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Il segretario della Cgil in un'intervista a Repubblica critica il governo sul nuovo condono fiscale inserito nel decreto: "Un'offesa a chi paga sempre le tasse"

"Entro l'estate i lavoratori vanno vaccinati, non licenziati". Lo ha detto, in un'intervista a La Repubblica, il segretario della Cgil Maurizio Landini che sottolinea come la decisione di inserire in un decreto per sostenere l'economia, in questo drammatico momento, un nuovo condono fiscale "non c'entra nulla con il lavoro, la povertà, l'emergenza. Anzi, è un modo di offendere chi le tasse le paga sempre anche per garantire, non dimentichiamolo, i diritti e i servizi a chi le tasse, invece, le evade. Pessima scelta".

Il numero uno di Corso Italia chiede al governo Draghi un cambio di rotta significativo su alcuni punti del decreto Sostegni, tanto più dopo aver firmato proprio a Palazzo Chigi, e non più di dieci giorni fa, il Patto sul lavoro pubblico. Oltre il condono altri due sono i punti critici due punti. A cominciare dai sostegni destinati ai lavoratori precari: "È vero che si è allargata positivamente la platea a figure finora escluse, penso per esempio ai lavoratori in somministrazione, ma a fronte di questo è stato ridotto l'ammontare dell'indennità: da mille euro al mese a 800 euro. Questo in un momento in cui nel nostro Paese sta crescendo la povertà anche tra coloro che hanno una qualche forma di occupazione".

Terzo punto negativo del decreto sono i licenziamenti delle grandi imprese manifatturiere a partire da luglio. "Questa - aggiunge Landini - dovrebbe essere una fase di coesione sociale, di unità del Paese. Invece aver stabilito che da luglio, in teoria, le imprese industriali potranno ricorrere ai licenziamenti collettivi mentre per gli altri settori di attività continuerà il blocco fino ad ottobre dividerà il Paese. Una decisione incoerente rispetto all'impegno del governo di arrivare in autunno ad una riforma condivisa, grazie al confronto aperto, degli ammortizzatori sociali"

Nota positiva per il segretario generale della Cgil i 3,3 miliardi per la cassa integrazione, l'aumento degli stanziamenti per il reddito di cittadinanza e per il reddito di emergenza però, aggiunge, "mi preoccupo quando sento un esponente della maggioranza dice che ora si devono sbloccare gli sfratti per cacciare le persone in affitto oppure che va cancellato il codice degli appalti".

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Il Decreto. Cancellate le cartelle esattoriali fino a 5 mila euro del solo periodo 2000-2010. Salvini voleva molto di più. Modifiche a dl Dignità e Reddito: causali congelate, solo sospeso a chi lavora fino a 6 mesi

Un bar chiuso a Roma

Alla fine il condono c’è. È molto meno di quello che aveva chiesto Salvini – difatti assai arrabbiato – ma comunque premia coloro che non hanno pagato multe e tasse, cancellando le cartelle esattoriali sotto i 5 mila euro dal 2000 al 2010 per le persone fisiche con reddito fino a 30mila euro l’anno. La destra chiedeva fino al 2020 senza limiti di reddito. In più: rate e nuove cartelle sospese fino al 30 aprile e una sanatoria ad hoc per le partite Iva in difficoltà.

IL COMPROMESSO USCITO dal consiglio dei ministri che ha licenziato il decreto Sostegni è il primo dell’era Draghi. E arriva con un ritardo di almeno due settimane sui tempi inizialmente previsti.

