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La legge sulle unioni civili ha ripreso il largo, se ne riparlerà la prossima settimana. Ieri mattina il presidente Grasso ha acceso il semaforo rosso e rimandato tutti a casa.

A chi giovi questa ennesima interruzione rispetto ai solenni, ripetuti impegni ad approvare un provvedimento già molto moderato rispetto al contesto europeo, non si capisce.

Certo non alla legge medesima, e neppure a chi aspetta di sapere se le sue scelte di vita resteranno di serie B. Quel che invece è evidente è la ricerca di un compromesso al ribasso, probabilmente lo stralcio delle adozioni, come richiesto dal centrodestra che infatti festeggia il rinvio insieme ai promotori delFamily day fautori dello slogan «affossiamo la Cirinnà, senza se e senza ma».

Di fronte a questo disastro politico-parlamentare, di fronte a questi giochi da furbetti del parlamento, si è levato un coro unanime: tutta colpa dei senatori a 5Stelle che non hanno voluto ingoiare il «canguro» del Pd. Scambiare la democrazia con i diritti però non sta in piedi. Perché mai avrebbero dovuto digerire un boccone così indigesto quando tutto il gruppo, con poche eccezioni, è a favore delle unioni civili e delle adozioni, non viene spiegato.

Del resto il velo di ipocrisia si è squarciato quando la Lega togliendo di mezzo le migliaia di emendamenti ostruzionistici ha offerto ai grillini l’occasione per invitare l’assemblea di palazzo Madama a votare la legge.

Invece si è alzato il capogruppo del Pd, Zanda, e, a corto di argomenti, ha chiesto il rinvio.

Anziché recitare il «mea culpa» per non essere capace di affrontare le proprie divisioni, il partito di maggioranza trova il capro espiatorio scambiando le proprie responsabilità con l’inaffidabilità dei 5Stelle. Che avranno fatto il loro interesse, ma avendo buon gioco di presentarlo come un voler votare subito la legge una volta caduto l’ostruzionismo leghista.

Venuto meno l’alibi, è apparso il nocciolo della questione: nemmeno il partito di maggioranza vuole votare la legge così com’è.

Alcuni pasdaran, sensibili ai richiami di Bagnasco, sono

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Venerdì a Fiumicello (Ud) le esequie private. Intanto nel Parlamento Ue c'è chi minimizza: Elmar Brok, presidente commissione esteri, definisce l'omicidio «un incidente come tanti»

Nell’accavallarsi di particolari sulla morte di Giulio Regeni, notizie e smentite, sono poche le cose certe. Innanzitutto, dopo la conclusione dell’esame autoptico che si è protratto nella notte tra sabato e domenica, ieri la procura di Roma ha rilasciato il nulla osta per la sepoltura delle spoglie. La salma sarà dunque trasferita su un carro funebre (e non su un aereo militare, come riportato da alcuni organi di informazione) da Roma a Fiumicello (Ud) domani o dopodomani, mentre il funerale si terrà venerdì alle ore 14, ma non sarà di Stato, perché così ha deciso la famiglia Regeni. «Non sarà allestita alcuna camera ardente e le esequie, religiose, saranno aperte a tutti, autorità comprese, ma senza seguire alcun cerimoniale ufficiale – riferisce al manifesto il sindaco di Fiumicello, Ennio Scridel -. La cerimonia si terrà nella palestra comunale, perché la chiesa del paese è troppo piccola per accogliere tutti».

In molti, infatti, tra i tanti amici parenti e colleghi di Giulio, si stanno organizzando da vari punti del mondo per raggiungere il piccolo paese friulano che domenica si è stretto in un abbraccio simbolico alla famiglia Regeni dichiarando il lutto cittadino e chiedendo, con una fiaccolata molto partecipata, che sia fatta giustizia e venga appurata la verità vera sul barbaro omicidio.

E di macabri particolari si arricchiscono le cronache, ma non tutti sono confermati. Ieri «fonti investigative qualificate» dell’Ansa rivelavano dettagli terrificanti delle sevizie subite dal giovane ricercatore che sarebbero emerse dall’autopsia

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Presidio alla Legacoop, Bologna 5 febbraio 2016

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Inps. Il lavoro a scontrino, o "buoni lavoro", cresce a dismisura. In un solo anno: +67%. In aumento anche i contratti a tempo indeterminato (oltre 500 mila), ma la maggior parte sono trasformazioni e non nuove attivazioni. Per Renzi è la prova dell'inutilità delle polemiche sul Jobs Act. In realtà non capisce i numeri e twitta a caso.

