dicembre 2020, ndr). Esiste già una legge del Congresso statunitense che autorizza il presidente Usa a usare la forza per «salvare» qualsiasi americano che rischi di essere portato dinanzi al tribunale dell’Aia (nota informalmente come Hague Invasion Act, è una legge federale entrata in vigore il 2 agosto 2002, mirante a «proteggere il personale militare degli Stati Uniti e altri funzionari eletti e nominati del governo degli Stati uniti contro procedimenti penali da parte di un tribunale penale internazionale di cui gli Stati uniti non fanno parte». Il Padrino non tollera alcun segno di insubordinazione.

Il 20 marzo il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Mosca per una visita ufficiale di tre giorni su espresso invito di Putin. Pensa che questa visita possa rappresentare un concreto passo avanti verso una qualche forma di negoziato per fermare la guerra in Ucraina?
Il governo Usa ha condannato immediatamente la visita e la proposta cinese. La posizione ufficiale degli Stati uniti rimane invariata: la guerra deve continuare per indebolire gravemente la Russia. Come molti commentatori occidentali hanno osservato, non senza un certo entusiasmo, è un grosso affare per gli Stati uniti. Facendo ricorso a una piccola porzione del proprio colossale bilancio militare, gli Stati uniti sono in grado di deteriorare pesantemente le forze del suo principale avversario in campo militare, generando peraltro un’impennata negli utili e nelle vendite dell’industria militare. In verità, producendo un guadagno molto più ampio. Più in generale, la diplomazia cinese è motivo di grande preoccupazione per Washington. La sua recente iniziativa per promuovere un accordo tra Iran e Arabia Saudita mette i bastoni tra le ruote a un ordine regionale che gli Stati uniti dominano sin dalla Seconda guerra mondiale, e mina gli sforzi degli Stati uniti di punire l’Iran per la sua diserzione da questo sistema, in quella che i pianificatori statunitensi del secondo dopoguerra consideravano l’area strategicamente più importante del mondo. Non è una faccenda di poco conto

 
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DIRITTI. La posta in gioco dello scontro politico sulle famiglie arcobaleno è molto alta. Rimanda all’essenza della democrazia costituzionale come progetto collettivo fondato sul diritto al «pieno sviluppo della persona umana» […]

 La protesta delle penne alzate contro la decisione del Viminale che ha spinto il prefetto del capoluogo lombardo a imporre lo stop al Comune delle trascrizioni dei figli di coppie dello stesso sesso - GettyImages

La posta in gioco dello scontro politico sulle famiglie arcobaleno è molto alta. Rimanda all’essenza della democrazia costituzionale come progetto collettivo fondato sul diritto al «pieno sviluppo della persona umana» indicato nell’articolo 3. La mancanza di una normativa che riconosca il matrimonio egualitario e la tutela dei figli delle coppie omogenitoriali è una ferita al principio di eguaglianza in un senso che non è solo formale, perché incide profondamente sia sulla materialità della vita quotidiana sia sulla possibilità di immaginare il proprio futuro.

La piazza di Milano lancia dunque un messaggio che parte dalla realtà dei corpi e dei sentimenti a una destra prigioniera di fantasmi e pregiudizi. I sindaci sono stati richiamati – leggi: obbligati – dai prefetti a interrompere iscrizioni e trascrizioni anagrafiche di figli e figlie di coppie omogenitoriali facendo leva su una recente sentenza della Cassazione a sezioni unite. Sentenza che, in sintesi, afferma che le coppie possono ricorrere all’adozione in casi particolari: il figlio è di un genitore, l’altro adotta. Il maggior interesse del minore in questo modo sarebbe garantito. «Fatevelo bastare», è il messaggio del governo. «Già tanto che ve li lasciamo tenere», è il

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IL LIMITE IGNOTO. Il viaggio di Xi Jinping a Mosca

 

Gli ucraini vogliono armi a più lunga gittata, per continuare a colpire in profondità la logistica russa, rendendo insostenibile l’occupazione. Le armi che affluiscono dall’Occidente ci raccontano invece della pressione per un’offensiva diretta, per l’estate. Così da accorciare i tempi e segnare l’esito della guerra, verso un settlement da una posizione di forza.
I russi bombardano, ma da Sebastopoli, Belgorod e Rostov giungono notizie di esplosioni e incendi. Nelle scuole della Crimea i bambini sono sottoposti ad addestramento militare, mentre arriva Putin a celebrare nove anni di annessione: si porta addosso un mandato di cattura per crimini di guerra spiccato dal Tribunale dell’Aia.
Al pari di Washington, Mosca non ha sottoscritto il Trattato di Roma che istituisce il Tribunale. La deportazione dei bambini dalle città ucraine, flagrante violazione delle Convenzioni di Ginevra in materia di responsabilità della potenza occupante, è sempre stata presentata da Mosca come salvataggio umanitario.