Un decreto da 32 miliardi, simili ai decreti Ristori del governo Conte due: la prima «manovra» Draghi è solo temporanea, è già pronto un altro scostamento di bilancio ad aprile, sebbene il suo importo sarà definito rispetto all’andamento di «economia, vaccinazioni e pandemia».
Più di un terzo dei 32 miliardi – oltre 11 miliardi – vanno in contributi a fondo perduto per le imprese e gli autonomi che hanno sofferto la crisi del Covid. Indennizzi alle imprese e ai titolari di partita Iva con fatturato fino a 10 milioni e che hanno registrato una diminuzione del fatturato (nella media mensile) di almeno il 30% tra il 2020 e il 2019. Per le imprese, che dovranno presentare domanda all’Agenzia delle Entrate attraverso una nuova piattaforma affidata a Sogei, ci sarà l’opzione tra il bonifico sul conto corrente e un credito d’imposta da usare in compensazione.
Gli aiuti saranno di minimo 1000 euro per le persone fisiche (2000 per le persone giuridiche) e avranno un tetto massimo di 150mila euro per le imprese. I contributi saranno modulati a seconda delle dimensioni delle aziende coinvolte: sono previste 5 fasce di ricavi con percentuali dei «sostegni» differenziate che vanno dal 60% delle perdite per le più piccole al 20% per le più grandi.

OLTRE ALLO SCHEMA GENERALE di sostegno, il decreto prevede cinque ambiti specifici d’intervento, come spiegato dal ministro dell’Economia Daniele Franco. Per la filiera della montagna – che ha visto annullare l’intera stagione – c’è un fondo da 700 milioni (100 in più delle indiscrezioni recenti) da assegnare ai comuni con un decreto del nuovo ministero del Turismo, in accordo con la Conferenza Stato-Regioni: tra i soggetti beneficiari, oltre agli esercizi commerciali, ci sono maestri e scuole di sci. Per il mondo della cultura 400 milioni così suddivisi: aumenta di 200 milioni di euro la dotazione (di 80 milioni nel 2020) per le emergenze nei settori dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo; 120 milioni in più di fondi per spettacoli e mostre, e viene ristretta la destinazione, escludendo dal capitolo fiere e congressi, ora riconducibili al nuovo Ministero del turismo; inoltre passa da 25 a 105 milioni di euro il sostegno per il settore del libro e dell’intera filiera dell’editoria.

Per le filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura incremento da 150 a 350 milioni per il 2021.

IL TESTO PREVEDE POI UN FONDO da 200 milioni «da destinare al sostegno delle categorie economiche particolarmente colpite dall’emergenza Covid, incluse le imprese esercenti attività commerciali e ristorazione nei centri storici e le imprese operanti nel settore dei matrimoni e degli eventi privati». Anche in questo caso i fondi saranno distribuiti dalle Regioni. Poi 100 milioni andranno a coprire la cancellazione di fiere e congressi e altri 150 le fiere internazionali. Tra le forme di sostegno particolari, il decreto congela la tassa sui tavolini all’aperto di bar e ristoranti fino al 30 giugno 2021.

Tutto confermato sul fronte dei licenziamenti. Blocco dei licenziamenti prorogato fino a fine giugno per tutti, esteso fino a ottobre per i settori che non hanno la cassa integrazione ordinaria. Nel frattempo viene prolungata la cassa Covid in deroga per altre 28 settimane fino alla fine dell’anno. Il tutto in vista della riforma degli ammortizzatori sociali.

INDENNITÀ UNA TANTUM DI 2.400 euro per i lavoratori del turismo, stagionali e dello spettacolo. Una indennità specifica è dedicata ai lavoratori dello sport. I disoccupati potranno accedere alla Naspi e Discoll anche senza avere lavorato nell’ultimo anno.

Sospese le causali del decreto Dignità sui contratti a termine fino a fine anno. Altri tre mesi di reddito di emergenza (Rem) e un miliardo in più per il Reddito di cittadinanza che viene modificato per favorire il reimpiego temporaneo: sarà solo sospeso per chi trova occupazione per meno di 6 mesi con un limite di 10mila euro. Finito l’impiego, non si dovrà rifare domanda.

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L'anniversario. 150 anni fa, il 18 marzo del 1871, il popolo di Parigi insorse dando vita a una forma inedita di autogoverno. La rivolta resistette solo 72 giorni ma trasformò per sempre il volto delle lotte operaie. Tra le decisioni assunte dai comunardi: la scuola sarebbe stata obbligatoria e gratuita per tutti, con insegnamento laico, non religioso

Una caricatura di Pilotell tratta dal libro «Avant pendant et après la Commune», Editions Livre-Club Diderot, 1969

 

Contro un governo intenzionato a far ricadere il prezzo della Guerra franco-prussiana sul popolo, il 18 marzo a Parigi scoppiò una nuova rivoluzione. Gli insorti indissero subito elezioni e il 26 marzo una schiacciante maggioranza approvò le ragioni della rivolta. 70 degli 85 eletti si dichiararono a favore della Comune di Parigi. Anche se resistette soltanto 72 giorni, fu il più importante evento politico della storia del movimento operaio del XIX secolo.