L’Inps attesta il boom dei voucher, l’ultima frontiera del precariato in Italia. Per l’Osservatorio sul precariato tra gennaio e novembre del 2015 i «buoni lavoro», detti anche «lavoro a scontrino» da 10 euro di valore nominale sono aumentati del 67,5%, oltre i 102 milioni, con punte del +97% in Sicilia. Servono a pagare gli stagionali dell’agricoltura, camerieri, baby sitter, giardinieri e colf. Per legge non possono percepire dai loro committenti più di 7mila euro all’anno. La soglia è stata aumentata dalla legge Fornero (da 5 a 7 mila). Oggi, questo “buono lavoro” costituisce la forma prevalente per il lavoro precario del futuro: quello stagionale.

Voucher, il lavoro nero istituzionalizzato

Per legge questi lavoratori non possono percepire dai loro committenti più di 7mila euro all’anno.

In un solo anno, sostiene l’Osservatorio Inps, sono stati piazzati il 67,5% di buoni in più. Oltre alla Sicilia, c’è il boom dell’85,6% in Liguria e dell’83,1% e 83% in Abruzzo e in Puglia. Il Nord è l’area del paese dove si utilizzano di più: due terzi del totale.

Il lavoro accessorio coinvolge oltre un milione di persone in Italia, in media di 36 anni in maggioranza donne (517.474, 492.052 sono i maeschi maschi). In sette anni sono stati venduti oltre 162 milioni di voucher, in gran parte con un valore nominale di 10 euro (il 94,1% del totale): 7,5 euro di retribuzione netta e 2,5 di contributi Inps e Inail. Il compenso medio per questo milioni di lavoratori a scontrino è di 500 euro all’anno.

“L’incremento dei voucher può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione”, aveva denunciato Tito Boeri, presidente dell’Inps. La contribuzione di questi lavoratori alla gestione separata dell’Inps si ferma al 13% del reddito. I loro trattamenti pensionistici futuri saranno veramente minimi. O inesistenti.

Il voucher, nato per fare emergere il lavoro nero, lo ha in realtà istituzionalizzato.

#Renzi: #avantitutta

Sul lato dell’occupazione «standard» si registrano 510.292 posti a tempo indeterminato in più. Subito è scattato il tweet di (auto)celebrazione di Renzi: «INPS dimostra assurdità polemiche su Jobsact #avantitutta».

Ma è vero? Ovviamente no. Renzi (o lo spirito che si è impossessato del suo account twitter) non capisce i numeri, né sa leggere i comunicati. L’Inps precisa che l’aumento dall’occupazione deriva dalla droga degli incentivi alle aziende (l’esonero contributivo) e non dal Jobs act. La metà dei contratti in più deriva dalle trasformazioni contrattuali (+25,8% quelle di rapporti a termine, +25,3% quelle di rapporti di apprendistato) più che da nuove attivazioni (+9,7%).

“Abbiamo la sensazione di essere in presenza, più che di una ripresa strutturata, di un utilizzo utilitaristico delle nuove norme da parte delle imprese, guidate dalla convenienza economica. Ma da qui a dire che si è sconfitto il precariato ce ne vuole” afferma Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil.

E’ la nuova frontiera del precariato.

#Avantitutta verso l’opportunismo dei capitalisti all’italiana

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No Ombrina. Via libera al quesito già ammesso dalla Cassazione sulla durata del permesso ai petrolieri. Esultano le nove regioni e le 200 associazioni del fronte No Triv. Battuto il governo che voleva impedire la consultazione. Gli ambientalisti chiedono di fermare le perforazioni fino ad un nuovo Piano energetico nazionale.

Si farà il referendum antitrivelle: esultano 9 Regioni e oltre 200 associazioni di tutta la Penisola. La Corte Costituzionale, infatti, ha dato l’ok all’unico dei quesiti referendari, contro gli idrocarburi, ammesso dalla Cassazione lo scorso 8 gennaio. I giudici hanno deciso, in poco più di tre ore, sulla richiesta di sottoporre alla valutazione popolare il sesto quesito, «quello sul mare».

«I cittadini – spiega in una nota il coordinamento nazionale “No Triv“saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento. La sentenza della Consulta dimostra come le modifiche apportate dal Governo con la Legge di stabilità – aggiungono — non soddisfacevano i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione».

Tre dei sei quesiti depositati il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla legge di stabilità, emendata: il parlamento ha modificato le norme su strategicità, indefferibilità ed urgenza delle attività petrolifere, che erano poco garantiste sulla partecipazione dei territori alle scelte. Un altro quesito è stato ora ammesso dalla Corte Costituzionale, mentre sugli ultimi due è stato promosso, da sei Regioni, un conflitto d’attribuzione tra poteri di fronte alla Consulta e nei confronti dell’Ufficio centrale della Cassazione.

