Cortei vietati, concerti silenziati, cerimonie annullate: la raccomandazione del governo, assai interessata, a ridimensionare il 25 aprile fa proseliti nelle amministrazioni, anche di centrosinistra. Ma oggi in tante città, a cominciare da Milano, le piazze antifasciste festeggiano con maggior convinzione e senza alcuna sobrietà la Liberazione che dispiace alla destra
https://ilmanifesto.it/edizioni/il-manifesto/speciale-25-aprile/pdf
25 aprile, ieri e oggi Milano, manifestazione del 25 aprile 2008, anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo – Andrea Pagliarulo
Milano, manifestazione del 25 aprile 2008, anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo – Andrea Pagliarulo
Se la destra che ha sempre considerato il 25 aprile una giornata triste perché «divisiva», se Giorgia Meloni che negli anni ha proposto di spostare la festa nazionale in una serie di date strampalate – tipo la fondazione del Regno d’Italia nel 1861 o l’entrata in guerra nel 1915, non stiamo scherzando -, se Ignazio La Russa che il 25 aprile lo ricorda per l’attacchinaggio dei manifesti a lutto, se tutti gli avanzi del fascismo e del neofascismo italiano oggi approfittano della morte di papa Francesco per imporre una cappa di moderazione, una specie di castigatezza di Stato nella celebrazione e nel racconto della Liberazione, perché dovremmo sorprenderci? E soprattutto, perché dovremmo accontentarli?
Opportunismo, conformismo e il mal inteso omaggio a un papa che cauto non lo è stato mai hanno portato alla cancellazione di diverse feste in giro per l’Italia. La squallida cerimonia minima in un parlamento già vuoto ha imposto il tono, dimesso, che la destra tanto ricercava. Proprio nell’anno in cui, invece, più importante è festeggiare a dovere. Non solo per l’anniversario tondo, ottant’anni, ma per quello che intorno a questo 25 aprile accade.
La destra gioca le sue carte con sempre maggiore spudoratezza, deragliando dal sentiero costituzionale senza alcuno scrupolo.
Felice di poter abbinare la parola «lutto» alla parola «Liberazione» sui suoi giornali e nel Palazzo dopo gli anni in cui potevano solo scriverlo sui muri nottetempo e poi scappare. Ma a noi tocca allora celebrare la Liberazione con il doppio dell’impegno e dell’intenzione. Senza perdere tempo a voler richiamare lo stato maggiore ex missino a una compostezza repubblicana: del resto il fatto stesso che insistano con il considerarla una festa «divisiva» spiega quanto ancora sentano loro le ragioni della parte sconfitta ottant’anni fa, i fascisti.
È questo il senso del continuo richiamo della destra a «tutti i morti» della guerra civile, tutti uguali come se fossero tutti morti per un improvviso cataclisma. Se la pietà ovviamente accomuna ogni vittima, la pietà non esclude il giudizio sulle scelte e il passare del tempo non può mai scolorarlo. C’è bisogno di una resistenza anche all’oblio, al quale evidentemente puntano gli inviti alla calma e alla moderazione di quest’anno. Al contrario, se c’è un lascito attualissimo della Resistenza è proprio l’insegnamento a tirarsi fuori dalle secche del tutto uguale ed essere capaci di scegliere.
Niente più di quello che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi dimostra come non ci siano
Leggi tutto: Bisogna saper scegliere - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)Fino a sette ore di fila per salutare in San Pietro papa Francesco. Mentre si prepara il funerale di sabato, l’omaggio di credenti e non credenti è già diventato una manifestazione di popolo. In piena sintonia con il messaggio di Bergoglio e niente affatto «sobria»
La santa massa Decine di migliaia in Vaticano, le porte restano aperte per la notte. L’omelia di Zuppi: «Francesco ci ha fatto ascoltare il grido dei poveri»
La salma di papa Francesco trasferita a San Pietro per l'ostensione – Ansa
«La morte fa un po’ paura, ma attraversata la porta c’è la festa»: varcato il portico che conduce a piazza San Pietro, quelli della Gioventù ardente mariana provano a farsi coraggio diffondendo un messaggio estrapolato da una delle promesse che il papa aveva rivolto al suo popolo. La prospettiva di Francesco, espressa con linguaggio popolare più che da speculazione teologica, strappa un timido sorriso. Appena oltre le transenne dalle quali comincia il serpentone che si infila nella basilica ci si accorge che la sobrietà, tanto invocata in questi giorni di piazze diverse e contemporanee, non è la condizione di questo popolo che spesso ricerca anche la profondità tutt’altro che moderata del messaggio di Bergoglio.
