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Parte la corsa del progetto Agnes che prevede l'installazione di due aree al largo della costa ravennate per la produzione di energia eolica, solare e di idrogeno verde

M.A.02

 

Innovazione, mitigazione dell'impatto ambientale e strategia energetica sostenibile sia dal punto di vista ambientale che finanziario. Sono questi i cardini del progetto "Agnes" presentato da Saipem e Qint’x che prevede la creazione di un distretto marino integrato nell'ambito delle energie rinnovabili al largo delle coste di Ravenna. Un progetto che unisce la produzione di energia elettrica partendo da varie fonti di energia naturale: sole, vento e idrogeno. Questo nuovo hub energetico del Mar Adriatico ambisce a far diventare Ravenna la "città della transizione energetica".

Si tratta di un progetto partito nel 2019 con la fondazione della società di scopo Agnes e che, secondo la roadmap stilata dagli ideatori del progetto dovrebbe partire con la costruzione e la messa in attività dell'impianto nel 2023, ovviamente contando sul successo e sulla velocità dei necessari iter burocratici. Un progetto che prevede: aerogeneratori di ultima generazione per sfruttare al massimo la ventosità al largo delle coste di Ravenna, una grande area dedicata al fotovoltaico e una "Hydrogen Valley", ovvero un distretto specializzato nella produzione di idrogeno verde. Un progetto che poi andrebbe a creare notevoli ricadute positive sul territorio. Infatti vi sarebbe, per gli esperti di Agnes, "un'opportunità di decarbonizzare i processi di produzione di molte aziende del Porto di Ravenna".

I numeri del progetto

I numeri del progetto Agnes indicano una capacità a regime di produrre circa 620 mw da energia eolica e solare, alla quale si accompagna una produzione di oltre 4000 tonnellate all'anno di idrogeno verde, una quantità capace di soddisfare il consumo di oltre 2000 bus a idrogeno. Un totale di 1.5 terawattora di elettricità prodotta annualmente da eolico e solare, sufficiente per il fabbisogno di più di 500 mila famiglie. Con tutto ciò Ravenna si candida a diventare hub di riferimento dell'intero progetto sia per la costruzione degli impianti sia come base organizzativa. Il progetto prevede "aree con minimo impatto visivo - come affermano i responsabili del progetto - a una distanza di almeno 10 miglia marittime". Una distanza dal Porto di Ravenna di circa 20 km che può consentire di creare un sistema di filiera corta.

L'impianto sarebbe distinto in 2 aree (denominate Romagna 1 e Romagna 2). Romagna 1 prevede la presenza di un parco eolico di 15 turbine e parco fotovoltaico che sfrutterebbe anche una piattaforma dismessa del comparto oil&gas. L'impianto si svilupperebbe partendo da una distanza di circa 10 miglia nautiche. Romagna 2 sorgerebbe un pochino più distante dalla costa a oltre 12 miglia nautiche e prevede l'installazione di un parco eolico composto da 50 aerogeneratori. A nord dell'area industriale elettrodotto interrato per arrivare alla stazione elettrica on-shore dove si procederà alla conversione energetica.

Sarebbe il primo progetto in cui idrogeno e fotovoltaico in mare saranno realizzati su scala commerciale. Ma oltre alla produzione di energia, i responsabili del progetto Agnes assicurano un particolare interesse alla creazione di un impianto a ridotto impatto paesaggistico, così da non ostacolare l'attrattività turistica di Ravenna.

Un passo verso il futuro per Ravenna

"Ravenna ha messo in mostra negli anni una grande capacità di far convivere attività diverse con la produzione energetica, come l'attività turistica e culturale - afferma Tomaso Tarozzi di Confindustria -. Ci sono numerose possibilità di guardare al futuro in nome della sostenibilità. Prima di essere autonomi con le nuove energie, sarà però ancora fondamentale l'apporto dell'energia fossile".

"Anche il nostro mar Adriatico può diventare un polo di produzione di energia rinnovabile - riferisce Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna -. Se non si interviene sul fronte ambientale immediatamente si va incontro a un disastro, sia economico che sanitario". Il rappresentante dell'associazione ambientalista non nasconde però una certa perplessità verso le politiche locali: "Un no di base all'eolico non può esserci - sostiene Frattini - Speriamo che la politica locale investa sui progetti di risparmio energetico. Crediamo che la priorità ora sia una riconversione del settore offshore. Per le imprese di Ravenna sarebbe importante che Regione vada a Roma a chiedere i fondi necessari per una riconversione energetica verde".