I MILITANTI della Comune si batterono per una trasformazione radicale del potere politico, in particolare contro la professionalizzazione delle cariche pubbliche. Ritennero che il corpo sociale si sarebbe dovuto reimpossessare di funzioni che erano state trasferite allo Stato. Abbattere il dominio di classe esistente non sarebbe stato sufficiente; occorreva estinguere il dominio di classe in quanto tale.

Le riforme sociali vennero ritenute ancora più rilevanti di quelle politiche e avrebbero dovuto evidenziare la differenza con le rivoluzioni del 1789 e del 1848. Nel mezzo di una eroica resistenza agli attacchi delle truppe di Versailles, la Comune prese numerosi provvedimenti che indicarono il cammino per un cambiamento possibile. Si organizzarono progetti per limitare la durata della giornata lavorativa.

Si decise che la scuola sarebbe stata resa obbligatoria e gratuita per tutti e che l’insegnamento laico avrebbe sostituito quello di stampo religioso. Si stabilì che le officine abbandonate dai padroni sarebbero state consegnate ad associazioni cooperative di operai e che alle donne sarebbe stata garantita «uguale retribuzione per uguale lavoro». Anche gli stranieri avrebbero potuto godere degli stessi diritti sociali dei francesi.

La Comune voleva instaurare la democrazia diretta. Si trattava di un progetto ambizioso e di difficile attuazione. La sovranità popolare alla quale ambivano i rivoluzionari implicava una partecipazione del più alto numero possibile di cittadini.

A PARIGI si erano sviluppati una miriade di commissioni centrali, sotto-comitati di quartiere e club rivoluzionari che affiancarono il già complesso duopolio composto dal consiglio della Comune e dal comitato centrale della Guardia Nazionale. Quest’ultimo, infatti, aveva conservato il controllo del potere militare. Se l’impegno di un’ampia parte della popolazione costituiva una vitale garanzia democratica, le troppe autorità in campo rendevano complicato il processo decisionale.

IL PROBLEMA della relazione tra l’autorità centrale e gli organi locali produsse non pochi cortocircuiti, determinando una situazione caotica. L’equilibrio già precario saltò del tutto quando venne approvata la proposta di creare un Comitato di Salute Pubblica di cinque componenti – una soluzione che si ispirava al modello dittatoriale di Robespierre nel 1793. Fu un errore drammatico errore che decretò l’inizio della fine di un’esperienza politica inedita e spaccò la Comune in due blocchi contrapposti.
Al primo appartenevano neo-giacobini e blanquisti, propensi alla concentrazione del potere e in favore del primato della dimensione politica su quella sociale. Del secondo facevano parte la maggioranza dei membri dell’Internazionale, per i quali la sfera sociale era più significativa di quella politica. Essi ritenevano necessaria la separazione dei poteri e credevano che la repubblica non dovesse mai mettere in discussione le libertà politiche. I suoi eletti non erano i possessori della sovranità – essa apparteneva al popolo – e non avevano alcun diritto di alienarla.

UN TENTATIVO DI RITESSERE l’unità all’interno della Comune si svolse quando era già troppo tardi. Durante la «settimana di sangue» (21-28 maggio), le armate fedeli a Thiers uccisero tra i 17mila e i 25mila cittadini. Fu il massacro più violento della storia della Francia. I prigionieri catturati furono oltre 43mila e un centinaio di questi subì la condanna a morte, a seguito di processi sommari. In circa 13.500 vennero spediti in carcere o deportati (in numero consistente nella remota Nuova Caledonia). In tutt’Europa, sottacendo la violenza di Stato, la stampa conservatrice accusò i comunardi dei peggiori crimini ed espresse grande soddisfazione per il ripristino «dell’ordine naturale» e del trionfo della «civiltà» sull’anarchia.

