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COMMENTI. La presidente Meloni, con un alto tasso di confusa indeterminatezza, intende proporre l'elezione diretta del capo dello stato in una delle versioni conosciute

 Il palazzo del Quirinale - LaPresse

Eletta Elly Schlein, tutta l’opposizione deve misurarsi con i suoi problemi. Ad esempio sul presidenzialismo la destra ha idee chiare, mentre l’opposizione ne sottovaluta l’importanza.

La presidente del Consiglio Meloni vuole il presidenzialismo per affermare la sua leadership e per dimostrare che otterrà con questa maggioranza quello che altri non hanno ottenuto, cambiando a fondo l’assetto costituzionale antifascista del 1948, andando oltre Fini.

E’ antica la suggestione della destra di cambiare la Costituzione introducendo il Presidenzialismo. Questo obiettivo, dopo 75 anni di Costituzione, è ritenuto talmente importante da scendere a patti con spinte contraddittorie come l’autonomia regionale differenziata. Meloni ha un bel citare il Garibaldi o dichiarare che non ci saranno cittadini di serie A e B, se il progetto Calderoli diventasse legge, Lombardia, Veneto, Emilia aprirebbero la trattativa bilaterale con il Governo per ottenere fino a 23 materie. Il risultato sarebbe una dinamica para secessionista, che renderebbe dubbia perfino la possibilità del presidenzialismo di governare le forze messe in moto dalla stessa destra.

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica stravolgerebbe la logica e la struttura costituzionale. Il Presidente oggi è garante e regolatore, eletto da uno schieramento parlamentare, ma con un ruolo che va oltre la maggioranza che lo ha eletto. Per questo ha potuto, in situazioni difficili, indicare soluzioni che non erano alla portata delle scelte. Se eletto dai cittadini, il Presidente diventa il capo della parte che ha vinto le elezioni. E’ il capo della fazione elettorale vincente.

Basta leggere i suoi compiti costituzionali per capire che non c’è solo il ruolo di garante dell’unità nazionale e della costituzionalità delle scelte politiche. Il Presidente della Repubblica è la carica istituzionale garante dell’autonomia della magistratura, infatti presiede il Csm, nomina 5 giudici della Corte che ha il compito di garantire la coerenza costituzionale delle leggi.

I costituenti immaginarono un equilibrio tra governo, parlamento, magistratura, della cui autonomia il Presidente è oggi il garante. Pur con variazioni, per 75 anni è stato così.

Ora, con confusa indeterminatezza, Giorgia Meloni intende proporre l’elezione diretta del capo dello stato in una delle versioni conosciute.

Il presidenzialismo è già in seria crisi, come abbiamo visto il 6 gennaio 2021 negli Usa, con una spaccatura profonda del paese, fino a rischiare il colpo di stato. Anche il presidente francese Macron sta affrontando una fase complicata e le manifestazioni di protesta popolare sono un avviso potente di fratture non composte.

Dove sarebbe il vantaggio del presidenzialismo? Nell’imporre le scelte? C’è bisogno di stabilità, si dice. Ma una stabilità accettabile è oggi offerta da un sistema parlamentare come quello tedesco, con un sistema elettorale proporzionale e la formazione di coalizioni che hanno il compito di durare, con meccanismi parlamentari che ne aiutano la realizzazione.
Il ruolo parlamento infatti è l’altro elemento dirimente, di cui i presidenzialisti non parlano, ma che verrebbe ridotto di fatto ai minimi termini. Da un paio di decenni il parlamento è stato via via compresso in un ruolo che non gli consente di esercitare effettivamente il ruolo di rappresentante degli elettori.

La debolezza politica dei governi e delle coalizioni ha inventato meccanismi obbliganti sul parlamento, per costringerlo ad approvare le decisioni dei governi, in testa l’abuso dei decreti legge. I parlamentari hanno dato una mano al declino del parlamento, complici leggi elettorali che a partire dal porcellum hanno affidato ai capi partito la scelta dall’alto dei futuri parlamentari. L’elezione dipende dal capo partito, non da chi vota. Il parlamento è già troppo depotenziato. Con il Presidenzialismo avremmo un parlamento svuotato di ruolo e di poteri.

