Vietati alle medie, anzi no. Ma serve il permesso dei genitori. Sulle ore dedicate alla sessualità la destra va in tilt e il ministro Valditara bersagliato alla camera dalle critiche perde le staffe: «Vergogna, sfruttate i femminicidi» e va via. Le opposizioni: «Si scusi o blocchiamo l’aula»
La mala educazione Le opposizioni bloccano il provvedimento: «Frattura tra parlamento e governo»
Il ministro Valditara alla Camera durante il question time
Un uomo entra nella Camera dei deputati, urla, insulta i parlamentari e se ne va. Sarebbero intervenuti i questori di Montecitorio e probabilmente le forze dell’ordine se si fosse trattato di una persona qualunque. Ma era un ministro della Repubblica e non è stato allontanato dall’Aula.
LA GIORNATA DI IERI del leghista Giuseppe Valditara si è rivelata un assurdo per le istituzioni. Il ministro dell’Istruzione (e merito) chiamato a riferire sulla legge sull’educazione sessuoaffettiva, dopo la parziale retromarcia del suo partito, è arrivato in ritardo e senza sentire gli interventi precedenti, ha preso la parola urlando: «È stato detto che con questo disegno di legge impediremmo l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, di informare i nostri giovani sui rischi delle malattia sessualmente trasmesse: è falso». «Sono indignato che abbiate detto che questa legge impedisca la lotta contro i femminicidi», ha continuato, per poi gridare all’indirizzo delle opposizioni: «Vergognatevi!». Poi ha lasciato la Camera per recarsi in Puglia per la campagna elettorale.
IN AULA È SCOPPIATA la bagarre anche perché le frasi incriminate non erano state pronunciate negli interventi precedenti. «Chiedo formalmente di richiamare il ministro», l’invito inascoltato del deputato Marco Grimaldi (Avs). «Quel vergognatevi deve essere ritirato, sono parole indegne e non rispettose dell’opposizione in parlamento», l’intimazione del Pd. Ma Valditara stava già per lasciare Roma, salvo rientrare improvvisando delle scuse dopo che il capogruppo di Forza Italia, Paolo Barelli, accompagnato da altri deputati, lo ha invitato a dare un «contributo per svelenire il clima, riportando la discussione ai toni giusti». «Mi dispiace se qualcuno si è sentito offeso – ha detto Valditara -. Contestualizziamo le mie affermazioni che non erano rivolte a nessuno di voi in particolare». Un tentativo senza successo.
«MI SONO SENTITO OFFESO – ha detto il dem Bruno Tabacci -. Sono nostalgico del linguaggio parlamentare che ho studiato da Moro, Berlinguer e Almirante: c’è una retrocessione». Parla di «totale mancanza rispetto per il parlamento e «di modo rabbioso di rivolgersi alle opposizioni» il segretario di Più Europa, Riccardo Magi. «Quello che è successo è grave – ha spiegato la dem Simona Bonafé -. Si è creata una frattura tra parlamento e governo che non ci permette di andare avanti a votare questo provvedimento. Chiediamo la convocazione di una capigruppo per riorganizzare i lavori». Richiesta inizialmente non accolta, comportando una specie di ostruzionismo da parte del centro sinistra che, non avendo ottenuto né la sospensione dell’esame del ddl, né il suo ritorno in commissione, ha iniziato a intervenire in massa. Solo in serata è stata accordata la riunione richiesta, mentre la discussione dovrebbe continuare oggi. Ma «faremo in modo che il ddl slitti nelle settimane successive», la promessa del M5s.