Eppure, l’insurrezione parigina rafforzò le lotte operaie e le spinse verso posizioni più radicali. All’indomani della sua sconfitta, Pottier scrisse un canto destinato a diventare il più celebre del movimento dei lavoratori: «Uniamoci e domani L’Internazionale sarà il genere umano!». Parigi aveva mostrato che bisognava perseguire l’obiettivo della costruzione di una società alternativa a quella capitalista. La Comune mutò le coscienze dei lavoratori e la loro percezione collettiva. Da quel momento in poi, divenne sinonimo del concetto stesso di rivoluzione.

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La vicepresidente dell'Emilia-Romagna in diretta su Facebook: "Abbiamo bisogno di aria fresca. Io ci sono, ascoltiamo giovani, donne e lavoratori"

 

 

"Se fosse proprio questo il momento buono per immaginare una cosa inedita, diversa, un'operazione pirata? Mi sembra che il quadro politico schiacci le forze più fresche della società, come possono mobilitarsi oggi tutti i ragazzi che riempiono le piazze? La soluzione non è rientrare in un Pd in grande confusione, ma ricostruire l'intero campo su basi più coerenti. Diamoci un appuntamento, la politica oggi si ostina a dividere quello che sta già pensando insieme". Elly Schlein, vice presidente della Regione Emilia Romagna, ex eurodeputata eletta con il Pd e poi uscita dai dem, ha lanciato la proposta di una mobilitazione per rispondere all'attuale terremoto politico che scuote il centrosinistra. Per ricostruire il fronte ecologista e progressista.

"Sono giorni molto complicati, in cui siamo molto impegnati nella gestione del Covid, in particolare in Emilia le varianti si fanno sentire, abbiamo diverse province in zona rossa, la stanchezza della comunità pesa moltissimo, la sofferenza delle famiglie - ha detto Schlein in diretta Facebook - ma non mi è sfuggito quello che è successo a livello politico. Zingaretti si è dimesso e mi è dispiaciuto, perché ho sempre percepito come sincero il suo tentativo di aprire una fase nuova".

Ora però, dopo la nascita del governo di Mario Draghi appoggiato da una maggioranza larghissima, bisogna costruire un campo nuovo a sinistra. "La crisi del Pd ci riguarda da vicino, chiarisce il bivio di fronte a cui ci troviamo tutti - dice Schlein - facciamola questa riflessione, il Pd non può farla da solo. C'è una ragione per cui noi non siamo nel Pd, ma sono le ragioni su cui lavorare per ricucire. In tante e in tanti la pensiamo nello stesso modo, su come ricostruire il futuro, sulla transizione ecologica, sul contrasto alle diseguaglianze. Dobbiamo dare risposte a chi sta pagando maggiormente questa crisi, cioè le donne e i giovani, che hanno ereditato dalla fase precedente contratti precari".

Questa fase non è inedita per Schlein, che partecipò alla prima "occupazione" del Pd, nel 2013. "Qualcuno guardando alle Sardine ha ricordato quando abbiamo fatto Occupy Pd contro le larghe intese- ricorda Schlein - nel colpo di mano delle forze conservatrici ci sono elementi che ci riportano dritti dritti ai 101 franchi tiratori che affossarono Prodi, Bersani e l'alleanza del centrosinistra. Figuriamoci adesso che ci sono i fondi del Recovery Fund da utilizzare.  Fa bene chi chiede una discussione larga, altrimenti il dibattito così non lo capisce nessuno. Abbiamo anche il vento a favore di una nuova consapevolezza europea, abbiamo più argomenti di ieri non meno".