I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle aree che – spiegano i No Triv — obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le zone in cui è possibile avviare progetti di trivellazione. «Si tratta di uno strumento di concertazione che risulta essere fondamentale soprattutto se con la riforma del titolo V si accentra il potere in materia energetica nelle mani dello Stato». «Sappiamo ora che su uno dei quesiti centrali ci sarà il referendum, a meno che governo e parlamento intervengano sulla materia», afferma l’avvocato Stelio Mangiameli che ha rappresentato i Consigli regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise di fronte alla Consulta. All’ultimo momento, invece, ha battuto in ritirata l’Abruzzo che, con un voltafaccia del presidente della Regione Luciano D’Alfonso (Pd), si è infine schierato contro il referendum e a fianco del governo.

«Le norme precedenti — prosegue il legale — prevedevano, per i titoli già concessi, proroghe di 30 anni, aumentabili di altri 10 e altri 5. Le modifiche introdotte con la legge di Stabilità eliminano la scadenza trentennale e fanno sì che in sostanza non ci sia più un termine. Su questo punto ci sarà il referendum».

«Il fronte referendario è sul 4–2 nella disputa con il premier — dichiara il costituzionalista Enzo Di Salvatore, docente all’università di Teramo, colui che ha materialmente scritto i quesiti -. Il governo voleva far saltare il referendum, visto che i sondaggi davano la vittoria antitrivelle al 67%».

«Il presidente Renzi dev’essere contento perché quando il popolo irrompe sulla scena della democrazia, chi è iscritto al Partito democratico dev’essere contento per definizione»: così il governatore della Puglia, Michele Emiliano -. «Per festeggiare il risultato – dichiara — organizzerei un corteo con le automobili. Qui la campagna per il voto comincia subito». E non risparmia di commentare l’abbandono da parte dell’Abruzzo: «È come quando uno si vende la schedina prima della partita, e poi si ritrova col tredici. Lo dico con affetto nei confronti del mio amico Luciano D’Alfonso, che avrebbe potuto gioire con noi». «Non c’è uno Stato centrale che ama l’Italia e un territorio che la odia. L’interesse strategico di un Paese, con lealtà e trasparenza lo si costituisce insieme. E questo è un passo importante», gli fa eco il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (Pd).

«Questa sentenza ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo: rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da “Ombrina”) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione off shore e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale»: così Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e Wwf accolgono il giudizio della Consulta. «Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi – attaccano — aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come “opere strategiche”, dunque imposte. La Corte Costituzionale rimette al giudizio dei cittadini quei meccanismi legislativi truffaldini con cui si è aggirato sino ad oggi un divieto altrimenti chiaro, lasciando campo libero ai signori del greggio fin sotto le spiagge».

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È l’occasione per legare temi sociali e istituzionali, decisiva la raccolta di firme contro l’Italicum, il lavoro, la scuola e l’ambiente. Il nuovo soggetto politico ha bisogno di un profilo politico e programmatico riconoscibile. Senza mettere l’ostacolo delle pregiudiziali

La rottura intervenuta all’ormai famoso tavolo promosso da L’Altra Europa con Tsipras per un processo costituente di un soggetto politico della sinistra – avvenuta per ben distribuite e differenziate responsabilità – non può e non deve significare l’abbandono di quel progetto. Diversi sono gli appelli unitari che vengono dai territori in questi giorni che ne reclamano giustamente il perseguimento. Certamente quel tavolo non può essere rimesso in piedi così come era. Probabilmente la sua stessa ristretta composizione non ha aiutato. Logiche identitarie e conservative hanno prevalso. Né si può accettare il paradosso che l’allargamento della sua composizione a chi nel frattempo ha abbandonato il Pd sia stato di per sé fattore di crisi anziché di arricchimento. Il percorso si fa quindi più articolato, complesso e forse più lungo. Ma non va abbandonato.

Tanto più che l’anno che comincia ci offre una occasione difficilmente ripetibile di fare rivivere alla politica una dimensione di massa. Mi riferisco in primo luogo alla stagione referendaria che sta per aprirsi, senza trascurare le elezioni amministrative in importanti città. Renzi scommette tutto sul referendum costituzionale. Ha posto una sorta di fiducia sul suo esito. Vuole ingaggiare il guru della campagna per l’elezione di Obama, per una campagna martellante e non solo televisiva. Battaglia soda, avrebbe detto il Machiavelli. Da un lato dimostra tutta la pochezza di questa classe dirigente. Mai i costituenti di un tempo avrebbero pensato di schiacciare sulla contingenza politica il tema della Costituzione che dovrebbe avere ben altro respiro. Dall’altro lato è vero che se dovesse perdere, neppure l’Italicum starebbe in piedi e crollerebbe l’intero impianto neoautoritario su cui Renzi fonda il suo governo e il suo potere. E questo Pd senza il governo non è nulla. Anche perché nella sua foga di distruggere i corpi intermedi della società, tra cui i sindacati e i partiti, Renzi ha in primo luogo macinato il proprio.