L’illusionismo che promette agli elettori di decidere sul Presidente continua a negare l’elezione diretta dei parlamentari, nasconde che la Costituzione italiana diventerebbe regressiva, meno aperta, meno partecipata, meno democratica di quanto è oggi, istituendo una sorta di commissario per l’Italia, peggio solo del Sindaco d’Italia di Renzi.

Per questo la risposta al presidenzialismo delle destre non deve essere difensiva, ma una ferma e potente riaffermazione del valore e del ruolo della nostra Costituzione, per difenderla, certo, ma soprattutto per attuarla con rigore a partire dai diritti fondamentali dei cittadini.

Occorre anche una nuova legge elettorale per evitare che in futuro possa continuare lo scempio di una coalizione che con il 44% dei voti ha il 59% dei seggi parlamentari con cui può cambiare da sola la Costituzione. La Costituzione è un asse politico fondamentale, su cui si può coagulare un’alternativa politica

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INTERVISTA. Il segretario di Si: «Mi auguro che riesca a riposizionare il Pd su temi come il lavoro. Non basta un’alleanza, riconquistare l’egemonia»

Fratoianni: «Schlein? Le parole della sinistra avranno più volume» 

Nicola Fratoianni risponde al telefono da Portovesme, in Sardegna, dove ha appena incontrato i lavoratori saliti sulla ciminiera dell’impianto Kss. «Il nostro dovere è stare a fianco di lavoratori costretti a stare per 4 giorni a 100 metri di altezza per sollevare il velo sull’ennesima crisi di un territorio massacrato e sul rischio di altre 1500 casse integrazioni. Il nostro compito è ascoltarli, anche per sentirsi dire “ci siete stati troppo poco vicini”…».

Sono scesi dalla ciminiera, dopo un tavolo al ministero.
Un gesto di responsabilità ma soprattutto di speranza per una soluzione positiva. Faremo di tutto per aiutarli, ma il tempo di mettere pezze sulle singole crisi è finito: ora servono politiche industriali che mettano al centro la conversione ecologica.

Oggi sarete in nella piazza antifascista di Firenze.
L’aggressione squadrista agli studenti è un fatto gravissimo. Ma lo è anche l’atteggiamento indecente di un ministro, Valditara, che parla contro la Costituzione su cui ha giurato. Immaginare provvedimenti contro una preside che con la sua bellissima lettera agli studenti ha onorato la sua funzione di insegnante mostra la cifra culturale e politica di questa destra. Spero sia una piazza bellissima, per la Costituzione e per la scuola che resta la più importante infrastruttura civile del paese.

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Firenze antifascista, in piazza contro i rigurgiti razzisti

In pochi giorni avete chiesto le dimissioni di Valditara e del ministro dell’Interno Piantedosi per le sue parole dopo la strage in mare. Due dimissioni a settimana non le sembra un cronoprogramma un po’ troppo ambizioso?
Sono richieste più che giustificata dai loro comportamenti. Ma il punto vero è costruire con fatica e determinazione una opposizione a questo governo e un progetto alternativo nel rapporto con la società, con quelle contraddizioni su cui la destra ha costruito la propria vittoria: le ferite, le paure, la domanda di protezione sociale. Sarà un lungo lavoro.

Come valuta la vittoria di Schlein alle primarie Pd?
Sbaglia chi pensa che per la sinistra sarebbe stata preferibile l’affermazione di una prospettiva più moderata. Per me vale sempre il motto che usai quando il M5S di Conte prese una direzione progressista: “Viva l’assembramento a sinistra”. La vittoria di Schlein è un fatto positivo, non solo perché si tratta di una donna, ecologista e femminista. Ma perché aumenterà il volume e la forza del vocabolario della sinistra, dei suoi valori, che per anni sono stati considerati una specie in via d’estinzione. Il risultato delle primarie dà nuova legittimazione a parole che a lungo tempo erano considerate indicibili. E ci offre l’opportunità per accumulare le forze e invertire la tendenza sui temi che per noi sono centrali, dal lavoro ai salari al cambiamento climatico.