Forse bisogna cogliere questo momento di "turbolenza" per immaginare qualcosa di nuovo. "E se fosse proprio questo il momento buono per immaginare una cosa inedita, diversa, un'operazione pirata? - si chiede Schlein - Mi sembra che il quadro politico schiacci le forze più fresche della società. Non servono grandi contenitori pieni di contraddizioni se sono incapaci di dare una risposta chiara su questioni cruciali, ma altrettanto respingente è la frammentazione della sinistra e degli ecologisti. Non partiamo da un nuovo partito, ritessiamo il filo dell'ascolto con quello che si muove nella società, dove nasce un un grido di rivendicazione"

"La soluzione non è rientrare in un Pd in grande confusione - è il pensiero della politica -  Dobbiamo ricostruire l'intero campo nel suo insieme su basi più coerenti. Bisognerebbe avere l'ambizione più alta di un luogo dove darci appuntamento, per fare battaglie insieme. Avere il coraggio di pensare fuori dagli schemi, per una Rete che unisca chi condivide una visione del futuro che mette insieme giustizia sociale, una rete in cui ognuno mette in gioco la propria provenienza senza stracciarla. Se pensiamo a quale partito, in appoggio di quale governo o a chi lo guida, non riusciremo a parlare con i più giovani che si stanno già muovendo. La politica si ostina a dividere ciò che sta già pensando insieme. Abbiamo bisogno di aria fresca".

Ora bisogna cercare, secondo Schlein, "valori condivisi, proposte coraggiose, persone credibili".  L'orizzonte è la "ricostruzione dell'intero campo ecologista, femminista e in grado di interpretare le nuove sfide e dare risposte ai problemi". "Io ci sono - assicura Schlein - diamoci un appuntamento e lanciamolo insieme".

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Oltre Letta. Se nel Pd c’è la maledizione delle correnti e del potere, a sinistra c’è la maledizione della frammentazione e del minoritarismo del piccolo gruppo, dei pochi ma buoni, del benaltrismo senza fine. La campana suona per tutti

 

 

Enrico Letta è il nuovo segretario del Pd

 

Per un presidente del consiglio che raccoglie una supermaggioranza, con centrosinistra e centrodestra alleati di governo, e invita a mettere da parte le rispettive identità per il bene comune, ecco un neo-segretario del Pd chiamato a governare un partito balcanizzato dalle correnti alle quali chiede di mettersi una mano sulla coscienza per lavorare tutti insieme, anche in questo caso, per il bene del paese.

In un tandem politico, Draghi e Letta pedalano dunque nella stessa direzione, da due postazioni diverse: l’uno come capo azienda e l’altro come azionista di riferimento.

E, nel tandem, il Pd è, come Letta conferma, un partito governativo di centro, che è poi l’identikit del neosegretario, osannato domenica da tutti quelli che hanno costretto Zingaretti a farsi da parte.

Sicuramente il Partito democratico è bisognoso di una vigorosa ristrutturazione politica e di una rigenerazione morale che Letta ha tradotto con l’immagine di «anima e cacciavite». Ma pur ringiovanito, femminilizzato, rigenerato e ristrutturato, resta un partito né di destra, né di sinistra (nonostante gli sforzi di etichettarlo così, come abbiamo letto su alcuni giornali), concepito soprattutto per governare.

E prima farà pace con questa sua natura e prima si riconcilierà con il suo reale destino. La spinta ideale per una Piazza Grande di zingarettiana memoria è fallita ancor prima delle dimissioni dell’ex segretario.

Punto e a capo.

La sinistra, parola che nel suo lungo discorso all’assemblea del partito Letta non ha mai pronunciato (ha usato molte volte «radicale» che è multitasking), è un’altra cosa.

E a parte le molte buone intenzioni di ordine generale, non ha demolito nessun architrave delle politiche messe in atto negli ultimi anni: dal jobs act (imposto da Renzi con arroganza e violenza politica contro la Cgil) ai lager libici, alle riforme istituzionali. Enrico Berlinguer che pure è stato evocato dal nuovo inquilino del Nazareno, non c’entra nulla con un partito che ha espunto la parola sinistra dal suo stesso nome.

È chiaro come il sole che, in questo momento di scossoni politici e sociali, la sinistra dovrebbe ricostruire il suo campo.

Tuttavia il condizionale è più che mai d’obbligo visto lo stato in cui versano le varie sigle che vi si riferiscono. Perché in teoria si tratterebbe di coltivare una vasta prateria, grande quanto l’arcipelago sociale che in questi anni ha conosciuto il protagonismo di movimenti giovanili, ambientalisti femministi insieme a nuove soggettività cresciute nel lavoro intermittente, manuale e intellettuale.