ATTORNO ALLA GENTE in attesa, si vanno disponendo le attrezzature per il grande evento del funerale di sabato. Sono comparsi i maxischermi, i carabinieri a cavallo presidiano l’afflusso, gli spazi per la stampa si sono moltiplicati assieme ai varchi con metal detector. Guardandosi attorno si riconosce uno dei fenomeni di questi giorni di mobilitazione ecclesiastica generale, segno dei tempi: preti che spediscono ai fedeli delle parrocchie via social la loro corrispondenza video. Così i follower che li seguono da casa possono osservare proprio lui, il loro parroco, al centro della cristianità e nel mezzo della fase calda.
VERSO LE 19 la sala stampa fa sapere che si sono contati già ventimila passaggi davanti al corpo del papa. Fuori, il paesaggio è inevitabilmente in bilico, tra ordine e caos: le file disciplinate di chi attende e lo sciame confuso della gente che si aggira tra il colonnato Vaticano e Castel Sant’Angelo. Si stimano dalle quattro alle sette ore per fare un passaggio davanti alla salma. Nel pomeriggio viene celebrata una messa in suffragio del papa. C’è il cardinale, considerato tra i papabili, Matteo Zuppi. Descrive lo scenario in cui era arrivato Bergoglio, parla di un «popolo immerso in una casa comune segnata da tante divisioni, incapace di pensarsi insieme, di ascoltare il grido dei poveri, che costruisce altre lance e distrugge le falci e dove, pericolosamente, ci si lascia persuadere dalla logica della forza e non da quella del dialogo, dal pensarsi senza o sopra gli altri e non dal faticoso ma indispensabile pensarsi insieme».
INVECE, PROSEGUE il presidente della Conferenza episcopale italiana, «ringraziamo per
Leggi tutto: Folla a San Pietro, stazione intermedia del lungo addio - di Giuliano Santoro ROMA
Commenta (0 Commenti)Festa della Liberazione Musumeci chiede «sobrietà» ma il tentativo non riesce: cortei confermati da Roma a Milano
Manifestazione in occasione delle celebrazioni del 25 aprile 79.mo anniversario della Liberazione svoltasi a Roma nel 2024 – LaPresse
La festa per la Liberazione è sempre fonte di imbarazzo per il governo Meloni. E dire che quest’anno lo staff della premier si era mosso per tempo per trovare un escamotage che liberasse Giorgia Meloni dall’obbligo istituzionale di celebrare il 25 aprile. L’agenda della presidente del Consiglio la vedeva in partenza per Samarcanda. «Viaggi di stato inderogabili», avevano commentato da Palazzo Chigi quando si faceva notare la fortunata, per Meloni, coincidenza. L’improvvisa morte di Bergoglio ha costretto la premier a posticipare la partenza, ma i suoi consiglieri possono lo stesso gongolare. Raro trovare migliore ribalta che i funerali di un papa con i capi di stato stranieri, inclusi il presidente degli Stati Uniti Trump e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Ancora più rara l’opportunità di oscurare la Liberazione dal Nazifascismo.