"Il sostegno del Comune al progetto Agnes è un sostegno pieno, convinto e solidale con le imprese del nostro territorio. Naturalmente i progetti definitivi dovranno essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale e andranno ovviamente valutati e rispettati al massimo tutti gli aspetti inerenti alla tutela del paesaggio o all’interferenza con turismo, pesca e traffici marittimi. Nel contempo però l’obiettivo delle istituzioni deve anche essere anche quello di concretizzare questi investimenti, senza demotivare gli investitori con iter burocratici eccessivamente severi - assicura il sindaco di Ravenna Michele De Pascale -. Per Ravenna questa è un'opportunità indiscutibile. Sarà anche un elemento di marketing per il nostro territorio, dandoci la possibilità di comunicare ai turisti che qui si produce energia sostenibile".

Ravenna 'città della transizione energetica': nasce un distretto marino al largo della costa
„"Questa è una tappa fondamentale di un percorso iniziato circa 3 anni fa - dichiara Alberto Bernabini, Ceo e fondatore di Qint'x e Agnes - con lo studio di fattibilità di un progetto molto complesso, ma anche molto importante per il rilancio di Ravenna come capitale italiana dell’energia. Negli ultimi 60 anni infatti Ravenna è stata leader per l'energia da fonti fossili e oggi ha la possibilità di avviare un nuovo periodo di leadership nel settore delle energie rinnovabili, sfruttando sempre le risorse presenti nel mare davanti alle sue coste ma ora anche per combattere il cambiamento climatico".“

 
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Il discorso. Il Recovery Plan secondo il presidente del Consiglio incaricato deve completare il lavoro precedente di Conte mantenendo però nelle sue mani la governance

Alfonso Gianni su " il Manifesto" del 18.02.2021

I new entry nella maggioranza, la qualità e il modo della scelta delle ministre (poche) e dei ministri, quindi la composizione del nuovo esecutivo e il come ci si è arrivati, faceva capire che eravamo di fronte ad una sterzata a destra. Era giusto tuttavia attendere il discorso programmatico per un giudizio più ponderato.
Quanto ha detto Draghi al Senato non ha certo attutito questa analisi. Il suo è stato un discorso privo persino di quel pathos che la drammaticità della situazione avrebbe sollecitato. Basta vedere l’aumentata pericolosità delle varianti del virus. Draghi si è richiamato allo spirito repubblicano. Ma ben altra forza morale, politica e programmatica avrebbe dovuto mettere in campo. Non basta dire che si è uniti da “l’amore per l’Italia”. Nessuno da quello scranno avrebbe potuto dire il contrario. Draghi ha sentito il bisogno di motivare la ragione per cui un così ampio arco di forze tra loro ben diverse lo sorreggono.
Lo ha fatto con affermazioni palesemente contradditorie, segno di un certo imbarazzo. Prima ha lodato il senso di responsabilità delle forze politiche “alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti”, immediatamente dopo, per negare il fallimento della politica, ha sostenuto che “nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità”.
Il confine invalicabile resta l’irreversibilità dell’euro e la prospettiva di una Ue capace di sostenere i paesi in recessione. Ma questo era già stato metabolizzato dalla Lega che ha preferito spostare la sua conflittualità sull’apertura delle piste da sci.
Per il resto Draghi ha non solo riservato un omaggio formale a Conte, ma ha sussunto il lavoro del precedente governo sul Recovery Plan, che si tratterebbe solo di approfondire e completare. Del resto non molte ore prima dagli uffici del commissario Ue all’Economia, era giunta

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Apriamo il dibattito. Vogliamo leggere e raccogliere la vostra voce sul manifesto, l’unico giornale in grado di esprimere la varietà e molteplicità di pensieri che oggi percorrono il mondo della sinistra

È un brutto governo. E vale la pena ripeterlo proprio alla vigilia del voto che dovrebbe assicurare una maggioranza ampia, in grado di tenere saldo il timone della “nave di salvataggio” fino al termine della legislatura.