LE LEGGE PROPOSTA dal ministro prevede l’obbligo di consenso scritto dei genitori per ogni attività scolastica, curriculare o extracurriculare, inerente tematiche sulla sessualità e
Leggi tutto: Educazione affettiva: lo show in aula di Valditara con insulti - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Non regge il minimo Respinto un ricorso legale da parte di Svezia e Danimarca contro un’«ingerenza» di Bruxelles. La sentenza penalizza gli sforzi per salari equi. Sul lavoro povero l’Italia è senza strumenti
Leggi ancheSalario minimo, cala il sipario. La rivolta delle opposizioni
Flash mob al Senato per il salario minimo – foto La Presse
In una sentenza con importanti implicazioni per i salari in tutto il continente, la Corte di giustizia europea ha mantenuto ieri una parte significativa della direttiva europea sul salario minimo, respingendo un ricorso legale da parte di Svezia e Danimarca, che sostenevano un’eccessiva ingerenza da parte dell’Unione Europea. Pur avendo ritenuto che la direttiva fosse sostanzialmente conforme ai Trattati Ue e avesse mantenuto la maggior parte delle tutele della contrattazione collettiva, la Corte ha annullato la disposizione che elencava i criteri di cui gli Stati membri con salari minimi legali devono tenere conto nella definizione e nell’aggiornamento di tali salari, nonché la norma che impedisce la riduzione di tali salari in caso di indicizzazione automatica. L’annullamento di queste misure non è utile per i futuri sforzi volti a tutelare salari equi.
QUEST’ULTIMA osservazione è stata avanzata dal gruppo «The Left» al parlamento europeo e traduce una doppia preoccupazione. La Corte Ue ha indebolito la già incerta capacità della legislazione europea di portare i governi nazionali ad adottare un salario minimo, oltre che di aggiornarlo. In secondo luogo la Corte Ue ha escluso che i salari minimi recuperino l’inflazione lì dove sono in vigore. Di solito sono i governi a prendere simili decisioni, teoricamente consultando le «parti sociali». Tuttavia, un simile indebolimento della direttiva Ue non aiuterebbe chi sostiene l’indicizzazione dei salari, per di più in un momento della loro più forte compressione, mentre i profitti non tassati manifestano una grande esuberanza in Europa, e ovunque.
LA DECISIONE della Corte di giustizia «rafforza il modello sociale europeo, basato su salari equi e adeguati e su una solida contrattazione collettiva – ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen – Perché porta sia equità sociale che benefici economici. Questa è una buona notizia per i lavoratori, soprattutto per quelli con salari bassi, e per i datori di lavoro in tutta Europa che pagano salari equi. Una pietra miliare». Dichiarazione, quella di von der Leyen che suona più che altro formale, e non risponde alla realtà. In tutta Europa, i salari hanno perso potere di acquisto a causa dell’inflazione da profitti e la contrattazione soffre di una pesante crisi. Per non parlare dell’Italia dove un salario minimo non esiste nemmeno, i salari sono bloccati da trent’anni e la contrattazione non riesce a recuperare l’inflazione accumulata nel 2022 e 2023. In questa situazione rispolverare le antiche vestigia del «pilastro sociale», come ha fatto von der Leyen, è uno sberleffo. Il «pilastro», che conterrebbe tra l’altro un reddito minimo europeo, oggi giace sepolto sotto le macerie di un Europa avviata verso l’economia di guerra.
IL PRONUNCIAMENTO della Corte Ue è stato recepito con soddisfazione dai partiti dell’opposizione e dai sindacati come Cgil e Uil. Tutti hanno
Leggi tutto: Corte Ue: il salario minimo è valido, Meloni è immobile - di Roberto Ciccarelli
Commenta (0 Commenti)Da Camp Bucca allo Studio ovale: il leader (ex) qaedista Ahmed al-Sharaa accolto da Trump alla Casa bianca. In dote porta la ricostruzione della Siria e una base per i marines. Sorrisi, strette di mano e, per ora, una sospensione parziale delle sanzioni
Il buon terrorista Il presidente qaedista accolto alla Casa bianca per scrivere il futuro, cupo, della Siria
Sostenitori del presidente della Siria Ahmed al-Sharaa fuori dalla Casa bianca a Washington – foto Jacquelyn Martin/Ap
Il viaggio che ha condotto alla Casa bianca Abu Mohammed al-Jolani, al secolo Ahmed al-Sharaa, è stato fulmineo e costellato di record personali. L’ex leader di al Qaeda in Siria, l’uomo su cui pesava una taglia da dieci milioni di dollari spiccata dal Pentagono, non aveva fatto in tempo a insediarsi a Damasco – dopo la caduta del presidente Bashar Assad, l’8 dicembre 2024 – che le cancellerie occidentali già lo riconoscevano legittimo leader di uno dei più importanti paesi dell’Asia occidentale.