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La missione possibile di Elly Schlein

Ora rinascerà una coalizione Pd-M5S – sinistra?
Questa ricomposizione è forse l’obiettivo più facile da raggiungere, ma non è sufficiente. Non voglio sottovalutare il risultato di superare la stagione sciagurata delle rotture, ma è prioritario fare una battaglia politica e culturale nel paese per riconquistare l’egemonia.

Vasto programma.
La destra ha dato le sue risposte alle paure, alla crisi della della globalizzazione, ha offerto i suoi elementi di rassicurazione in chiave nazionalista. A noi tocca offrire una protezione di sinistra cheparta da scuola e sanità pubbliche, lavoro e salari. Penso al salario minimo e alla riduzione dell’orario di lavoro come prime battaglie, all’indicizzazione di salari e pensioni all’inflazione.

Renzi sogna praterie di voti spaventati da un Pd si sinistra.
E si sbaglia ancora una volta. Se cresce la forza di un discorso di sinistra si vede ancora meglio che il centro è un’illusione ottica. L’alternativa a questa destra è una sinistra che guarda alla Spagna, a quello che stanno facendo il governo Sanchez con Podemos.

Perché Schlein ha vinto?
Perché gli elettori del Pd hanno chiesto una scossa, scelte nettamente diverse da quelle fatte finora. Mi auguro che questo riposizionamento vada fino in fondo perché, giusto o sbagliato che sia, le posizioni del Pd sul lavoro, e penso al Jobs Act, hanno influito sulla percezione che gli elettori hanno avuto di tutto il campo di centrosinistra.

Sull’Ucraina molti editorialisti immaginano un cambio di linea dei dem.
Non vedo segnali in questa direzione e mi dispiace perché, dopo un anno, è sempre più chiaro che questa guerra non si può risolvere con un’ escalation militare. Non lo dico io, ma anche i vertici militari Usa. Senza un vero sforzo diplomatico la pace si allontana ogni giorno di più. Forse è il caso di prenderne atto.

Eppure c’è una narrazione che sembra mettere in guardia il Pd: il no alle armi significherebbe uscire dalla Nato.
C’è una narrazione tossica che fin dall’inizio ha alimentato liste di proscrizione in cui i pacifisti e la sinistra erano gli amici di Putin. Ma non ci spaventano: pace e disarmo sono i grandi temi del futuro

 

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SINISTRA. Evitiamo una nuova trappola del “campo largo”. Distinguerei. Socialista ed ecologista dovranno essere i caratteri di una autonoma e rifondata sinistra

 Attivista di Fridays for future - Ap

La vittoria di Schlein nel confronto con Bonaccini ha avuto sicuramente un effetto dirimente sugli assetti interni e l’identità stessa del Pd. Come costituisce una novità sul piano politico nazionale e impatta direttamente sulle dinamiche del centro-sinistra e del campo progressista. Il problema rimane però il giudizio politico che si dà di tutto ciò.

Norma Rangeri nell’editoriale di martedì ha salutato la vittoria di un’esponente della sinistra, donna e femminista rispetto ad un partito “tradizionalmente maschilista”, liberista, moderato, fallimentare sui diritti civili (dallo Jus Soli al ddl Zan). Il fatto poi che il voto ai gazebo abbia smentito la decisione dei soli iscritti denota piuttosto una schizofrenia fra interno ed esterno, fra iscritti ed elettori, fra partito e società, che una risorsa da cui ripartire. Un dato questo che, sommato alla astensione straordinariamente alta alle regionali di Lazio e Lombardia, è indice di una crisi di sistema democratico che non si può non considerare quando si valuta la vittoria Schlein.

Non basta festeggiare la sconfitta di Bonaccini. Molti compagni della sinistra radicale sono andati ai gazebo appunto per far prevalere la Schlein. Lo trovo un espediente, un modo corsaro di intendere la politica, tutto tattico (Rangeri accenna anche a un possibile voto grillino), che dimostra più lo stato di crisi di certa sinistra radicale che di salute del Pd. L’eterogenesi dei fini non può essere una categoria della politica. Non può fare Schlein quello che non sappiamo fare noi.