È un governo brutto al punto da aver provocato divisioni laceranti (come nel Movimento 5 Stelle), spaccature profonde (tra Articolo 1 e Sinistra italiana, e anche dentro la stessa Sinistra italiana), e discussioni forti sulle modalità della partecipazione perfino tra i più convinti sostenitori del ministero Draghi, il Pd, la Lega, Forza Italia.

In tempi di lunga Pandemia, la nuova maggioranza parlamentare, che domani dovrebbe assicurare la fiducia al governissimo, nasce affetta da più virus, che renderanno il cammino amministrativo della cosa pubblica difficile, tortuoso, pieno di ostacoli per i partiti che ne fanno parte. Ma soprattutto il viaggio delle forze democratiche (dentro e fuori il governo) sarà davvero complicato.

Perché più di altre si pongono la domanda “dove stiamo andando?” – che non è conio di Corrado Guzzanti ma di Paul Gauguin – senza però trovare facilmente una risposta immediata, chiara, convincente. Non a caso nel popolo della sinistra (c’è ancora, nonostante gli sfottò dei commentatori da salotto tv e giornalistico), si stanno manifestando le più varie reazioni politiche, culturali, sociali, umorali, sentimentali.

Leggendo tra le migliaia e migliaia di reazioni che dilagano sui social, sembrano prevalere di gran lunga più le emozioni che i dissensi (e i consensi), politici tout-court. Vuol dire che a sinistra batte un cuore. E che adesso, dopo il ritmo sì faticoso ma tuttavia normale e persino rassicurante registrato durante il Conte 2 (con un inaspettato protagonismo delle organizzazioni democratiche approdate a palazzo Chigi dopo la caduta del Conte 1), perde colpi, ha continue extrasistoli e rischia di fibrillare di brutto.

Tuttavia curare una patologia cardiaca non è semplice, perché a volte i farmaci non bastano. Ma può essere di grande aiuto la parola. Da ascoltare, per cercare di capire le ragioni altrui (cosa che, purtroppo, avviene poco dalle nostre parti), e per dire la propria opinione. Per raccontare la rabbia, lo sconcerto. Per esprimere un sentimento o un dissenso. E può essere anche una parola liberatoria, sincera, trasparente, per spiegare perché è meglio baciare il rospo (in questo caso il drago) invece di restare alla finestra piangendo sul recente passato.

È insomma la vostra voce che vogliamo leggere e raccogliere sul manifesto, l’unico giornale in grado di esprimere la varietà e molteplicità di pensieri che oggi percorrono il mondo della sinistra, segnata da troppi e continui naufragi.

“Dove stiamo andando?” è d’altronde una domanda che riguarda tutti, perché l’emergenza che stiamo vivendo coinvolge l’intero popolo italiano, costretto ogni giorno a confrontarsi con un cambiamento radicale della propria esistenza, afflitto dalla perdita di tante, troppe vittime della malattia, piegato dall’incertezza, dalla paura. E anche noi, qui, su queste pagine, abbiamo l’obbligo di rispondere.

Forse il neonato governo – un passaggio inedito per tutte le forze politiche e per la storia del nostro paese in questo tragico contesto – determinerà un altro naufragio a sinistra. Oppure no, aiuterà a trovare una terapia in grado di consentire a un cuore malato di tornare a battere regolarmente. Ma il risultato, vogliamo crederlo con una buona dose di ottimismo della volontà, dipenderà soprattutto da noi.

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Energia e ambiente . Nonostante lo sciopero dei quasi 500 addetti della centrale di Torre Valdaliga Nord, che chiedono di lavorare alla produzione di energia da fonti rinnovabili per mantenere i livelli occupazionali, l'ad del colosso industriale Tamburi conferma il passaggio da una fonte fossile a un'altra. Giuseppe Casafina (Fiom): "La transizione energetica non è di proprietà di Enel, perché si parla del futuro di tutti".