DA LÌ È STATO un crescendo, per nulla intaccato da elezioni farsa, pogrom e sparizioni forzate. Il 7 maggio scorso è stato accolto all’Eliseo dal presidente francese Macron. Una settimana dopo a Riyadh ha stretto la mano a Donald Trump ricevendone in cambio una pioggia di complimenti («un tipo attraente…dal passato forte») e un allentamento delle sanzioni che strangolano la Siria da decenni. A settembre ha tenuto il suo discorso all’Assemblea generale Onu – doppio record: primo qaedista e primo leader siriano dal 1967 – e ha dialogato in pubblico con David Petraeus, l’uomo che da capo della Cia lo aveva sbattuto a Camp Bucca, prigione di massima sicurezza Usa in Iraq.
Una marcia vittoriosa che ieri ha toccato il suo distopico apice su un campo da basket a Washington: al-Sharaa ha messo in mostra le sue abilità con un gruppo di funzionari militari statunitensi. Non funzionari qualsiasi: uno era Brad Cooper, a capo del Comando centrale Usa, e uno il generale Kevin Lambert, comandante della coalizione anti-Isis in Iraq. Al-Sharaa ha fatto un paio di canestri.
Qualche ora dopo era davanti a Trump nello Studio ovale. Un incontro che alla vigilia era dato per altamente simbolico, e così è stato: il presidente siriano ha avuto la sua photo opportunity e la stretta di mano del tycoon, ma non una conferenza stampa congiunta. La ragione va probabilmente cercata altrove, a Tel Aviv, contraria a elevare Damasco a partner forte della rete Usa nella regione. Il suo podio al-Sharaa lo ha avuto anche dopo il bilaterale, fuori dalla Casa bianca, dove è stato accolto da una piccola folla di siriani della diaspora in festa.
L’incontro è durato almeno un’ora e mezzo, tanti i temi sul tavolo. A partire dall’adesione di Damasco alla coalizione anti-Isis accanto a un’ottantina di paesi, un atto molto più che simbolico: serve a Washington per ribadire l’espulsione di Mosca, che da protettrice del precedente regime si era assicurata la presenza militare sulla costa mediterranea. A ciò si aggiunge la prossima presenza militare statunitense in una base aerea siriana alle porte della capitale, area da demilitarizzare per poter lanciare una sorta di patto di non aggressione con Israele. In attesa di dettagli, tale presenza significa cooperazione militare tra forze siriane e Usa: il migliaio di marines oggi nel paese hanno finora sostenuto le Syrian Democratic Forces, le unità di autodifesa del nord-est siriano a guida araba e curda, che Washington preme perché siano integrate nel nuovo esercito nazionale.
MA SOPRATTUTTO sul tavolo c’erano le sanzioni e la totale rimozione del Caesar Act, l’atto Usa che si rinnova in automatico ogni sei mesi e la cui fine richiede l’approvazione del Congresso. In attesa del via libera – non del tutto scontato anche per l’opposizione dietro le quinte di Israele (una Siria debole, per Tel Aviv, è sempre meglio di una Siria amica) – il Dipartimento del Tesoro ha annunciato ieri la sospensione parziale del Caesar Act per 180 giorni. Restano fuori le transazioni con Russia e Iran.
UNA NOTIZIA di per sé non necessariamente negativa: come
Leggi tutto: Ricostruzione e marines, la dote di al-Sharaa a Trump - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Oggi un Lunedì Rosso dedicato al dentro e fuori.
Dentro il civico 26 di Federal Plaza, sede del tribunale dell’immigrazione di New York, un reportage racconta l’angoscia dei migranti che attendono un verdetto circondati dagli agenti dell’Ice in passamontagna.
Sulla soglia tra dentro e fuorii si trovano invece 1600 lavoratori e lavoratrici delle regioni del sud Italia che rischiano il licenziamento dai call center di Tim.