IERI IL CONSIGLIO dei ministri si è riunito per avviare la macchina organizzativa: ha deliberato cinque giorni di lutto di stato. Un afflato notevole, sembra di Meloni in persona, se si considera che per i precedenti tre pontefici erano stati solo tre. In mezzo, fatalità, c’è l’80esimo anniversario della Resistenza. E i ministri, sebbene coinvolti dal lutto, lo hanno avuto ben presente. Tant’è che alla fine del cdm il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci ha sottolineato che, sebbene siano state sospese le partite di calcio (ma non i concerti, Jovanotti si esibirà a Roma proprio in questi giorni), le cerimonie per il 25 aprile saranno «consentite, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone». Il lutto di stato finora imponeva bandiere dei palazzi pubblici a mezz’asta e una riduzione degli eventi ufficiali del governo, non il divieto di commemorare una data fondativa della democrazia. Ma in ogni caso Palazzo Chigi ieri ha nominato il capo della Protezione civile, Fabio Ciciliano, commissario ai funerali papali e al conclave. Ciciliano potrà «operare in deroga ad atti di indirizzo che disciplinano l’organizzazione di manifestazioni pubbliche ad alto impatto».
L’INVITO ALLA SOBRIETÀ ha fatto saltare dalla sedia le associazioni antifasciste e i partiti di centrosinistra. «È più forte di loro, anche stavolta – ha accusato Nicola Fratoianni di Avs – un’allergia alla liberazione dal fascismo e dal nazismo traspare da chi in questo momento occupa Palazzo Chigi». Angelo Bonelli di EuropaVerde ha ricordato a Musumeci che il 25 aprile «non è una festa in discoteca o un happy hour». Anche Giovanni Barbera, di Prc ha attaccato: «Non accetteremo mai che chi non ha mai fatto i conti con il proprio passato provi a mettere il bavaglio alla memoria collettiva: il 25 aprile non si autorizza, si celebra». «Forse Musumeci è abituato alla sobrietà di Salvini, che fino a ieri indossava magliette anti Bergoglio, nostalgiche di Ratzinger, con scritto “Il mio Papa è Benedetto”», ha affermato il segretario di PiùEuropa, Riccardo Magi. E l’Aned (Associazione nazionale ex deportati), si è detta sconcertata: «È una cosa sfacciata, surreale, un modo assurdo di strumentalizzare un lutto vero che condividiamo».
L’ANPI, che ieri festeggiava anche l’aumento degli iscritti rispetto allo scorso anno e la buona salute dell’associazione, ha confermato gli appuntamenti previsti in tutta Italia, pur nel cordoglio per il pontefice, la cui morte è stata «una gravissima perdita per gli antifascisti che hanno condiviso le sue parole di pace e di fratellanza su scala universale».
DUNQUE IL PRESIDENTE della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà come previsto a Genova per celebrazioni ufficiali (in forse la presenza del
Leggi tutto: Il governo usa il lutto di Stato per oscurare la Liberazione - di Luciana Cimino
Commenta (0 Commenti)Fratello solo Venuto «dalla fine del mondo», papa Francesco ha dato voce agli ultimi e lottato contro le ingiustizie, molto spesso isolato anche dalla sua Chiesa. Lascia un mondo a pezzi e riforme incompiute. Insieme a una testimonianza di impegno, fino alla fine
Incontro con il mondo In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il […]
In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il nostro manifesto nel 2016 a pubblicare e a distribuire insieme al quotidiano un libro che contiene uno dei più belli, e più significativi, discorsi di Bergoglio.
E questo in un tempo in cui ancora era possibile che altra pur paludata stampa uscisse con titoli come questi: «Papa Francesco benedice i centri sociali»; «Bergoglio incontra il Leoncavallo»; «Zapatisti, marxisti, Indignados, tutti dal papa». (In seguito capirono che era troppo impopolare ricorrere a questo tono di ironico sprezzo quasi che Papa Francesco fosse un secondario personaggio qualsiasi, sicché si corressero un poco).