La centrale Enel di Civitavecchia

 

Proprio mentre Mario Draghi annunciava, fra unanimi consensi, la nascita del nuovo ministero alla transizione ecologica, solo le cronache locali di Civitavecchia davano conto dello sciopero dei quasi 500 addetti della centrale Enel di Torre Valdaliga Nord. Uno sciopero metalmeccanico, indetto dalla Fiom e dall’Usb, con l’85% delle adesioni, per chiedere una riconversione della grande centrale a carbone che domina la città, e che per oltre 60 anni ha contribuito allo sviluppo e alla tenuta della rete elettrica nazionale. Con effetti collaterali ben conosciuti dai residenti, sotto forma di un aumento delle patologie a causa dell’inquinamento, appena scalfito dalla localizzazione del sito produttivo a pochissima distanza dal mare.
Anche l’Enel si è posta il problema di una riconversione della centrale di Torre Valdaliga. E sulla carta la decisione è già stata presa, con lo stop alla produzione di energia a carbone e il passaggio, entro il 2025, a una produzione basata sul turbogas. Che può abbattere una parte delle emissioni inquinanti, ma che al tempo stesso utilizzerebbe sempre combustibili fossili. Con una transizione energetica sui generis. E con il potenziale sacrificio di almeno il 90% dei lavoratori, secondo le stime della Fiom, che attualmente si occupano della manutenzione del grande impianto e che diventerebbero in gran parte inutili nel nuovo scenario produttivo.
Per ironia della cronaca, all’indomani dello sciopero l’ad di Enel Italia, Carlo Tamburi, è stato fra i protagonisti del convegno (in streaming) “L’economia di Francesco. L’energia, l’ambiente, la salute, l’agricoltura”, organizzato dalla Regione Lazio. In questo caso le parole di Tamburi sono arrivate forti e chiare: “Ci siamo impegnati a chiudere tutte le produzioni di energia elettrica con impianti a carbone, incluso lo stabilimento di Civitavecchia, entro il 2025, e questo è un punto di forza della nostra strategia di sostenibilità”.

A seguire però la doccia fredda: “In parte ci sarà ancora del gas, quindi impianti a idrocarburi, ma molto più efficienti e meno inquinanti, e soprattutto che lavoreranno molte meno ore. Siamo i leader della transizione energetica. E con la chiusura degli impianti nel 2026 registreremo un calo delle emissioni del 50% rispetto ai livelli attuali”.
Insomma per Enel la “strategia di sostenibilità” passa comunque dal gas. Da un combustibile fossile a un altro. Con la prospettiva di mantenere un’occupazione di soli trenta, quaranta addetti. Uno scenario che gli operai, e la Fiom Cgil che sta al loro fianco, non possono certo accettare. Il danno e la beffa, visto l’annuncio di Draghi, e i miliardi del Next Generation Ue, per una vera transizione energetica.
“Ancora non c’è risposta al futuro dei metalmeccanici – tira le somme il giovane e dinamico segretario della Fiom locale Giuseppe Casafina – Enel deve fare la sua parte rimboccandosi le maniche per garantire una prospettiva stabile ai tanti lavoratori che hanno fatto le sue fortune costruendo e manutenendo la centrale. La transizione energetica non è di sua proprietà, perché si parla del futuro di tutti. Deve essere guidata dalle istituzioni e condivisa con parti sociali e territorio. Noi diciamo che qui ci sono le condizioni, e anche le mansioni professionali per sviluppare la filiera di un’industria sostenibile”.
Casafina, che è originario di Taranto e ben conosce la tagliola del falso dilemma fra produzione e ambiente, su Collettiva ha ben spiegato l’obiettivo finale della vertenza: “Un territorio con le caratteristiche industriali e geografiche di Civitavecchia può continuare ad avere un ruolo nella strategia energetica nazionale, costruendo sul posto tutti gli impianti utili alla produzione di energia pulita”.
Fa ben sperare che allo sciopero di Fiom e Usb sia arrivato il sostegno, concreto, del sindaco di Civitavecchia, Ernesto Tedesco, del segretario locale del Pd, Stefano Giannini, e ancora del Comitato Sole, dell’associazione Città Futura, di Potere al Popolo e Rifondazione Comunista. Ma certo è che, di fronte a un gigante come Enel, solo un altro peso massimo come Mario Draghi potrebbe competere. Dando un senso compiuto all’attività del neonato ministero alla transizione ecologica.

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Quando alle otto della sera Mario Draghi, dopo nove giorni di consultazioni con suspense, legge la lista dei ministri dentro i telegiornali, le indiscrezioni del pomeriggio vengono in larga parte confermate. E la faticosa composizione della lista dei ministri partorisce un super manuale Cencelli.

