L’Arlecchino di Goldoni era servitor di due padroni, la Lega di tre. Salvini un mese fa è volato in Usa e si è allineato con Trump sulle sanzioni all’Iran, in pieno contrasto con la linea europea e gli interessi delle nostre imprese. Tutto questo senza che i Cinquestelle dicessero una parola. È andato diverse volte in Russia e forse – ma è da accertare – ha ricevuto soldi da Mosca, per poi non fare niente sulle sanzioni. E nel dicembre scorso il ministro degli interni è andato in Israele e ha schiacciato le sue posizioni su quelle dello Stato ebraico come mai aveva fatto un ministro nella storia della repubblica italiana, mettendo persino a rischio i soldati italiani in Libano, si ricorderà, con le sue dichiarazioni contro Hezbollah.
Negli Stati uniti ora compaiono registrazioni che replicano quanto già apparso sui giornali mesi fa. C’è qualche cosa che non quadra: due Stati ottengono da Matteo Salvini appoggi importanti in contrasto con la nostra politica estera e pure gratis. La Russia invece paga per non avere contropartite. Qual è la logica?
Come vedete bene le questioni aperte non sono soltanto eventuali finanziamenti russi alla Lega, sui quali è in corso un’indagine della procura di Milano. La questione di fondo è la politica estera di questo governo e di questo Paese, che nel 2011 con la caduta di Gheddafi ha subito la peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Il progetto della Lega è di entrare a far parte del «nuovo atlantismo» che vede la Nato tradizionale sempre meno importante. Anzi in queste ore la vecchia Nato è in crisi nera per lo scontro tra Trump e Erdogan sulla prima consegna ad Ankara del sistema missilistico di difesa S-400 russo mentre gli Usa hanno congelato la fornitura dei caccia F-35 (di cui la Turchia produce 900 componenti). Una sfida che ci interessa: gli Usa, con il favore di Salvini, potrebbero «scaricare» all’Italia una parte delle mancate forniture alla Turchia dei cacacciabombardieri F-35.
Donald Trump sta cercando di costituire alleanze trasversali perché la Nato non gli serve quasi più. La sua prima visita all’estero è stata in Arabia saudita, con un carico miliardario di armi, per vedere come avvicinare Riad a Israele e costituire un fronte tra Usa- monarchie del Golfo, stati arabi «amici» e Stato ebraico.
Questa alleanza ha quattro funzioni 1) tenere a bada il ritorno della Russia in Medio Oriente e la crescente influenza cinese 2) mettere nel mirino l’Iran sciita, avversario delle monarchie sunnite e di Israele, che è riuscito a tenere in piedi Assad con l’aiuto di Putin 3) manovrare l’integralismo islamico secondo le necessità degli Usa e delle monarchie arabe facendo fuori i Fratelli Musulmani che si oppongono alle dittature regionali 4) comprarsi – ma pare difficile per il momento – i palestinesi con i soldi del Golfo.
In questo quadro la nuova Nato dovrebbe fare leva sui Paesi dell’Est che tutti sono entrati nell’Alleanza ben prima di entrare nell’Ue, per fronteggiare la Russia e contenere l’espansione dei progetti nel gas e infrastrutturali della Germania con Mosca e Pechino. La manovra è riuscita solo in parte trascinando la Polonia nel campo americano ma è fallita quando si è trattato di attuare l’avvicinamento tra Varsavia e Israele.
Per questo la Lega si è opposta agli accordi dei Cinquestelle con la Cina. La Lega obbedisce alle grandi strategie degli Stati Uniti che intendono mantenere sotto tiro Pechino. E comunque anche nel caso gli Usa e la Cina si mettessero d’accordo sui dazi gli spazi di mercato saranno occupati soprattutto da aziende americane non da quelle europee e italiane.
Per quanto riguarda il Mediterraneo, Salvini si allinea a Israele, privando l’Italia del ruolo storico di Paese «ponte» con la Sponda Sud. In poche parole la politica estera leghista rinuncia a ulteriori spazi di manovra sperando che alleati forti come Usa e Israele lo tengano in sella bilanciando il suo isolamento in Europa con una posizione di rilievo nella Nuova Nato. Per questo obiettivo è più disposto a pagare che a essere pagato.
In questo contesto i russi avrebbero beneficiato Salvini per niente. O forse per qualche partita futura. Del resto Putin e Trump si guardano con simpatia e forse un giorno appianeranno la questione Ucraina, visto che l’Europa non ci riesce. Mentre Israele tiene sotto botta il Cremlino e i suoi oligarchi che per operare all’estero si servono di passaporti israeliani, Non c’è un contrasto così lacerante ad avere tre padroni, tre padrini, tre sponsor. Sono questi i moderni sovranisti del protettorato americano.
Commenta (0 Commenti)Le carte. Perché il progetto di regionalismo differenziato consegna la Repubblica una e indivisibile all’archivio della storia
Meritoriamente, il sito roars.it pubblica le bozze di intesa datate 16 maggio, che il Dipartimento affari giuridici e legislativi aveva colpito e affondato nell’appunto consegnato al presidente del Consiglio Conte. Tre corposi faldoni, di 68 pagine per Veneto e Lombardia, e 62 per l’Emilia-Romagna. La sintesi è quanto mai semplice: a meno di una radicale riscrittura, con l’approvazione delle intese lo Stato in queste tre regioni – l’Emilia-Romagna segue le altre a ruota – sostanzialmente chiude i battenti, sostituito da una sorta di aggregazione di staterelli indipendenti. La Repubblica una e indivisibile è consegnata all’archivio della storia.
