La Farnesina sponsorizza navi-ospedale e corridoi marittimi ma congela tutti i fondi destinati alla Palestina, non solo a Gaza. Tagliate fuori ong e Agenzia per la Cooperazione. L’aiuto italiano va a Israele: un altro milione di euro in armi a dicembre, 15 milioni in tre mesi
STRISCIA DI SANGUE. Roma fa proclami ma con pochi fondi l’Aics a Gerusalemme opera a scartamento ridotto.
Camion con aiuti umanitari fermi a Rafah - Ap
«La cosa che mi ha stupito è che all’Aics, l’agenzia della cooperazione governativa italiana, non ricevevamo più direttive da Roma, nessuno ci diceva se sarebbero arrivati meno fondi o più fondi, fate questo o fate quello. Si è navigato a vista. Si procedeva sulla base di ciò che leggevamo nelle interviste fatte dai media al ministro degli Esteri, alla Premier, al sottosegretario agli Esteri». Guglielmo Giordano, fino a qualche settimana fa direttore dell’ufficio Aics di Gerusalemme, ricorda così i giorni e i mesi successivi al 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco nel sud di Israele. «Tutto a un tratto è calato il silenzio e siamo stati abbandonati a noi stessi – aggiunge Giordano, ora in pensione – abbiamo cercato di fare qualcosa perché (a Gaza) la gente moriva, i bambini morivano. E per uno come me che per 40 anni ha fatto la cooperazione umanitaria vedere in certe condizioni gli stessi bambini che fino al giorno prima aiutavamo, facendo scuole, giardini d’infanzia, attività ricreative, e non riuscire nemmeno a fargli arrivare un sacco di riso, mi ha lasciato di stucco».
Quel vuoto derivava dalla paura – se non dal panico – che ha attraversato la Farnesina dopo il 7 ottobre. Le settimane successive sono state segnate da una vera e propria caccia alla presunta «collaborazione italiana con Hamas» e più in generale con i palestinesi. Sotto la pressione di Israele che vedeva Hamas ovunque e di certi giornali, radio e tv che riferivano di «finanziamenti» di Ong italiane alle «strutture del terrorismo islamico», al ministero degli Esteri hanno perduto la testa. Svetta su tutti l’articolo pubblicato il 24 ottobre 2023 dal Giornale, «Fondi italiani ai terroristi palestinesi», nel quale, sulla base di un dossier di Ngo Monitor – sito legato all’ultradestra israeliana – si accusava l’Aics di aver destinato 23 milioni e 200mila euro a ong italiane «filopalestinesi» vicine al Fronte popolare. «Ai piani alti hanno deciso, senza annunciarlo ufficialmente, di congelare la cooperazione con i palestinesi. Da qui l’abbandono dell’Aics a Gerusalemme al quale peraltro è stato chiesto di fornire informazioni sull’orientamento politico di suoi consulenti, dipendenti ed esperti palestinesi», ci racconta una fonte della Farnesina che ha chiesto di rimanere anonima. «All’improvviso – prosegue la fonte – i palestinesi sono diventati tutti, senza differenze, dei pericolosi alieni da controllare e isolare. Nei primi due mesi dopo il 7 ottobre, la Farnesina, in definitiva il governo, ha fatto tutto ciò che chiedeva Israele o che
Commenta (0 Commenti)REGIONALI. L'analisi del voto: «Rispetto alle politiche 2022, un pezzo di elettorato 5S diserta le urne, una parte di quello del terzo polo ha scelto Marsilio»
Il rieletto presidente dell'Abruzzo Marco Marsilio - LaPresse
Al netto della fortunata vittoria di Alessandra Todde su Paolo Truzzu, le tendenze sottostanti le elezioni regionali in Sardegna a Abruzzo «sono simili». Parola dell’Istituto Cattaneo di Bologna, che ha analizzato i due appuntamenti elettorali. «L’area elettorale del centrodestra si consolida, grazie ad un astensionismo relativamente basso tra i suoi elettori del 2022 e a piccoli apporti aggiuntivi che vengono per lo più dall’astensione o dal cosiddetto Terzo polo».
Segno che, nell’elettorato di centrodestra, «la fiducia nel governo guidato da Giorgia Meloni rimane stabile». Il cosiddetto campo largo, tanto nella geometria sarda (Pd, M5s, altri minori da un lato; Azione, Iv, +Europa dall’altro), tanto in quella abruzzese (tutti insieme), soffre di fuoriuscite più consistenti verso l’astensione o di flussi diretti verso la coalizione avversaria.
Un fenomeno che il Cattaneo ritiene quasi inevitabile, visto che l’elettorato di quest’area è attraversato da «varie linee di frattura al suo interno», oltre che «da una reciproca ostilità» deliberatamente tra i leader di partiti potenzialmente alleati (in particolare Conte e Calenda, ndr), da una «diversità di posizioni su vari temi (di politica interna ed internazionali) più profonda rispetto all’elettorato di centrodestra».