Prevedibilmente i gerarchi, rabbiosi, parlano dell’ennesima, oltraggiosa prova di una guerra voluta dall’Occidente, pescando nel trito repertorio della paranoia. Mentre la Russia cerca di convincere il mondo della propria nobile guerra difensiva, un leader accusato di aver voluto varcare la linea dei crimini di guerra rappresenta un imbarazzo che va al di là dei 123 paesi che riconoscono il Tribunale. La logica della superpotenza porta con sé l’ambizione all’impunità (ricordiamo gli Stati uniti in Iraq), ma la guerra della Russia soffre di efficienza militare declinante, e a nessuno sfugge la parabola di quei capi di stato che sono incappati in mandati di arresto del Tribunale dell’Aia. Di certo si restringono i margini di viaggio (non vedremo più Putin alle cene romane o agli expò milanesi). Altrettando evidenti sono le implicazioni immediate dell’accusa sulla prospettiva di negoziati.

Xi è atteso a giorni a Mosca, mentre si annuncia un contatto anche con gli ucraini. Mai come ora la Cina sembra avere un ruolo chiave rispetto all’idea di negoziato e, in prospettiva, di pace. Con il recente annuncio della Global Civilisation Initiative, imperniata sul rispetto per la diversità delle civiltà, Pechino si affaccia ormai sull’ordine globale attraverso diversi documenti che esplicitano le linee di fondo della sua visione, declinando concretamente le ambizioni della politica estera del terzo mandato di Xi. Da quando nel 2015 è stata enunciata all’Onu, la «Comunità di futuro condiviso dell’umanità» definisce l’aspirazione cinese a un sistema internazionale libero da distorsioni occidentali, fondato su partenariati fra uguali, su una nuova architettura di sicurezza, su politiche di sviluppo comune e scambi fra civiltà. Una visione complessiva nella quale modernizzazione non equivale a occidentalizzazione.

Lanciata ormai dieci anni fa, la Belt and Road Initiative incarna la visione cinese di un mondo con interconnesso (finanza e infrastrutture) e l’ambizione «a costruire un nuovo modello di relazioni internazionali». Nel 2021 la Cina ha proposto la propria Global Development Initiative, riprendendo gli obiettivi di sviluppo sostenibile del Millennio Onu. Durante il summit di Boao del 2022, Xi ha infine annunciato la Global Security Initiative, esplicitata poi in un concept paper pubblicato giorni fa, ad un anno dall’inizio dell’invasione russa, per dare forza all’esplicito ingaggio diplomatico cinese su questo fronte: nell’enunciare le linee guida della riforma della sicurezza collettiva, Pechino inasprisce la critica del protezionismo americano, e mette al centro l’Onu integrità territoriale, sovranità statale, uniformità dell’applicazione del diritto internazionale, risoluzione pacifica delle dispute.

Su queste basi la direzione della politica estera cinese appare oggi, in contesto di crescente rivalità con Washington, orientata all’ingaggio con il Sud Globale, a partire dal mondo che fu colonizzato, tipicamente marginale nella governance globale. Strumentale alle ambizioni egemoniche di Pechino, la visione cinese della pace ambisce a caratterizzarsi per il proprio tratto post-coloniale. Lungo questa direttrice, anche in ragione di rivalità perduranti ed interessi divergenti, essa fatica ad allinearsi fino in fondo col revisionismo imperialista russo.

Al tempo stesso, la debolezza di Putin, la sconfitta militare che si prepara, lo spettro di un periodo di torbidi, obbligano la Cina ad esporsi maggiormente in direzione di una soluzione negoziata. Fino a che punto, nel dare sostegno a Mosca, Xi si spingerà nel sostenere la costruzione russa di mondi separati, ad esempio con processi per crimini di guerra ucraini creati ad uso e consumo dell’audience dei paesi emergenti (Brics)? Quanto potrà concedere tatticamente rispetto alle proprie ambizioni globali, con proposte di cessate il fuoco che, se non sviluppate con un ingaggio politico strategico, rischiano oggi di ricalcare solo gli interessi di Mosca? L’Europa che fu colonialista ha tutto da perdere da una guerra che non si ferma, e molto da guadagnare da un intenso dialogo con Pechino

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POLITICA. Il Pd cambia, è possibile ora un fronte comune d’opposizione. Il rischio è la concorrenza con il M5S. Ma serve una formazione di sinistra autonoma da questi due partiti

 Elly Schlein - foto Ansa

Dopo l’affermazione della Meloni nell’inedito destra-centro di governo, la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd grazie a suffragi progressisti estranei al partito sommuove in profondità anche l’altro versante dello schieramento politico italiano.