Il libro di cui il nostro giornale si fece editore uscì in occasione dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari (Emmp) a Roma, presenti fra gli altri un singolare e fino a poco prima presidente dell’Uruguay e prima guerrigliero Tupamaros, Pepe Mujica, la ben nota Vandana Schiva, assente invece l’invitato Bernie Sanders perché impegnato nella campagna elettorale americana. Più 99 organizzazioni di 68 paesi, una lista più o meno coincidente con quella dei movimenti che hanno partecipato ai nostri Forum Mondiali dei tempi di Porto Alegre, fra questi non a caso i Sem Terra brasiliani e il loro leader Stedile, analoghi i temi in discussione: ecologia, beni comuni, salario universale.
All’appuntamento dell’anno precedente tenuto in Bolivia l’allora presidente Evo Morales aveva regalato al Pontefice venuto fino a laggiù per presiedere l’incontro una croce composta da una falce e un martello, e si potrebbe dire che quella singolare composizione lignea già a Roma sembrava tacitamente diventata il distintivo degli Emmp.
Ho scritto «si potrebbe dire» perché so che bisogna fare attenzione. E però non si può non prendere atto che il pontificato di Francesco ha impresso alla politica vaticana una svolta di sostanza molto forte e chiara. Bergoglio non è stato infatti solo un
Leggi tutto: Agli sfruttati non serve la carità ma la lotta - di Luciana Castellina
Commenta (0 Commenti)Sperava di essere ricevuto dal papa, ma deve accontentarsi di monsignor Parolin. Bergoglio snobba il vicepresidente Usa Vance, in visita al Vaticano, e nel pomeriggio va a pregare a San Pietro, rimarcando la distanza con l’amministrazione statunitense, in particolare sui migranti. Mentre la Corte suprema blocca la deportazione dei venezuelani
Vance a Roma Il vicepresidente degli Stati Uniti deve accontentarsi di Parolin. Bergoglio, che pure si presenta in basilica, resta a distanza
Il Segretario di Stato Vaticano Parolin riceve il Vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance al Vaticano – LaPresse
La visita Oltretevere di James D. Vance si è fermata nelle stanze della Segreteria di Stato vaticana. Papa Francesco, infatti, non ha voluto incontrare il vicepresidente statunitense, che si è dovuto accontentare di essere ricevuto in udienza dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e dal “ministro degli esteri” della Santa sede, monsignor Paul Gallagher.
L’incontro con Bergoglio non era annunciato, anche perché il papa è ancora in convalescenza dopo il lungo ricovero al policlinico Gemelli, quindi apparentemente nessuna sorpresa. Tuttavia dieci giorni fa il pontefice ha ricevuto i sovrani inglesi Carlo e Camilla, in visita a Roma. Mercoledì ha incontrato in Vaticano dirigenti e sanitari del Gemelli. E giovedì pomeriggio ha anche lasciato per qualche ora il Vaticano per andare nel vicino carcere di Regina Coeli, dove ha salutato una settantina di detenuti.
LA DECISIONE DI NON concedere nemmeno una breve udienza al vicepresidente Usa sembra allora una scelta ponderata per marcare le distanze con l’amministrazione Trump, piuttosto che dettata dalla cautela per le condizioni di salute. Tanto più che ieri pomeriggio – poco dopo che Vance aveva lasciato il Vaticano e si trovava al giardino botanico dove uno dei figli è stato avvistato mascherato da gladiatore romano – Bergoglio si è fatto accompagnare con la sedia a rotelle in basilica per pregare e salutare alcuni fedeli. E questa mattina potrebbe scendere in piazza e affacciarsi dalla loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et orbi al termine della messa di Pasqua (e chissà che non appaia di nuovo Vance per strappare almeno un saluto e una fotografia).
Le divergenze fra Santa sede e Usa emergono con evidenza anche nelle poche righe del comunicato della sala stampa vaticana al termine del «cordiale colloquio» fra il vice di Trump e Parolin. «È stato espresso compiacimento – si legge – per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa sede e gli Stati Uniti d’America, ed è stato rinnovato il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza». Fin qui tutto bene. Dopodiché si capisce che fra Washington e Città del Vaticano non c’è sintonia su una serie di altre questioni: «Vi è stato uno scambio di opinioni (che quindi sono diverse, ndr) sulla situazione internazionale, specialmente sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie, con particolare attenzione ai
Leggi tutto: Il papa saluta i fedeli. Ma a Vance nemmeno una breve udienza - di Luca Kocci ROMA
Commenta (0 Commenti)L’idillio con l’amministrazione Trump si sposta a Roma. Ma mentre Meloni riceve Vance, ecco la lista ufficiale delle concessioni fatte a Washington. Acquisto di armi e gas Usa, niente tasse alle big tech, mano libera con Putin. Una svendita, che Bruxelles registra con freddezza, ripagata con solo una promessa.