Tanto più che si tratta di un errore già compiuto con Zingaretti. Anche allora molti elettori di sinistra transitarono la “piazza grande”, ennesimo espediente per attirare pezzi di sinistra nel Pd. Non ci fu nessuna svolta a sinistra. Zingaretti si dimise un anno dopo, ancora non si è capito bene perché (salvo che “si vergognava del suo partito”…). La “mini rivoluzione” di Schlein è sufficiente a garantire che le cose andranno diversamente?

Nell’editoriale Rangeri ricorda il dibattito lanciato dal manifesto anni fa dal titolo “c’è vita a sinistra”; ricorda però anche che alla fine dei discorsi “una convergenza unitaria di tutte le organizzazioni più piccole a sinistra del Pd non si è mai realizzata”. Ognuno rimase fermo al suo interesse personalistico e clanistico, alla “propria organizzazione” (non abbiamo dimenticato liste ed eletti alle ultime elezioni). Nessun progetto, nessuna visione, nessuna classe dirigente.

La somma di queste due debolezze, di questi due fallimenti, Pd e sinistra radicale può determinare l’“area nuova larga, popolare, aperta, libertaria, di rottura, socialmente e politicamente avanzata” che Rangeri giustamente auspica? Infiltrando il Pd con pezzi di sinistra delle primarie si potrà ricostruire “una identità socialista ed ecologista”? Evitiamo una nuova trappola del “campo largo”. Distinguerei. Socialista ed ecologista dovranno essere i caratteri di una autonoma e rifondata sinistra di lotta e di governo.

“L’area nuova, larga e popolare” dovrà essere invece un progetto politico di coalizione fra diversi e distinti (sinistra, Pd, 5stelle, realtà sociali e di movimento), che convergono strategicamente su un’idea di paese, di governo e di trasformazione. Partito e coalizione, organizzazione e governo tornino ad essere distinti e pensati in una prospettiva strategica. Anche così si aiuta la democrazia italiana.

E solo così potremo tornare a dare senso al nostro essere politico e a risalire la china dei consensi. È la via, difficile eppure tracciabile, per costruire non solo l’opposizione, ma l’alternativa ad un “governo reazionario e fascistoide”

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RIFORME . Ora bisogna approfondire, chiedono i comuni in conferenza unificata, per evitare un neo-centralismo regionale pernicioso. Ma il ministro Caterpillar non vuole saperne

Calderoli al supermercato delle funzioni

La conferenza Stato-Regioni ha approvato il disegno di legge del ministro Calderoli sull’autonomia differenziata, con i voti contrari di Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia. Sì dalle regioni in mano alla destra, no dalle altre.

La mancanza di una considerazione laica dei costi e dei benefici, dei vantaggi e degli svantaggi non è un buon viatico. Affermazioni come quella di Zaia, per cui «Il centralismo è l’equa divisione del malessere, l’autonomia è l’equa divisione del benessere» sono solo frasi ad effetto che suscitano rabbia o ilarità in un paese in cui divari territoriali e diseguaglianze sono cresciuti a dismisura negli anni.
E LE MEZZE PAROLE dei presidenti di destra di regioni del Sud sull’avere prima i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) dimostrano ignoranza o mala fede. Non sanno, o fingono di non sapere, che i Lep rimangono fin qui scatole vuote, che siamo inchiodati alla spesa storica, che in larga parte l’autonomia differenziata prescinde dai Lep. Sarebbe indispensabile approfondire, come chiedono i comuni in conferenza unificata anche nella chiave di evitare un pernicioso neo-centralismo regionale. Ma Caterpillar Calderoli non vuole proprio saperne.