Per l’improbo compito di infilare nel governo tutti i partiti che gli voteranno la fiducia, per il dosaggio spinto fin dentro le correnti di partito. Un super Cencelli anche per la divisione tra Mattarella e Draghi nella ripartizione tra ministri tecnici e ministri politici.

Con un elemento evidente di continuità con la compagine del disarcionato governo Conte, rintracciabile nei ministeri di peso (Difesa, Interni, Esteri, Salute).

E un altrettanto evidente elemento di discontinuità con l’ingresso dei ministri tecnici nei ruoli chiave dei due pilastri del Recovery (conversione green e digitale), oltre naturalmente alla poltrona-chiave di via Venti Settembre con Daniele Franco all’Economia. La combinazione della cassaforte ce l’ha Draghi.

E pensare che Mattarella, preso atto delle difficoltà del Conte2, diceva che si era resa impossibile la nascita di un nuovo governo politico, per cui faceva capire che si doveva fare spazio ai tecnici.

In realtà adesso misuriamo quanto fosse una pia illusione o uno specchietto per le allodole.

I tecnici, pur se di alto profilo, come nel caso di Marta Cartabia alla giustizia, numericamente sono la metà degli esponenti politici. Draghi ha dovuto e voluto acconciarsi alle pressioni, e ogni partito ha rivendicato un certo numero di posti.

Se vogliamo trovare un aspetto positivo, oltre la qualità dei tecnici prescelti, questo riguarda la conferma di un sostanzioso numero di rappresentanti del Conte2, un motivo di soddisfazione per l’ex premier di aver lasciato una discreta eredità. Ma è un Conte2 spostato a destra.

Al contrario è fortemente negativa, rispetto a quello che si pensava e si scriveva, la presenza delle donne, che sono la metà degli uomini. Oltretutto le forze di sinistra non sono state in grado, pur avendo ministeri di peso, di esprimere neppure una donna. Vecchia storia, purtroppo.

Ovviamente la destra non può che essere soddisfatta, così come il Pd e Italia viva che esprimono giudizi molto positivi, e anche i 5Stelle portano a casa un discreto bottino pagato con le lacerazioni interne.

La Lega è sicuramente ben rappresentata dal numero due dei neonati europeisti, mentre Berlusconi starà brindando per aver occupato tre caselle pur senza portafoglio.

Nell’interesse del paese naturalmente speriamo che Draghi e la sua squadra facciano un buon lavoro per superare la pandemia, rilanciare l’occupazione e l’economia, per usare al meglio i fondi del Recovery plan. E quindi un giudizio globale e a tutto campo, si potrà dare solo quando li vedremo all’opera, prima di tutto sulla drammatica, esplosiva questione sociale.

Ma al momento la nascita di un governo politico in salsa tecnica, cucito sulle solite pratiche spartitorie, delude, anche se nessuno lo ammetterà, le aspettative dei tanti fan del drago.

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Intervista. L’ex ministero Edo Ronchi: «Servono nuove competenze per la transizione ecologica»

 

«È una sfida entusiasmante, l’orizzonte di nuovo tipo di sviluppo. Ed è un orizzonte reale: quando mai abbiamo avuto un’occasione così?». Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente dei governi Prodi e D’Alema, ora presidente della Fondazione Sviluppo sostenibile, con la creazione del super-ministero della Transizione ecologica vede profilarsi la possibilità di una svolta nella politica ambientale italiana. Con la sfida climatica che conquista uno dei primi posti nell’agenda di Palazzo Chigi. «Grillo ha dato una scossa: vediamo se alle parole seguiranno i fatti. Nel governo Conte il tema in effetti era passato un po’ sotto tono».

Ronchi, finalmente il ministero dell’Ambiente non sarà più la Cenerentola della politica?
È vero che il ministero dell’Ambiente è sempre stato considerato di secondo ordine. Ora si profilano grandi cambiamenti, ma tutti da verificare.