«Non a caso, le due componenti più volatili di questa area sono rintracciabili da un lato tra gli elettori del M5S e dall’altro tra gli elettori della componente liberale ed europeista (Azione, Iv, +Europa)». Nel caso dei 5S prevale, come già in passato, «la tendenza ad astenersi in occasione di elezioni locali». Nel secondo, «la tendenza a ricollocarsi o a tornare verso il centrodestra, soprattutto quando, come nel caso abruzzese, i partiti dell’area liberale ed europeista sono alleati con il M5s».
In questo quadro, «gli equilibri all’interno del centrodestra rimangono abbastanza stabili, con variazioni che di volta in volta riflettono specificità locali». Forza Italia «si giova della stabilità del quadro governativo e si riafferma come forza moderata all’interno della maggioranza, in un rapporto proficuo con la presidente del Consiglio», ma non regisstra «alcun balzo in avanti».
Secondo il Cattaneo il successo delle destre nella provincia de L’aquila «riflette una caratteristica di lungo termine del voto abruzzese, questa volta più accentuata». Ma questo dato «non è risultato determinante» per la vittoria di Marsilio «perché, a parte il consueto successo del centrosinistra nelle grandi città, e segnatamente a Pescara, il centrodestra è risultato prevalente in tutte le province». (red.pol.)
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La sconfitta in Abruzzo malgrado la coalizione ampia complica l’alleanza tra Pd e 5 Stelle alle prese con accordi difficili in Basilicata e Piemonte. Per Schlein si va avanti, Conte parla di risultato «modesto» ma non rompe. A destra festeggiano tutti, tranne Salvini
CENTROSINISTRA. E adesso? Facile dire che bisogna «seguire la scia della Sardegna», come fa Giuseppe Conte, visto che sull’isola si era vinto per un soffio, ma è dalla sconfitta in Abruzzo […]
Giuseppe Conte ed Elly Schlein
E adesso? Facile dire che bisogna «seguire la scia della Sardegna», come fa Giuseppe Conte, visto che sull’isola si era vinto per un soffio, ma è dalla sconfitta in Abruzzo che bisogna partire. Pesante, perché colpisce una coalizione larga come quasi mai e perché in qualche modo le opposizioni avevano finito col credere che il vento per il governo stesse davvero cambiando. Invece la prima lezione che arriva dalla domenica elettorale è che le destre sono ancora forti e salde, a dispetto delle loro incompetenze e dei disastri alla guida del paese. In Abruzzo crescono, anche se il dato prevalente è il riequilibrio dei pesi interni, per una volta a favore di Forza Italia e ancora una volta a danno della Lega. Il vento non sta cambiando affatto, nemmeno in Europa come dimostra il Portogallo. L’ultimo paese dei 27 al voto politico generale prima delle europee di giugno ci consegna un altro cattivo presagio.
La sconfitta di D’Amico conferma che la coalizione larga è una condizione necessaria per battere le destre ma niente affatto sufficiente. Tenere insieme Pd e 5 Stelle, ma anche la sinistra di Avs e, in questo caso, i centristi di Calenda e Renzi è già di per sé operazione complicata assai, eppure è ancora solo il primo passo. Perché l’alleanza funzioni elettoralmente deve superare altri due scogli e in Abruzzo non c’è riuscita.
Deve convincere i cittadini, che hanno ormai poca fiducia nella politica, di rappresentare un’alternativa reale alle destre, credibile malgrado le prove del passato del centrosinistra e capace di incidere sui loro problemi concreti. Per dirla in sintesi, il principale problema del “campo largo” è che in una regione che fa i conti con pessimi servizi essenziali, a cominciare dalla sanità, l’astensionismo è cresciuto pur in presenza di una coalizione sulla carta competitiva con chi
Leggi tutto: Quando l’unione non basta - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)REGIONALI. Le proiezioni indicano una vittoria di Marsilio: 54,7% contro 45,3%. M5S crolla al 7%, il Pd tiene, Fdi perde quasi 4 punti rispetto al 2022 ma resta il primo partito
Marco Marsilio durante il comizio di chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionale in Abruzzo, Pescara, 05 marzo 2024 - ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Il centrosinistra non ha fatto l’impresa in Abruzzo. La seconda proiezione di Noto Sondaggi attorno a mezzanotte e trenta chiude la partita: il governatore uscente Marco Marsilio di Fdi è stimato al 54,7%, lo sfidante del centrosinistra Luciano D’Amico si ferma al 45,3%. Un risultato assai più netto di quanto suggerito dal clima dalla vigilia, e dai primi exit poll delle 23 che indicavano un testa a testa come quello di due settimane fa in Sardegna.
I dati delle proiezioni sono stati salutati con dei boati al comitato di Marsilio, mentre le bocche restano cucite in quello di D’Amico, dove si attendono dati reali prima di qualsiasi commento. La delusione è comunque palpabile, dopo che nelle ultime settimane la campagna elettorale del centrosinistra aveva preso ritmo e fiducia, mentre la destra era parsa molto nervosa.