Europa e Usa La premier riceve il vice presidente J.D. Vance e si rivela la leader più in grado di rappresentare gli interessi americani in Europa
È un amore travolgente ma con i piedi ben piantati per terra, come quei matrimoni in cui ci si promette eterno amore ma passando prima dal notaio per curare più venali aspetti. Fra Donald Trump e Giorgia Meloni il cinguettamento dello studio ovale prosegue a distanza. Lui la definisce «fantastica». Lei replica con calorosi ringraziamenti e avanti così, presidente. La missione romana di JD Vance, in questo romantico quadretto, ne esce per forza ridimensionata. Ma la premier italiana coglie l’occasione per rilanciare la relazione particolare che la lega agli Usa tributando al vice inusuali onori da capo di Stato a Chigi. Lui ricambia portando le cose un passo oltre: annuncia che sul tavolo ci sono anche i dazi e ne parla davvero a porte chiuse con l’ospite. Poi tutti a pranzo, anche Tajani e soprattutto Salvini, messo sinora un bel po’ da parte. Si commuove comunque per «l’onore» di incontrare l’hillbilly più famoso del mondo e annuncia imminente missione del Mit a Washington: «Su infrastrutture e trasporti ci sono molti dossier di interesse comune». Se son rose…
Proprio mentre il quartetto si siede a tavola arriva il comunicato congiunto Usa-Italia diffuso dalla Casa Bianca e squaderna gli aspetti materiali del contratto. L’Italia, in sintesi, paga tutto quel che si prevedeva dovesse pagare: dal no alla Web Tax agli acquisti di gas, dalle spese Nato agli investimenti nella cantieristica americana. Anche nei momenti di trasporto Don il Mercante non dimentica gli affari. Il motto della nuova Washington, in fondo, è proprio quel «non è mai abbastanza» che il gioviale presidente si è lasciato scappare nell’incontro con la «fantastica».
LA CONTROPARTITA è la confermata intenzione del presidente ad accettare l’invito a Roma e la disponibilità a «considerare» la possibilità di trasformare la gita in un’occasione di ben più vasta portata, il vertice con la Ue. È un risultato politico. Giorgia Meloni ha dimostrato di trovare ascolto alla corte del bizzoso re, ha le carte in regola per gestire, sia pure informalmente, la mediazione con gli Usa. Ma forse sarebbe più preciso capovolgere il quadro. Più che la leader di un Paese europeo più vicino degli altri alla nuova America di Donald Trump Meloni appare ora l’alto ufficiale dell’armata trumpiana più vicino all’Europa e dunque più in grado di rappresentare gli interessi degli Usa nel negoziato con gli altri Paesi europei.
POLITICAMENTE il passaggio più significativo del protocollo è il riconoscimento pieno ed esplicito della leadership di Trump nella gestione della trattativa con Russia e Ucraina. È il solo fronte che dovrebbe registrare una distanza reale tra i due leader, l’unico in cui allo studio ovale, pur se pigolando, la premier aveva marcato una certa differenza di vedute, ricordando a un presidente che in tutta evidenza detesta Zelensky che però a invadere è stata la Russia. Quel lieve distinguo è svanito. L’italiana si affida all’uomo che si era divertito a umiliare Zelensky in mondovisione ed è uno slittamento che va molto oltre il pur significativo caso in questione. Giorgia l’Americana. Giorgia la Trumpiana.
Leggi tutto: Così Meloni diventa l’ufficiale di Trump nel vecchio continente - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)