Il referendum costituzionale è senza quorum, uno scontro diretto fra il No e il Sì senza l’ausilio dell’astensione.. Se lo si vuole vincere – e non è impossibile –bisogna mettere in campo tutta la passione, l’intelligenza e le forze di cui disponiamo e che dobbiamo accrescere e affinare nella campagna stessa. Non solo, ma è fondamentale legare i temi sociali con quelli istituzionali. Per questo sarà decisiva la raccolta delle firme nella primavera per l’abolizione dell’Italicum, delle cattive leggi sul lavoro, la scuola e l’ambiente che hanno caratterizzato il neoliberismo renziano. Non c’è nulla di automatico in questo, anzi ci vorrà molto pensiero e buona comunicazione: ma l’occasione per legare assieme battaglia politica e sociale, per fornire nuova linfa alla coalizione sociale e ad un necessario nuovo soggetto politico della sinistra è troppo ghiotta. L’idea che si possa fare a meno di una rappresentanza politica della sinistra bastando in sua vece l’autorappresentazione sociale è smentita dalla storia e anche dai recenti successi di una rinata sinistra in più punti d’Europa.

Un contributo alle prove di una sinistra autonoma dal Pd e da un centrosinistra –morto nell’anima e di cui si vorrebbero fare sopravvivere solo le vuote spoglie – potrà venire anche dalle prossime elezioni amministrative. A condizione che si separi concettualmente prima ancora che fattualmente, la politica delle alleanze dalla logica del vincolo coalizionale. La prima è un classico sempre rideclinabile della politica del movimento operaio, a livello politico e sociale. Ma parte dalla condizione imprescindibile dell’autonomia politica e organizzativa del soggetto di sinistra. La seconda costituisce una prigione che condanna forze minori a essere satelliti attorno al pianeta Pd. E’ curioso che di fronte a una legge elettorale che conferisce il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, ci sia ancora chi indulge al tema delle primarie e della coalizione preventiva con il Pd. Tema che solleverei anche all’attenzione di Aldo Bonomi, pur nel rispetto delle specificità sociali e culturali del quadro milanese, che non mi sono ignote.

In alcune città, ricordo per difetto Torino, Bologna, Roma, si stanno costruendo percorsi che dimostrano non solo la necessità, ma la possibilità di liste unitarie di sinistra alternative al Pd capaci di affrontare nella sua complessità la problematica del vivere urbano.

Nel frattempo non vanno perdute occasioni di incontro unitario. Non è l’inizio del processo immaginato dal tavolo, ma l’appuntamento previsto per febbraio da Act può diventarne una tappa se si apre alla codecisione di temi, modalità e finalità. Se così non avverrà, sarà una sconfitta per tutti.

Ma che caratteristiche deve avere questo nuovo soggetto politico della sinistra? In molti giustamente se lo domandano e tutti invocano innovazione. Più facile dire cosa non deve essere – viste le esperienze fallimentari in questo campo – cioè non un semplice soggetto elettorale, non una federazione di sigle, certamente non un partito “monolitico”. Alcuni si ispirano ai modelli esistenti — da Syriza a Podemos passando per la Linke, spingendosi fino alle formazioni latinoamericane — che però sono uno diverso dall’altro e ogni processo se è reale deve anche essere originale. Se pensiamo che si tratti di organizzare politicamente una parte della società, ora depredata delle sue rappresentanze e delle sue “casematte”, la parola partito non dovrebbe costituire uno scandalo per alcuno, pur non esaurendo l’opera di ricostruzione dei corpi intermedi, cioè delle vene della democrazia.

Ma non nasce come Minerva dalla testa di Giove. Deve essere frutto di un processo costituente, immerso nel dibattito culturale e teorico – senza la costruzione di un profilo politico e programmatico riconoscibile non si va da nessuna parte — quanto nella più concreta lotta sociale e politica. Ma questo comporta che non si pongano pregiudiziali tanto all’inizio del processo – come lo scioglimento immediato delle forze esistenti, perdendosi così nel bicchiere d’acqua dei veti e delle pretese – quanto e soprattutto al suo esito che, per avere successo, dovrà andare ben oltre il quadro peraltro assai gracile e incerto che oggi ci offre la sinistra.

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