Ha aperto, infatti, il supermercato delle funzioni. Dal suo Ministero esce un dossier di ben 81 pagine che elenca oltre cinquecento funzioni statali nelle 23 materie suscettibili di autonomia differenziata ai sensi dell’art. 116.3 della Costituzione. Forse pensa che sia un passo avanti. Non è così.
LE FUNZIONI ELENCATE sono tutte suscettibili di trasferimento a una o più regioni? Ovviamente no. Se tutte le regioni chiedessero tutte le funzioni elencate nel dossier Calderoli, e tutte fossero concesse, lo stato italiano chiuderebbe i battenti dalla sera alla mattina, senza necessità di defatiganti revisioni costituzionali e noiosi dibattiti accademici. Una morte per consunzione. E chiuderebbe i battenti anche se le funzioni trasferite fossero in numero assai inferiore, ma relative a gangli dell’organizzazione statale essenziali per la convivenza civile, come l’istruzione, la salute, il lavoro, la mobilità, l’energia, i beni culturali e molto altro ancora.

Qual è, allora, la linea del ministro sui trasferimenti? Calderoli ha disegnato per se stesso un ruolo dominante nella trattativa governo-regione ai fini delle intese e della maggiore autonomia. Quindi, per ragioni di chiarezza, trasparenza e assunzione di responsabilità politica, deve avere un indirizzo nella scelta di quali siano le funzioni trasferibili. Sarà decisiva la disponibilità della struttura statale a cedere la funzione fin qui svolta? O sarà decisiva la richiesta di una regione di appropriarsene, prendendo dallo scaffale del supermercato quel che le aggrada? O ancora si procederà ad azzerare funzioni presuntivamente da qualificare come inutili superfetazioni burocratiche? Si farà una classifica in base all’importanza? Chi decide cosa?

La selezione delle funzioni da trasferire o da mantenere allo stato disegnerà un’Italia diversa, consentirà o impedirà le politiche di riequilibrio territoriale, perequazione, eguaglianza nei diritti. I governatori di destra del Sud forse danno quelle politiche per acquisite. Sbagliano, e il conto andrà ai loro rappresentati. E dovrebbe preoccuparsi anche Giorgia Meloni.
UN’ULTIMA DOMANDA. Quante, tra le oltre 500 funzioni, sarebbero trasferibili anche senza autonomia differenziata, forzando la lettura dell’autonomia di cui già la regione dispone? Probabilmente, tutte – o quasi – quelle riconducibili alle materie di potestà legislativa concorrente – 20 su 23 – di cui all’art. 117.3.

L’AUTONOMIA differenziata aumenta, non crea, il pericolo già insito nel Titolo V di balcanizzare il paese in staterelli semi-indipendenti. Lo prova la sanità, dove senza autonomia differenziata siamo passati dal servizio sanitario nazionale ai sistemini regionali, fonte di diseguaglianze estreme e inaccettabili. Può succedere lo stesso con la scuola, il lavoro, l’energia, i porti, gli aeroporti, le autostrade, le ferrovie, i beni culturali e altro ancora.
L’ITALIA DELLA DESTRA è un paese che può generare ripulsa e indignazione, come per i morti nel mare di Crotone.
E l’Italia che piacerebbe a Calderoli e Zaia certo non piace a noi. Bisogna battersi contro il ddl Calderoli, ma anche puntare a una modifica degli artt. 116.3 e 117, come fa la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che si può firmare online con lo Spid su www.cordinamentodemocraziacostituzionale.it

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BARBARIE DI GOVERNO. Al netto delle dichiarazioni che dimenticheremo, al netto delle responsabilità che saranno verificate, c’è un problema centrale. Perché il primo a occuparsi dei naufraghi è il ministro dell’interno?
Per i «carichi residuali» operazioni di polizia

Il capo di Gabinetto fa carriera. Piantedosi è chiamato da Salvini al ministero dell’interno e ci resta con Lamorgese. Garantisce la continuità di un comportamento istituzionale che non è mutato nella sostanza almeno dai tempi di Minniti.

Cambia la punteggiatura, ma non il contenuto. Gli accordi con la Libia li votano (quasi) tutti. Quelli che prevedono il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica. E conosciamo (o dovremmo conoscere) le storie dei migranti che in Libia vengono carcerati e torturati. Gli uomini venduti come schiavi e le donne stuprate. Non sempre, ma spesso.

Ma perché il ministro dell’interno sta in prima linea quando si parla di migranti? Perché non quello degli esteri visto che provengono da terre oltre i confini? Persino il ministro della Sanità potrebbe interessarsene. In un paese civile dovrebbe essere lui a prendere la parola. Proprio un medico, Orlando Amodeo, lo dice poche ore dopo il naufragio che si poteva intervenire e provare a salvare i naufraghi.