Il dato dell’affluenza si è fermato al 52%, un punto in meno delle regionali del 2019. Un dato che ha evidentemente penalizzato il centrosinistra, che puntava sul recupero dei tanti elettori progressisti che negli ultimi anni si erano spostati sull’astensione. Un tentativo che non è riuscito, nonostante gli sforzi di Schlein e Conte. Il segretario regionale del Pd Daniele Marinelli parla di “grave disaffezione e grave distanza dei cittadini nei confronti della politica”.
I primi dati sulle liste segnano un tracollo del M5S, che scende al 7% dal 18.5% delle politiche 2022. Il Pd è al 18%, in leggero aumento rispetto al 16,6% delle politiche. A destra Fdi al 24% (due anni fa aveva il 27,9%) , Fi sale al 14,3%, la Lega tiene rispetto a due anni fa: 8,7%,
Uno dei primi commenti arriva dal sindaco di Pescara Carlo Masci, di Forza Italia: “Mi sembra che Marsilio, rispetto a 5 anni fa, abbia migliorato la sua performance”. Nel 2019 il candidato di Fdi si era affermato col 48%.
Stefania Pezzopane, ex presidente della Provincia de L’Aquila (Pd) e ora consigliera comunale di opposizione parla di “uno scontro che era difficilissimo. Comunque sia il centrosinistra è ripartito, una grande unità e un campo larghissimo, siamo in campo. E’ importante quello che abbiamo fatto, può essere un messaggio che mandiamo all’Italia”
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Siccome il falso ha il sopravvento sul vero, ecco che arriva la versione «umanitaria» dell’Occidente, degli Usa e in coda dell’Ue. Siamo a cinque mesi di massacri, di tiro al piccione sui civili, con 31mila morti tra donne e bambini e più di 71 mila feriti e mutilati.
Con due milioni e 300mila esseri umani costretti a fuggire a sud e a nord su un fazzoletto di terra, per una «guerra» impari autorizzata come vendetta della strage di Hamas del 7 ottobre. Con un intero popolo ridotto alla fame mentre seppellisce i familiari nelle fosse comuni. Allora ecco che Joe Biden – per Trump i palestinesi nemmeno esistono – , alle prese con le primarie democratich, scopre il forte peso elettorale del dissenso verso la sua politica pro-Israele tra l’elettorato arabo-americano, tra i giovani del movimento ebrei anti-sionisti e tra gli studenti dei campus universitari; così si dichiara dedito al «soccorso umanitario». In realtà corre al soccorso di se stesso in vista delle presidenziali Usa.
I segnali di questa iniziativa a dir poco tardiva e propagandistica sono ambigui e vergognosi. In primo luogo è il segno di un fallimento, come dice l’Alto funzionario Usa Jeremy Konyndyk ripreso ieri da Michele Giorgio sul manifesto, per l’incapacità dimostrata da Biden a frenare Netanyahu, ma allo stesso tempo rende evidente il
Leggi tutto: Gaza, per un popolo alla fame il porto di nebbie di Biden - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)GUASTAFESTA. C'è ancora chi si stupisce come nei cortei di Non Una di Meno le bandiere palestinesi sventolino accanto ai cartelli per la sanità pubblica, le rivendicazioni economiche accanto a quelle per la libertà di scelta. C’è ancora chi non ha capito cosa significa transfemminismo: una visione complessiva della società che vede in guerre, massacri, colonialismo l’espressione più alta della violenza patriarcale
Una macchia fucsia si prende Roma e decine di città italiane e lo fa come lo ha fatto sempre: ma quale pane e lavoro, noi vogliamo gioia e rivoluzione. Le piazze transfemministe sono così, arrabbiate, allegre, sfidanti, ironiche, provocatrici. Si canta, si balla perché se non si balla che rivoluzione è.
Questo vede chi attraversa i cortei di Non Una di Meno. La rabbia come arma, l’allegria come sfida a chi ci vuole grigie, la presenza sfacciata di adolescenti e studenti medie, con i cartelli più urticanti e più veri. C’era anche la Palestina nelle bandiere, gli slogan, la kefiah al collo. Dopotutto stava nel manifesto di chiamata alla piazza.
Eppure ieri a leggere i commenti a caldo di molti giornalisti e politici pareva che Nudm fosse la filiale di un’organizzazione salafita. Nell’epoca di Giorgia Meloni, prima donna a capo di un governo, che restringe i diritti di donne, poveri, migranti, trans stupisce che qualcuno si stupisca ancora come nei cortei di Nudm le bandiere palestinesi sventolino accanto ai cartelli per la sanità pubblica, le rivendicazioni economiche accanto a quelle per la libertà di scelta, donne e persone trans o queer si incontrino invece di
Leggi tutto: Nelle piazze transfemministe la liberazione di tutte e tutti - di Chiara Cruciati
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