Elettorale americana. Il tycoon, intrappolato dalle fake news che ha diffuso negli ultimi giorni, esce nettamente sconfitto dal confronto. Il piano di Kamala Harris di far perdere immediatamente le staffe al candidato repubblicano ha funzionato: è sull'aborto che Trump ha mostrato il suo vero volto agli elettori
Il dibattito tra Harris e Trump trasmesso sui maxischermi a Berkley, California - AP-Gabrielle Lurie
“Ero tre contro uno”, ha scritto Donald Trump su Truth subito dopo il dibattito, riferendosi a Kamala Harris e ai due giornalisti, David Muir e Linsey Davis, che hanno condotto il dibattito e che, a suo dire, hanno favorito la rivale.
La verità è che il dibattito per Trump è andato malissimo. Se l’intento di Harris era quello di fargli perdere le staffe e confonderlo, c’è riuscita. La vice presidente è partita subito all’attacco, entrando nella sala del dibattito e andando diretta dal tycoon, costringendolo a stringerle la mano. Ed ha continuato assicurandosi che il dibattito riguardasse prevalentemente lui e i suoi tratti più deleteri.
La vicepresidente è riuscita a coprire quasi tutto lo spettro: i processi penali a carico del tycoon, il piano eversivo Project 2025, il tentato golpe del 6 gennaio, la fascinazione per i dittatori, le critiche all’eroe di guerra (per di più repubblicano) John McCain, la violenza razzista di Charlottesville minimizzata da The Donald, il suggerimento di abolire alcune parti della Costituzione e, forse la cosa più notevole di tutte, il diritto all’aborto. Harris lo ha più volte portato a parlare del diritto all’aborto, spingendo Trump su un terreno dove si sentiva profondamente a disagio.
Per buona parte del dibattito il tycoon non è riuscito ad attaccare, è caduto in tutte le trappole, ha perso il filo, si è difeso, ha detto cose sconclusionate e ha ripetuto fake news e bufale clamorose, come il fatto che i democratici siano favorevoli all’aborto anche oltre il nono mese e, più di tutto, la storia per cui in Ohio gli immigrati mangino i propri animali da compagnia. Quest’ultima è una super bufala messa in giro da un influencer di estrema destra, e che è arrivata al dibattito presidenziale grazie a Trump che l’ha ripetuta, e Muir che l’ha dovuta smentire. “Lo vedremo” ha ribattuto a denti stretti Trump.
Il podcast sulle elezioni presidenziali americane
Sull’aborto il tycoon si è rifiutato di rispondere alla domanda diretta e sul
Leggi tutto: Elezioni Usa, dal dibattito emerge il peggior Trump - di Marina Catucci, NEW YORK
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Il mistero di Maria Rosaria Boccia, quelle allusioni mai chiarite che hanno fatto cadere un ministro e tremare un governo, in fondo lo spiega lei stessa e avrebbe dovuto essere chiaro già da un pezzo se un tasso molto elevato di paranoia da un lato e di sovraesposizione mediatica dall’altro non lo avesse celato. «Il ruolo di consigliera mi è stato tolto per capriccio di donna», dice, alludendo alla consorte del ministro. Però non è una questione privata ma politica perché «se il capriccio comanda l’azione di governo siamo già al passaggio verso la dittatura e il principio di conservazione della dittatura consiste appunto nel capriccio del dittatore. Sono determinata a dimostrare la verità della mia virtù per amore della Repubblica Italiana e della Democrazia». Sic!
SEMBRA INCREDIBILE che un caso così palese di narcisismo portato alle estreme conseguenze possa far vacillare una maggioranza ma la realtà è proprio questa ed è più che eloquente. La premier, si sa, ha preso l’invito di Bianca Berlinguer alla consulente su una tv presunta amica, Rete4 , come una coltellata alle spalle vibrata da Piersilvio Berlusconi. Ma l’intervista è poi rimasta in forse fino all’ultimo perché Boccia «non se la sentiva». I ragionamenti di ieri a palazzo Chigi erano comunque di questo tipo: «Se nell’intervista dice qualcosa di nuovo e incisivo è una mossa ostile di Piersilvio. In questo caso l’erede dimostrerebbe di avere mire politiche diverse anche da quelle di Forza Italia».