Un’imbarcazione con circa 200 persone stipate è partita dalla Turchia. Donne, uomini e soprattutto tanti ragazzi e bambini che scappano dall’inferno dell’Iraq, Iran, Afghanistan e Siria. Non si fermano in Grecia dove rischiano il primo respingimento. Se passassero quello ne rischierebbero altri lungo i Balcani. Così puntano all’Italia. E dovrebbe essere una gioia che qualcuno ci consideri un paese democratico.

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Il governo sul luogo del relitto

Un aereo di Frontex li avvista e sostiene di aver subito avvisato le autorità italiane. L’imbarcazione è precaria, viene colpita da un’onda o sbatte contro qualcosa. Si rovescia, si spezza e finiscono tutti in acqua. Stanno a poche decine di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, interviene la Guardia di Finanza che fa subito dietrofront. Per le sue imbarcazioni il mare è troppo grosso.
Infatti la prima notizia è che non si poteva operare un salvataggio perché la tempesta lo impediva. Ma il medico Amodeo, che per anni ha salvato naufraghi in mare, lo dice subito in diretta televisiva che la Guardia Costiera può uscire anche in quelle condizioni.

Anche peggiori. Il ministro questurino Piantedosi lo redarguisce, quasi lo minaccia. Ma la dichiarazione è smentita pochi giorni dopo dal comandante della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi. «A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4, ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8».

E allora perché s’è mossa la Finanza e non la Guardia Costiera? Il ministro competente è l’ex capo di Piantedosi. È Salvini e si occupa di infrastrutture e trasporti. Viene chiamato in causa mercoledì 1 marzo dalla neo segretaria del Pd Elly Schlein che menziona anche Giorgetti, ministro di economia e finanze, quello competente in merito alla Guardia di Finanza. Schlein chiede le dimissioni di Piantedosi anche solo per le dichiarazioni che appaiono subito scandalose.

Prima dice che i migranti non dovrebbero partire, che è da irresponsabili soprattutto per i genitori che portano i bambini. Poi si corregge e dice che andrà lui a prenderli direttamente nei loro paesi. Poi ne dice una più grossa. «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità». Lui resterebbe a battersi per il suo paese! E lo dice a Cutro, a pochi metri dalle decine di bare in fila dentro un palasport.

Al netto delle dichiarazioni che dimenticheremo, al netto delle responsabilità che saranno verificate, c’è un problema centrale. Perché il primo a occuparsi dei naufraghi è il ministro dell’interno?

Cerco una definizione ufficiale per capire il suo ruolo. La trovo nel primo articolo della legge 121/81. Leggo che «è responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica». Questo è il problema centrale. Tranne la breve esperienza dell’operazione Mare Nostrum, dai tempi di Maroni fino a i nostri governi la migrazione è un problema di ordine pubblico. Gli stranieri sono potenziali criminali che vengono a rubare e stuprare, altre volte sono indecorosi nullafacenti che campeggiano nelle piazze col telefono in mano. Insomma sono nemici, invasori.

Domenica 26 febbraio 2023, prima dell’alba, a pochi metri dalla costa calabrese, si muovono i finanzieri, non i soccorritori.
Per il governo non hanno bisogno di aiuto, ma di controllo. Come trafficanti di sigarette, come oggetti in un container.
In fondo Piantedosi è quello che faceva scendere i migranti a singhiozzo da una nave che li aveva salvati. E definiva i naufraghi che stavano ancora a bordo con una parola tecnica, ricordate? Carico residuale

 
 
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INTERVISTA. Parla il dirigente nazionale dell'organizzazione, tra gli organizzatori della fiaccolata contro la disumanità ieri sera nelle vie di Crotone. «Presenteremo un esposto in Procura per accertare se vi sia stato o meno l’omesso soccorso»

Sestito (Arci): «Una commissione d’inchiesta per chiarire. Il ministro si dimetta» Filippo Sestito

Dirigente nazionale dell’Arci, Filippo Sestito è stato tra gli organizzatori della fiaccolata contro la disumanità ieri sera nelle vie di Crotone.
Il ministro Piantedosi nella sua visita lampo a Crotone non ha risposto alle domande sui soccorsi. La Capitaneria di porto da ieri è in silenzio stampa.