Qui c’è la materia prima, sorgente e incandescente, per ritrovare un movimento cosmopolita capace di portare molta acqua al mulino diroccato della sinistra.

Tuttavia si tratta di essere consapevoli del fatto che costruire, qui e ora, una Rete con un coordinamento strutturato e nazionale delle varie esperienze dei territori, è una condizione necessaria. Perché ciascuna associazione, movimento o tendenza fa capo a se stessa e, negli ultimi anni, troppi ormai, non ha mai trovato la forza, il coraggio di darsi una forma, un’organizzazione, pagando così lo scotto di muoversi molto e ottenere molto poco.

Risultando, il nostro paese, come l’unico in Europa, a non avere una forte rappresentanza di sinistra.

Se nel Pd c’è la maledizione delle correnti e del potere, a sinistra c’è la maledizione della frammentazione e del minoritarismo del piccolo gruppo, dei pochi ma buoni, del benaltrismo senza fine. La campana suona per tutti.

Ben venga allora un Pd che esce dai centri storici per provare a tornare nelle periferie sociali, perché chi in queste terre abbandonate ci vive e ci lavora possa avere ascolto e sostegno. Ma siamo anche noi a doverci rigenerare e riorganizzare, nelle proposte e nelle persone.

Qualche giorno fa la giovane vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elly Schlein sollecitava, proprio in questo momento di massima trasformazione determinata dalla pandemia e dai massicci finanziamenti europei, di osare un’operazione «pirata» di riunificazione del fronte della sinistra, contro le divisioni, e sollecitava una ripartenza non a cominciare dal Pd e da un partito in quanto tale, ma dalla Rete dei movimenti.

Condivido, la direzione mi sembra giusta. Per cui se c’è una talpa (o più di una) che scava in questi territori, è il momento che esca allo scoperto, per farsi vedere.

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Oggi ricorre il 34° anniversario della tragedia al cantiere Mecnavi di Ravenna, dove all'interno della nave Elisabetta Montanari trovarono la morte 13 operai.
Hanno perso la vita dentro la stiva di una nave in manutenzione, soffocati dai gas innescati dalla fiamma di un carpentiere a contatto con la melma oleosa che gli sventurati dovevano ripulire con stracci e raschietti.
Alcuni di loro erano giovanissimi e al primo giorno di lavoro, finiti nel tritacarne di appalti e subappalti. Secondo diverse testimonianze, subito dopo la tragedia, alcuni responsabili del cantiere contattarono i parenti di alcune vittime non per informarli dell'accaduto ma per ottenere il "libretto di lavoro", che serviva a regolarizzarli...lavoravano in nero.
Una tragedia di questa portata dovrebbe avere insegnato qualcosa, e invece nulla. Oltre mille decessi ogni anno per infortunio sul lavoro (spesso taciuti o messi in secondo piano dai media e dalla politica) sono troppi, per un paese che si definisce civile e all'avanguardia.
Mirco Mazzotti
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Una stiva che si trasforma in una bara. Accade la mattina del 13 marzo 1987 nel cantiere navale di Ravenna. Tredici operai, alcuni giovanissimi, restano soffocati all'interno della gasiera Elisabetta Montanari mentre erano impegnati in lavori di manutenzione e pulizia.
Le indagini riveleranno la disapplicazione delle più elementari misure di sicurezza, dalla disponibilità di estintori e presidi antincendio alla previsione di vie di fuga in caso di pericolo. Mostreranno anche la disorganizzazione del cantiere, di proprietà della Mecnavi Srl, il reclutamento di manodopera attraverso il caporalato, la presenza di lavoratori in nero.
Uomini e topi. Uomini trattati e morti come topi. Questa sarà la denuncia che rimbomberà durante i funerali e poi nei mesi e negli anni successivi. "Mai più" si dirà quel giorno. Eppure accadrà tante altre volte ancora.
Per approfondire: https://bit.ly/30Idu9e
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