La premier scaccia la polizia Gli agenti: «Ci ha mortificati»
Insomma non bastano le dimissioni e l’ingloriosa cacciata dal governo. Non bastano nemmeno le inchieste a carico dell’ex ministro Sangiuliano che da ieri sono diventate due. A quella della Corte dei Conti per possibile danno erariale si è aggiunta quella della procura di Roma che in effetti era un atto dovuto dopo l’esposto del verde Angelo Bonelli, come assicura il legale dell’ex ministro. Non che abbia torto. Ma al peculato si è aggiunta una voce molto più insidiosa e pericolosa, «rivelazione e diffusione di segreto d’ufficio», sempre per le informazioni riservate di cui la quasi consulente e presunta amante sarebbe stata illecitamente messa a parte dal ministro innamorato.
MA BOCCIA NON SI accontenta. Insiste e
Leggi tutto: Meloni si sente assediata e sale la tensione con Fi - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Un Piano Marshall non basta, ce ne vogliono due, 800 miliardi l’anno contro la «lenta agonia» dell’Europa. Il report sulla competitività di Mario Draghi mette al centro di tutto la spesa per la difesa. Investimenti tecnologici e bellici comuni: per salvare l’Europa bisogna armarla
Debito di guerra. L’ex presidente del Consiglio ha indossato le vesti del profeta: 800 miliardi all’anno per tenere testa a Stati Uniti e Cina: "La produttività è una sfida esistenziale per l’Unione Europea. Servono investimenti come negli anni '60-'70, 5% di Pil all’anno". Von Der Leyen: "Necessari fondi per alcuni progetti europei comuni. Definiremo se li finanzieremo con contributi nazionali o con nuove risorse proprie". Tutto per difendere il «modello sociale europeo» senza toccare i disastri di 40 anni di neoliberalismo
Mario Draghi con la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen - Ansa
Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberalismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta.
PRESENTANDO il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.
UNA MONTAGNA DI SOLDI che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno.
L’economia europea sempre più “a mano armata”
IL PROGETTO è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di Von Der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.
CON UN’EUROPA politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di
Leggi tutto: Momento Draghi: l’Europa si salva con le armi e i capitali - di Roberto Ciccarelli
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Jannik Sinner vince gli Us Open battendo Taylor Fritz @AP Photo/Julia Nikhinson
Oggi un Lunedì Rosso che analizza le “destre all’assalto”, in Italia come in Francia e in Germania. Ma se nel nostro paese, sempre più povero e diseguale, Giorgia Meloni deve fare i conti con il caso Sangiuliano, oltralpe il piano di Macron (e Le Pen) ha portato alla nascita dell’esecutivo guidato da Michel Barnier, conservatore vecchio stampo, e in Germania, dal voto in Turingia e Sassonia, emerge un’onda di piena dell’estrema destra nazionalista, ma non ancora sufficiente ad aprirle le porte del potere di governo. Il tutto, mentre il “salto di qualità” del conflitto ucraino sta aprendo le porte verso il disastro.
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Venezia 81. «Gran finale» a sorpresa del neo presidente Buttafuoco: una celebrazione governativa con citazioni latine. «La stanza accanto» di Almodóvar è il miglior film, leone d’argento a «Vermiglio» di Maura Delpero. Migliore attrice Nicole Kidman, miglior attore Vincent Lindon, miglior regia Brady Corbet. L’intervento di Moretti: «Dovremmo essere più reattivi contro questa legge cinema»
Pedro Almodóvar riceve il Leone d'Oro - Ap
Ha vinto Pedro Almodóvar col cinema fuori dal tempo del suo The Room Next Door, melodramma di cromatismi tra vita e morte che sceglie la vita, accetta la morte e non si perde mai dentro le sue emozioni.