Fuori dalle stanze del consumo e dalle altre politiche attive di riduzione del danno, è dove resta l’Italia, dove sulle droghe continua a prevalere la soluzione repressiva.
Nella foto: Sostenitori di Zohran Mamdani durante la notte elettorale a New York, via Ap
https://ilmanifesto.it/newsletters/lunedi-rosso/lunedi-rosso-del-10-novembre-2025
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Commenta (0 Commenti)La città ha eletto il sindaco-immigrato Mamdani e ora attende la rappresaglia di Trump. La sua milizia anti-migranti è già in città, nel tribunale migratorio al 26 di Federal Plaza. Quegli agenti con il passamontagna nero potrebbero presto diventare migliaia
I corridoi del tribunale per l’immigrazione di Federal Plaza, affollati di agenti dell’Ice – Andrea Renault/Ap
«Ho parlato con il diavolo», mormora in spagnolo una donna alle persone che camminano insieme a lei mentre attraversa il corridoio bianco illuminato da una luce fredda, da ospedale. Il diavolo è un agente dell’Ice piazzato all’intersezione dei corridoi al 12esimo piano di 26 Federal Plaza.
È la sede del tribunale dell’immigrazione di New York, e quel particolare diavolo dispensa informazioni anche in spagnolo a chi passa di lì ammutolito in cerca dell’aula dove si terrà la propria udienza, del proprio avvocato, della sala d’attesa. Il volto nascosto da un passamontagna come quello dei colleghi che pattugliano il piano, non dà indicazioni per cortesia ma come asserzione del proprio potere: di essere lì, di incombere sul futuro di chi incrocia la sua strada, di poter esercitare la propria discrezionalità come e quando desidera.
«Sembra che tu ti sia perso», grida dietro sibillino a un uomo di passaggio che rifiuta di parlargli.
Mentre in città si festeggia l’elezione di Zohran Mamdani, dentro il tribunale l’occupazione degli agenti dell’immigrazione inviati dall’amministrazione Trump – il suo ritratto e quello di JD Vance accolgono i malcapitati all’ingresso dell’edificio – è iniziata da tempo: «Sono qui tutte le mattine, tutta la mattinata, da cinque mesi» ci racconta Carol, giornalista e fotografa che ha documentato tutte le atrocità avvenute in questi anonimi corridoi. Famiglie separate davanti agli occhi impotenti dei figli, persone portate via di peso implorando pietà, il giornalista sbattuto a terra dall’Ice qualche settimana fa che ha riportato una commozione cerebrale, il prete cattolico Fabian Arias – della Saint Peter’s Church – che offre conforto come può e che dispensa sorrisi a chiunque incroci il suo sguardo e non abbia il volto coperto.
TUTTE LE MATTINE, qui, un piccolo gruppo di giornalisti inizia la sua giornata di lavoro: testimoniare quello che sta accadendo dietro porte chiuse. In attesa che da un momento all’altro si riversi su New York quello a cui stiamo assistendo a Portland, Los Angeles, Chicago. Che il diavolo esca nelle strade.
Solo pochi giorni fa a Chicago, fra i tanti episodi che si stanno verificando da settimane, una maestra è stata trascinata fuori da un asilo da agenti armati, il volto coperto e senza mandato: ora è nel centro di detenzione di Broadview.
AL 26 DI FEDERAL Plaza gli agenti dell’Ice – riporta l’Intelligencer – hanno una lista: non si sa quali nomi ci siano sopra e perché, ma ogni tanto chi esce dalla regolare udienza a cui si è presentato per regolarizzare il proprio status viene arrestato e portato in un centro di detenzione. «Fortuna che non ci sono italiani sulla lista», scherza con noi una guardia di sicurezza dell’edificio. Anche le battute qui pesano come pietre, come quella che fa un collega rivolto a un’altra guardia del tribunale, un giovane uomo in cui si percepisce chiaramente il senso di impotenza per la presenza degli agenti dell’Ice: «Sono come i mostri sotto il letto di un bambino». La paura è dipinta sul volto di tutti quelli che passano da qui per la loro udienza, a stento contenuta dietro un silenzio angosciato: a eccezione di qualche chiacchiera fra giornalisti, guardie, o gli stessi agenti dell’Ice, al piano regna il silenzio dell’attesa e l’attenzione a malapena dissimulata per ogni mossa degli agenti.
