Referendum I partiti del sì: «La seconda carica dello Stato invita a disertare il voto, hanno paura». Magi (+Europa): «Un’onda democratica li sommergerà». Conte annuncia il proprio sì al quesito sulla cittadinanza, ma rimane la libertà di voto per i 5S
Roma, manifestazione pro referendum davanti alla Camera dei deputati – Marco Di Gianvito/Zuma
Invoca un’«effetto sobrietà» l’opposizione dopo l’uscita del presidente del Senato La Russa che venerdì sera ha detto che farà propaganda per l’astensionismo. Se la proclamazione del lutto nazionale (dopo la morte del papa) in concomitanza con il 25 aprile non ha sgonfiato le piazze della Liberazione, l’auspicio delle minoranze è che la campagna astensionista del governo si tramuti un boomerang utile a raggiungere l’agognato quorum. Campagna che ha prodotto i primi piccoli smottamenti anche nel fronte delle opposizioni.
L’OPPORTUNITÀ delle affermazioni di La Russa è il primo bersaglio degli attacchi alla dichiarazione di non-voto. Trattandosi della seconda carica dello Stato, fatto di cui La Russa stesso ammette «di ricordarsi», stride l’ambiguità con cui veste i panni di presidente del Senato e militante di partito a momenti alterni. Ambiguità tramutata in linea difensiva ieri a mezzo del suo portavoce, Emiliano Arrigo, che ha ritenuto «lecito e quasi doveroso» da parte di La Russa seguire la linea del proprio partito durante un’iniziativa di Fratelli d’Italia, ricordando che in ogni caso il presidente del Senato ha confermato di essere personalmente orientato ad andare al voto.
«LA MIGLIORE RISPOSTA a questo punto è invadere le urne» ha ribattuto da Terni la segreteria Pd Elly Schlein, bollando come un «tradimento a un principio costituzionale» le affermazioni di La Russa. «Dalle dichiarazioni della seconda carica dello Stato che invita a disertare il voto si capisce bene che a destra hanno paura dei referendum e vogliono evitare che se ne parli» ribadisce il segretario di Sinistra italiana Fratoianni.
«NON FATE COME LA RUSSA, andiamo a votare in massa» è l’esortazione del leader Cinque Stelle Giuseppe Conte, che ribadisce la linea del proprio partito: quattro sì ai quesiti sul lavoro della Cgil, libertà di voto sulla cittadinanza su cui i 5S insistono con la proposta dello ius scholae. Ma, dopo il clamore suscitato dalle uscite a destra, decide di sbilanciarsi e ammette che lui personalmente voterà sì. Lo stesso fa anche Riccardo Ricciardi, capogruppo M5S alla Camera, in un video sui social: «Quattro sì per ridare dignità al mondo del lavoro. Poi ci sarà un altro quesito sul tema della cittadinanza a cui io personalmente voterò sì». Affermazioni che vengono subito riprese da Riccardo Magi, segretario di PiùEuropa e presidente del comitato promotore del referendum cittadinanza, che si rivolge anche a Forza Italia: «Rivolgo un appello a coloro che da liberali avevano assicurato sulla cittadinanza di fare sul serio: gettate il cuore oltre l’ostacolo e annunciate il vostro sì». E, in merito alle posizioni astensioniste, sentenzia: «Peggio per loro, un’onda democratica li sommergerà».
LA MAGGIORANZA rivendica la liceità del non voto e attacca i referendum della Cgil presentandoli come un regolamento di conti interno al Pd, che cerca di superare la fase renziana del Jobs Act. Ma è un’accusa che non può essere indirizzata al quesito sulla cittadinanza. E i sostenitori attaccano la destra. «Se siete contrari, se pensate che l’Italia non abbia bisogno di questo, ditelo e andate a votare no. Perché so sulla mia pelle cosa significa non avere diritto al voto» dice al manifesto Navneet Kaur, coordinatrice del comitato padovano. «Ho ottenuto la cittadinanza a 23 anni. Se gli anni di residenza fossero stati 5, come sarebbe con una vittoria del sì, già da minorenne sarei stata riconosciuta» spiega. «Ci sono tanti ostacoli, oltre a quello temporale relativo alla residenza, come dimostrare di avere un reddito di almeno 8mila euro. O non avere procedimenti penali. Il referendum non è il punto finale ma il momento in cui fare il primo passo» dice. «Senza ragazzi stranieri le nostre classi sarebbero chiuse da anni – commenta Fabio Signoretta, sindaco dei radicali del comune calabrese di Jonadi – come tante realtà subiamo lo spopolamento, per questo abbiamo lavorato su una campagna di informazione per i fuorisede, ovviamente senza dare indicazioni di voto. Da sindaco le parole di La Russa mi preoccupano da un punto di vista istituzionale prima ancora che politico».