Ma la liturgia (abbastanza letale) di quella che è stata la cerimonia di premiazione che ha chiuso questa Venezia 81, coi sui ringraziamenti, sorrisi, pianti, balbettii, sussurri nel microfono per mamma&papà è stata cancellata dal «gran finale» a sorpresa di Pietrangelo Buttafuoco, il neo-presidente che in un impeto oratorio ha monopolizzato l’elegante platea della Sala Grande con un intervento lunghissimo – cosa insolita, a dire il vero mai vista nelle Mostre del passato e neppure nei festival nel mondo.
E fra la celebrazione dei successi dell’edizione appena terminata e le citazioni dei classici latini ha tessuto una bella ode al governo che in questi giorni in ciò che concerne la «cultura» è apparso assai in difficoltà.
Ci aveva provato Nanni Moretti prendendo il Leone d’oro per il restauro di Ecce Bombo a mettere al centro le crisi e le questioni che il cinema nazionale dovrà affrontare: «Dovremmo essere più reattivi contro questa legge cinema». La stessa presentata trionfalmente – fra innumerevoli ma silenti scontenti – qui al Lido.
Però il doppio premio ai film italiani, coincidenza davvero unica dopo anni – al giovane interprete di Familia di Francesco Costabile e soprattutto il Gran premio della Giuria a Maura Delpero per Vermiglio, una storia contadina formato presepio che mette al centro le donne come madri, perché in fondo è questa la loro ricchezza e resistenza – non fa che oscurare ancora di più le questioni a venire nel trionfo celebrativo del festival quale «vetrina unica per ribadire prodotti e artisti del cinema italiano» come si legge nel comunicato del sottogretario alla cultura Borgonzoni, e delle politiche cinematografiche governative. Tutto si tiene, appunto.
E IL PALMARÉS? Già il palmarès. Esclusa dunque la grazia di un grande maestro, quale è Almodóvar , che coniuga con sapienza il tema (l’eutanasia) e il cinema, e la sorpresa della giovane regista georgiana Dea Kulumbegashvili col suo April – premio speciale della giuria – che declina questo sì con pudore il femminile nel suo conflitto – a proposito: su cinque registe donne in gara tre hanno avuto il premio, includendo Halina Reijn e il suo Babygirl Coppa Volpi a Nicole Kidman – a dissolvere le critiche di un eccesso maschile della Mostra di Alberto Barbera – non poteva esserci spazio in questi premi per un film libero e rivoluzionario come è Queer di Luca Guadagnino, il grande sconfitto di questa Mostra a cui azzardo e rischi sono mancati.
La missione (fallita) della brigata d’assalto della destra
NEL SENTIMENTO generale, volto ai riflettori mediatici, come e in questi premi
Commenta (0 Commenti)Ultimo spettacolo. Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano
Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano.
«Stiamo facendo la storia», ha detto l’altro giorno la premier ai Fratelli raccolti intorno alla loro leader, avvertendoli: «Non sono ammessi errori». Peccato – avrebbe potuto aggiungere – se questa grande epopea per ora è un po’ così, zoppicante, anzi fa acqua da tutte le parti, ma come si dice? Dagli errori proviamo a imparare… Niente di nuovo sotto la fiamma, invece. Il solito vittimismo, condito da un tocco di berlusconismo d’antan: a rovinare un eccellente lavoro al ministero della Cultura sono stati l’odio e il gossip.
La feroce sinistra però non ha nemmeno avuto il tempo di accorgersi di avere tanto potere, manifesto o occulto che sia. La ripartenza del governo dopo le vacanze di Giorgia Meloni è stata così precipitosamente rovinosa a causa degli errori inanellati dalla stessa premier -preoccupata di dare il via a uno di quei rimpasti che sai come comincia ma non come finisce – che gli animatori del famoso «sistema politico mediatico» ostile non hanno dovuto fare molto altro che prendere i pop-corn, come Maria Rosaria Boccia suggeriva su Instragram, e assistere a uno spettacolo pieno di colpi di scena.
Cade lo scudo di Meloni. Il ministro esce di scena
La premier che va in tv dal sussiegoso conduttore Mediaset per annunciare le meraviglie della ripresa autunnale e butta lì giusto una frasetta per chiudere il caso Sangiuliano che sta
Leggi tutto: Prendete i popcorn, il governo si autoaffonda - di Micaela Bongi
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