IL PALAZZO È LORO: l’ufficio dell’Ice è la prima
Leggi tutto: Un giorno in pretura, insieme al diavolo - di Giovanna Branca
Commenta (0 Commenti)«Fanno sciopero sempre il venerdì». La Cgil annuncia la data del 12 dicembre e la reazione della destra è all’insegna del livore e dell’attacco ai diritti sindacali. Ma la protesta contro la manovra cresce insieme alle mobilitazioni per la Palestina e contro l’autoritarismo. L’occasione di un appuntamento unitario però è persa
La voce del padrone Cadono nel vuoto gli appelli per l’unità dei sindacati. Anche la Cisl manifesta il 13
Maurizio Landini durante l'assemblea dei delegati Cgil a Firenze – Ansa
«Le ragioni per proclamare lo sciopero sono fin troppe». Christian Ferrari, membro della segreteria nazionale, è netto dopo l’annuncio dello sciopero generale della Cgil per il 12 dicembre contro la manovra. Il sindacato ha proclamato ieri la sua giornata di lotta, trascinandosi i consueti attacchi della destra che lo ha eletto a nemico pubblico. Per il governo l’unica azione sindacale permessa è quella della Cisl, che fino a oggi ha sempre sostenuto l’esecutivo, avendo ottenuto da Meloni anche una rappresentanza di peso con la nomina a responsabile per il Sud dell’ex segretario generale Luigi Sbarra.
«I rappresentanti del governo che si chiedono il perché della mobilitazione e irridono quelli che fanno sciopero dovrebbero portare rispetto non a chi lo proclama ma alle persone che decidono di farlo, che con le tasse pagano il loro stipendio», ha replicato il leader della Cgil Maurizio Landini, concludendo l’assemblea dei delegati a Firenze. Obiettivo Meloni e Salvini che riproponevano l’accusa dello sciopero come mezzo per ottenere un fine settimana di vacanza.
«NON PROCLAMIAMO scioperi perché qualcuno ci è antipatico – ha detto Landini – ma perché ci sia un cambiamento reale nella vita delle persone». Per la Cgil «la manovra è ingiusta e sbagliata», mentre ci sono emergenze che la maggioranza non considera. A cominciare dal salario che non è stato aumentato a fronte dell’inflazione. «Chiediamo risorse aggiuntive perché il rinnovo dei contratti pubblici è una cosa seria non una mancia, una detassazione per tutti i contratti e che venga restituito il fiscal drag. Poi investimenti sulla sanità pubblica, a partire dalle assunzioni, su scuola e servizi sociali», spiegano da corso Italia.
Le risorse si troverebbero tramite la patrimoniale, o meglio «contributo di solidarietà» che riguarderebbe l’1% degli italiani, «mezzo milione di persone ricche – ha spiegato Landini -. Con un prelievo dell’1% avremmo 26 miliardi da investire». «Dobbiamo andare in piazza – ha detto il segretario generale – perché la manovra è fatta per andare sotto il 3%, per poter accedere ai prestiti europei per investire sulle armi. L’Italia si è impegnata a investire in armi 900 miliardi nei prossimi dieci anni, una follia: la sicurezza e la pace si costruiscono con la giustizia sociale e con il lavoro».
Andiamo in piazza perché l’Italia investirà in armi 900 miliardi nei prossimi dieci anni, una follia. Serve un contributo di solidarietà dall’1% dei ricchiMaurizio Landini
DAVANTI A UN PROGRAMMA tanto chiaro e con il focus sulle risorse spese per le armi, però, viene da chiedersi come mai il più grande sindacato d’Italia non abbia deciso di confluire nelle mobilitazioni già previste e con lo stesso scopo, come lo sciopero proclamato dall’Usb e altri sindacati di base per il 28 novembre. Dopo quanto successo per
Leggi tutto: Manovra, Cgil in sciopero il 12 dicembre. In solitaria - di Luciana Cimino
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