Cosa chiedete al governo?

Semplicemente la verità: cosa è successo dall’avvistamento del barcone dei migranti avvenuto ad opera di un aereo Frontex alle 22 circa di sabato notte fino al momento del naufragio? Perché una vedetta della Guardia di Finanza è uscita e poi è rientrata senza, a quanto ci è dato sapere, aver allertato nessuna delle altre autorità che dispone dei mezzi necessari per soccorrere i migranti in balìa delle acque, come già successo tante altre volte davanti alle coste crotonesi? È stato ufficialmente aperto un evento Sar? Quanti e quali mezzi della Guardia Costiera potevano intervenire e perché non sono intervenuti? In più il silenzio stampa della Capitaneria di Porto lascia intendere che vi sia un interesse da parte del Ministro competente a non comunicare all’esterno le notizie e le informazioni in suo possesso. Chiediamo inoltre al Ministro cosa sia successo in tutte quelle ore trascorse dall’avvistamento al naufragio e se è vero che una telefonata fatta con un cellulare internazionale dal caicco ormai alla deriva verso le secche antistanti la costa di Steccato di Cutro sia stata effettuata intorno alle 4 del mattino di domenica ai carabinieri di Crotone che, precipitandosi sul posto, si sono immediatamente gettati in mare salvando alcuni naufraghi.

Al manifesto la Croce rossa ha ricordato il soccorso e lo sbarco di novembre 2021 al porto di Crotone. Anche allora le condizioni meteo erano “proibitive”. Malgrado ciò la procedura fu impeccabile e le motovedette della Guardia costiera allora si mossero. C’è qualcosa che non torna?

Non c’è solo il soccorso del novembre 2021, anche nel gennaio 2015 una nave mercantile alla deriva e senza equipaggio a circa 80 miglia dalle coste crotonesi con quasi 400 migranti a bordo venne soccorsa nonostante condizioni marine avverse, con l’impiego di elicotteri dell’aeronautica militare, personale medico, soccorritori e mezzi della Guardia Costiera. In questo caso invece, senza nessun dubbio, c’è qualcosa che non torna. Lo testimoniano tutti coloro che nei mesi scorsi e negli anni precedenti hanno partecipato alle operazioni di soccorso anche con condizioni marine molto peggiori. Il fatto poi che la Guardia Costiera non avrebbe ricevuto nessuna comunicazione per attivarsi è segno evidente che, con molta probabilità, il Ministero degli Interni e quello delle Infrastrutture guidato da Salvini abbiano agito come un tutt’uno. Del resto, per quanto riguarda i soccorsi in mare, gli sbarchi e tutte le altre attività relative alla prima accoglienza, le professionalità e l’esperienza del personale italiano sono ad altissimi livelli.

In conclusione, sulla base della vostra esperienza pensate che si potevano salvare i 200 migranti di Smirne o perlomeno provarci. E quali passi pensate di intraprendere per far emergere la verità?

Innanzitutto, per fare in modo che quanto avvenuto non resti solamente una sterile polemica politica, presenteremo nei prossimi giorni un esposto alla Procura di Crotone per accertare se in questa vicenda vi sia stato o meno l’omesso soccorso. Chiederemo, inoltre, a tutti i parlamentari, a partire da quelli calabresi, di istituire una Commissione di inchiesta da affidare all’opposizione, per maggiore trasparenza, volta ad individuare le eventuali responsabilità della catena di comando inter-istituzionale. Nelle prossime ore lanceremo anche una manifestazione nazionale, da svolgersi a Crotone, contro la disumanità al potere. Nel frattempo sarebbe opportuno che il Ministro Piantedosi si dimettesse dal suo incarico perché, ora dopo ora, sembra prendere corpo l’ipotesi che la strage dei migranti avvenuta davanti le coste crotonesi sia strage di Stato

 

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