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Russia A Mosca le celebrazioni per gli 80 anni della vittoria sul nazismo, una rivista nazionalista che esalta il paese contro i nemici di oggi

Il presidente cinese Xi Jinping, al centro, e il presidente russo Vladimir Putin, secondo da destra, partecipano alla cerimonia di deposizione di una corona d'alloro presso la Tomba del Milite Ignoto nel Giardino di Alessandro dopo la parata militare del Giorno della Vittoria a Mosca, Russia, venerdì 9 maggio 2025, durante le celebrazioni dell'80° anniversario della vittoria dell'Unione Sovietica sulla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. (Yuri Kochetkov/Pool Photo tramite AP) Il presidente cinese Xi Jinping, al centro, e il presidente russo Vladimir Putin, secondo da destra, partecipano alla cerimonia di deposizione di una corona d'alloro presso la Tomba del Milite Ignoto nel Giardino di Alessandro dopo la parata militare del Giorno della Vittoria a Mosca, Russia, venerdì 9 maggio 2025, durante le celebrazioni dell'80° anniversario della vittoria dell'Unione Sovietica sulla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale – Ap

«L’intero Paese, l’intera società, l’intera nazione – le telecamere della tv russa inquadrano il patriarca Kirill – sostengono i partecipanti all’Operazione militare speciale. Siamo orgogliosi del loro coraggio, della forza d’animo che ci ha sempre portato solo la vittoria». Il problema del 9 maggio è anche questo: Vladimir Putin l’ha voluta trasformare in una festa nazionalista nella quale la vittoria sul nazismo coincide con l’esaltazione della Russia.

L’HANNO SEMPRE chiamata «Grande guerra patriottica» ed è più che comprensibile. L’Unione sovietica ebbe almeno 25 milioni di morti, 27 secondo stime più recenti, in ogni caso più di 18 milioni di civili e sette milioni di soldati caduti. Un’enormità, uno squarcio nella storia di un popolo e nella Storia. Ottanta anni non possono e non dovrebbero cancellare quella memoria. Chi reputa che sia ingiusto commemorare quei morti si pone agli antipodi di quella lotta che evitò di far sprofondare il mondo sotto la mannaia nazi-fascista. «Guarderemo per sempre ai nostri veterani, prendendo esempio dal loro sincero amore per la patria, dalla loro determinazione a difendere la propria casa», dice Putin in una Piazza rossa che pende dalle sue labbra, sul pulpito che domina i reparti della Federazione russa e i 13 contingenti di ospiti (cinesi, egiziani, azeri, vietnamiti, bielorussi, tra gli altri), sul presentatarm.

«Faremo sempre affidamento sulla nostra unità nel lavoro militare e pacifico per raggiungere obiettivi strategici, per raggiungere obiettivi in nome della Russia, della sua grandezza e del suo benessere». La regia di Mosca passa spesso sul volto impenetrabile e sempre un po’ inclinato del presidente cinese Xi Jinping: è lui l’ospite d’onore, la vera star della vigilia.

Pechino che viene a porgere gli onori al gigante eurasiatico, con il plausibile scopo di inserirsi nella neonata (ma già fragile) liaison tra il Cremlino e Donald Trump. E il gran cerimoniere ringrazia direttamente il vicino asiatico «per il grande contributo» dato dal suo esercito «in nome di un futuro di pace».

NON MANCA un ringraziamento veloce agli alleati: «Ricorderemo per sempre che l’apertura del secondo fronte in Europa, dopo le battaglie decisive dell’Unione sovietica, avvicinò la vittoria».

Ma è una questione marginale, d’altronde i nomi di Leningrado, Stalingrado e delle altre battaglie campali scandiscono il lento incedere del discorso. Un brevissimo testo, letto in neanche dieci minuti, compreso il rituale minuto di silenzio, nel quale il presidente russo è apparso meno aggressivo del previsto. Non ha lanciato strali contro «l’occidente collettivo», non ha ricordato che il mondo «multipolare è ormai una realtà» e non ha mai nominato l’Ucraina. Se non indirettamente, per ricordare che «la Russia è stata e sarà la barriera sulla via del nazismo, della russofobia e dell’antisemitismo. La Russia continuerà a combattere le atrocità perpetrate dai seguaci di quelle idee distruttive. Verità e giustizia sono dalla nostra parte».

Non c’è dio dalla loro parte, come nella patria di Trump e nonostante la presenza in prima fila del patriarca che ha benedetto l’invasione dell’Ucraina, ma qualcosa di più terreno e implacabile. A Mosca il governo ucraino è il «regime neo-nazista di Kiev», un governo «illegittimo e russofobo» e dunque il monito militarista di Putin è tutto per il nemico attuale. Ma oltre ai «banderisti», i reparti di ucraini che si schierarono con i nazisti per un certo periodo e si macchiarono di crimini efferati, nella II Guerra Mondiale morirono quasi sette milioni di ucraini, di cui oltre cinque milioni di soldati, il secondo contingente dell’Armata rossa dopo quello russo per perdite. I soldati che liberarono Auschwitz erano in maggioranza ucraini. Possibile che si sia arrivati al punto in cui Volodymyr Zelensky definisce quella di Mosca la «parata del cinismo» e invita i leader a Kiev per dimostrare chi è davvero dalla parte della libertà? Mentre in Estonia, vicino al confine con la Russia, appare uno striscione gigante con un volto a metà di Hitler e per l’altra metà di Putin. L’invasione dell’Ucraina ha creato una separazione: se Putin si pone come l’erede della «brigata immortale», a Leopoli si riuniscono i vertici dell’Ue e il presidente ucraino per annunciare la creazione di un tribunale speciale per processare i leader russi per «crimine di aggressione contro l’Ucraina». Poco dopo Zelensky ha chiamato Donald Trump per «delineare i prossimi passi per la pace» e ha annunciato la convocazione di una riunione dei leader dell’Ue a Kiev per questa mattina.

SECONDO PUTIN la vittoria dell’Urss è un monito per il presente, non solo per l’Ucraina, ma per l’Ue e la Nato. Così come «i piani dei nazisti di conquistare l’Urss incontrarono la resilienza del paese e l’eroismo del popolo», oggi «i nostri padri ci invitano a essere forti per difendere la nostra storia millenaria, i nostri valori, la nostra cultura». Dov’è quel nemico, a Kiev, nei palazzi della Nato e dell’Ue a Bruxelles? Non importa identificarlo, non durante la «festa più grande», ciò che conta è ribadire che «la nazione è unita» contro ogni minaccia esterna.

E proprio il termine «nazione» è succeduto più volte a Paese, popolo, cultura. Questa è la volontà del capo alla quale, secondo lui, deve adeguarsi la storia. E questo è invece il 9 maggio a Mosca, una festa che dovrebbe essere di tutti, tradita proprio nell’unica piazza dove ancora si celebra.