Vi è un ampliamento del pensabile della politica partendo dalla sua riconfigurazione al femminile, e si aprono nuove prospettive politiche, incerte ma ben visibili, anche per l’arcipelago della sinistra, il M5S, i movimenti, l’associazionismo progressista. Nel Pd s’è avviato un cambiamento. Nella composizione del gruppo dirigente un forte rinnovamento generazionale si innesta sull’accordo con Bonaccini – ma non con gli ex renziani – ed alla conferma nella Direzione di molti protagonisti della fase precedente.

Quanto al programma la Schlein si propone come una democratica conseguente, aperta alle istanze del lavoro e dell’ambiente, ma si trova sottoposta ad un duplice condizionamento. Da un lato, come Draghi alla Meloni, Letta ed altri le avranno spiegato che la sua legittimazione a governare dipende dalla piena adesione alle politiche del rigore di bilancio e della Nato. Dall’altro, le cordate del potere politico-amministrativo, struttura portante del Partito nei territori, continueranno a gestire l’esistente secondo le linee di minor resistenza alle spinte degli interessi forti.

Tuttavia, le conseguenze drammatiche della crisi spingono nella direzione indicata dalla Schlein. Il rischio è una riedizione, adeguata ai tempi, del «ma anche», principio fondativo del Pd coniugante belle narrazioni e prassi inadeguate o negative, come per la guerra in Ucraina. Intanto la Schlein ha aperto un confronto con il M5S e i rosso-verdi per costruire iniziative comuni a partire dai temi del salario e del lavoro subordinato, ovvero dal cuore del conflitto di classe. Si delinea così una possibile prospettiva verso la costruzione di uno schieramento comune di opposizione al governo di destra-centro ed al suo programma di controriforma istituzionale e sociale.

Prospettiva che dovrà superare la tentazione della concorrenza per la guida dell’opposizione tra il ceto politico del Pd e quello del M5S, con la sinistra divisa tra le formazioni inclinate verso il Pd, coi loro parlamentari, e le formazioni indipendenti dal Pd, più orientate sul M5S.

La tentazione riflette anche le contraddizioni interne alla frammentata base sociale di queste forze, dai ceti medi professionali e produttivi al lavoro dipendente garantito o precario, fino ai disoccupati e ai giovani impegnati sulla crisi ambientale. Costruire uno schieramento comune, perciò, significa definire un’agenda a grandi linee comune, in grado di ricomporre la disarticolazione sociale intorno agli interessi fondamentali della gran parte dei cittadini, colpiti dalle dinamiche distruttive innescate dalle esigenze del capitale finanziario. Per questa agenda c’è una base condivisa costituita dal collegamento tra ambiente, lavoro e diritti, ma c’è anche un vuoto da colmare. Per realizzare politiche adeguate alla complessità dell’intreccio c’è bisogno di un sistema istituzionale all’altezza, che non presenti le vistose carenze di quello vigente. La destra offre una risposta a queste carenze col suo progetto di controriforma della Costituzione, sgangherato ma rispondente alle esigenze degli interessi forti e dei ceti privilegiati. Per batterlo è necessario un progetto alternativo, che rilanci il ruolo del Parlamento rispetto all’esecutivo e delle Autonomie locali rispetto al neocentralismo regionale, trovando le risorse necessarie alle nuove politiche pubbliche con una riforma fiscale in senso fortemente progressivo.

Un progetto sul quale battersi, in Parlamento e nel paese, per poterlo proporre domani all’elettorato. La costruzione dello schieramento comune e del progetto alla sua base rappresenta un compito assai impegnativo e tuttavia ineludibile. Una condizione perché si realizzi potrebbe essere data dalla capacità della sinistra di svolgere un ruolo di cardine tra l’evoluzione avviatasi nel Pd grazie alla Schlein e quella in corso nel M5S, grazie a Conte, perché vengano controllate contraddizioni, oscillazioni, lo spirito di concorrenza.

Ma occorre che una sinistra vi sia, ovvero una formazione politica anche plurale ma stabile, autonoma dal Pd e dal M5S, in grado di mettere insieme su questa prospettiva le persone impegnate nelle varie organizzazioni e i molti intellettuali di area finora dispersi, che possono contribuire in modo decisivo alla definizione del progetto comune

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