Il super-ministero della Transizione ecologica unificherà le funzioni del ministero dell’Ambiente e di quello dello Sviluppo economico. Secondo lei è opportuno questo accentramento di funzioni?
Il Next generation Eu si basa su alcuni pilastri fondamentali, come quello della neutralità climatica. Ora, l’impegno sul clima richiede un adeguamento trasversale di competenze e di politiche che riguardano l’energia, la mobilità, i cicli di produzione e di consumo, insieme con la conservazione del capitale naturale, dei servizi ecosistemici, un nuovo modo di fare agricoltura, il risanamento e re-inverdimento delle città. Si tratta della modifica del sistema produttivo nel suo complesso, quindi è bene che, più che un accentramento di funzioni, ci sia la capacità di intercettare e incidere su varie attività anche con lo scopo di creare nuova occupazione.

Su quella poltrona vede meglio un politico o un tecnico?
Deve essere una persona competente, con una visione adeguata.

L’Unione europea fa sul serio con la politica del Green Deal?
Sembra di sì. E il Next generation Eu serve in parte a finanziarlo. Non dimentichiamoci che il 37% dei 210 miliardi destinati all’Italia, cioè 78 miliardi, devono essere destinati alla sfida climatica. Sono finanziamenti aggiuntivi che non pesano tutti sul bilancio nazionale, un grande piano di investimento pubblico che darà anche nuove prospettive alle imprese. Del resto gli obiettivi di decarbonizzazione impongono all’Italia la revisione delle sue politiche energetiche. Non so come mai nessuno ne parla, ma noi siamo co-organizzatori della COP 26 che si terrà a Glasgow il prossimo novembre: ci dovremo arrivare con le carte in regola allineando gli obiettivi di decarbonizzazione ai nuovi target fissati dall’Europa. In sostanza, si tratta di riscrivere il Piano Nazionale Energia e Clima. Sarà uno dei primi impegni del nuovo super-ministero.

Questa attenzione all’ambiente era impensabile con le politiche di austerity che abbiamo vissuto negli utili anni…
In effetti, una svolta così netta non l’avevamo ancora vista. Del resto, Draghi conosce l’Europa e sa dove sta andando.

In questa svolta, qual è il ruolo della società civile?
Il movimento dei giovani che sono scesi in piazza a segnalare il disimpegno della politica sull’ambiente ora ha un interlocutore. Certo, se in Italia ci fosse un forte partito verde, alla tedesca, sarebbe meglio. Anche il livello di attenzione sulle questioni ambientali da parte della stampa, è insolitamente alto.

Ci sono infinite sfumature di verde per incamminarsi nella Transizione ecologica. A cosa dobbiamo stare attenti?
Le sfumature sono una ricchezza, ogni forma di pensiero ecologista è chiamato a dare un contributo, come ha scritto Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Sì. Semmai, dobbiamo preoccuparci dell’operatività di questa struttura: il cambiamento che ci aspetta è molto complesso e non possiamo limitarci a fare annunci.

Sarà la Commissione Europea a vigilare su come vengono impegnati i fondi, la strada è obbligata?
Proprio ieri sono state pubblicate le linee guida su come utilizzare i fondi. Sono indicazioni che non si possono by-passare. Il Next generation Eu è un progetto molto condizionato, direi più del Mes. Se fai ricevi i soldi, altrimenti niente. Sarà creata una task-force ad hoc. È un progetto troppo importante per essere lasciato al caso.

Vista dal suo osservatorio, in Italia ci sono competenze all’altezza della sfida?
Sì, le potenzialità ci sono: abbiamo giovani molto preparati nelle università e personale qualificato nelle aziende. Ci sono anche molti giovani che hanno fatto esperienza di vita e di lavoro all’estero e quindi sono del tutto idonei per essere valorizzati.

L’Italia è già incamminata verso la Transizione ecologica o partiamo da zero?
Non partiamo certo da zero. Nel settore della green-economy ci sono alti e bassi, come del resto in tutta Italia. Abbiamo esperienze molto avanzate accanto a sacche di inefficienza. Siamo bravi nel riciclo, nelle rinnovabili, siamo leader nella chimica verde, abbiamo recuperato bene nella mobilità condivisa. Dovremo puntare di più sulla rigenerazione urbana, un settore su cui l’Europa insiste molto.

La Transizione ecologica sarà un volano anche per lo sviluppo del Sud?
Il Sud può contare sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, ma deve anche superare i suoi fattori limitanti, come l’annosa difficoltà di attivare i giovani e le donne.

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