L’unità ha fondamenti immateriali e materiali. Quelli immateriali sono essenzialmente culturali, e sono primariamente affidati alla scuola, nazionale e pubblica. Nelle intese con Veneto e Lombardia viene smantellata. Di questo si parla altrove in questa stessa pagina. Ma altrettanto importanti sono i fondamenti materiali: le infrastrutture, la distribuzione delle risorse pubbliche.
Quanto alle infrastrutture, lo shopping è completo. A una prima lettura della bozza per il Veneto tra le parti già concordate e quelle ulteriormente chieste dalla regione, ad esempio, troviamo: trasferimento al demanio regionale della rete stradale nazionale; subentro nelle concessioni delle tratte comprese nel territorio veneto della rete autostradale nazionale, con trasferimento al demanio e al patrimonio indisponibile e disponibile della Regione alla scadenza delle concessioni; trasferimento al demanio della Regione degli aeroporti nazionali; subentro nelle concessioni statali di rete ferroviaria complementare; approvazione delle infrastrutture strategiche di interesse regionale nonché, di intesa con il governo, di quelle strategiche di competenza statale, ivi inclusa la relativa procedura di Via.
Sulle risorse, rimane il meccanismo di privilegio fiscale che parte da una spesa storica distorsiva a danno del Sud, passa per un transitorio di Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e fabbisogni standard mai fin qui stabiliti perché avrebbero comportato – e comporterebbero anche oggi – un inatteso e politicamente insostenibile riequilibrio a favore del Mezzogiorno, e approda a un valore nazionale medio che la ministra Stefani ha taroccato riferendolo alla sola spesa delle amministrazioni centrali. Andava invece legato alle complessive risorse pubbliche destinate al territorio, per cui il Nord è in cima alle classifiche. Si prevedono anche numerose riserve a favore della regione. Un indiscutibile privilegio fiscale.
Si aggiungono poi infinite altre cose: assunzione di vigili del fuoco, rischio sismico, regionalizzazione delle soprintendenze, programmazione di quote di ingresso di cittadini extracomunitari, previdenza integrativa, sostegno alle imprese, ricerca aerospaziale e quant’altro. La domanda è: cosa ha a che fare tutto questo con le «forme e condizioni particolari di autonomia» di cui all’articolo 116, comma 3 della Costituzione? Ovviamente, nulla.
Alla Padania secessionista di Bossi si è sostituito un «grande Nord» separatista. Un continuum di regioni composto da tre speciali (Friuli, Trentino, Val d’Aosta) e da cinque ordinarie che vogliono raggiungere un regime di simil-specialità attraverso l’articolo 116 (Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna). Una via incostituzionale per il miraggio di agganciarsi all’Europa forte, a spese del resto del paese. Una via sulla quale un effetto domino inevitabile sulle altre regioni frantumerebbe l’unità.
Il presidente della regione Emilia-Romagna Bonaccini dice di temere che l’autonomia diventi una barzelletta. Ma è lui, con gli altri due governatori, a voler rendere l’Italia unita una barzelletta.
Commenta (0 Commenti)Scenari. Ancora una volta una modifica della Costituzione viene proposta in stretto rapporto con la legge elettorale. La Lega vuole infatti che resti in vigore la sostanza dell’attuale legge elettorale (rosatellum) perché con i voti stimati per la Lega questo partito potrebbe ottenere una maggioranza parlamentare paragonabile a quella di Berlusconi nel 2008, per di più con alleati subalterni
Nei prossimi giorni il Senato sarà chiamato ad approvare in seconda lettura la proposta di legge di modifica della Costituzione che riduce il numero dei parlamentari. La seconda lettura di Senato e Camera è quella definitiva.
IL DIFETTO di fondo di questa proposta di modifica della Costituzione, che riduce i parlamentari, è motivata dalla riduzione dei costi. Per ridurre veramente ridurre i costi è sufficiente ridurre quanto va ai parlamentari, misura discutibile ma l’unica con effetto certo, rapido, finora non adottata. Invece la maggioranza verde – gialla ha scelto la via della riduzione dei parlamentari e quindi vuole modificare la Costituzione. Non è vero che così i lavori parlamentari sarebbero semplificati, tutto il funzionamento resterebbe come ora. Semmai la semplificazione è avvenuta al Senato, presidente Grasso, cambiando il regolamento interno, cosa che la Camera finora non ha fatto.
Ancora una volta una modifica della Costituzione viene proposta in stretto rapporto con la legge elettorale. La Lega vuole infatti che resti in vigore la sostanza dell’attuale legge elettorale (rosatellum) perché con i voti stimati per la Lega questo partito potrebbe ottenere una maggioranza parlamentare paragonabile a quella di Berlusconi nel 2008, per di più con alleati subalterni.
Pochi finora sanno che la nuova legge elettorale è già approvata e che entrerà in funzione automaticamente se passerà la riduzione dei parlamentari. Ancora una volta la modifica della Costituzione è strettamente legata a una legge elettorale che garantisca la maggioranza in parlamento, in questo caso il risultato si ottine mantenendo la sostanza attuale, con la conseguenza di parlamentari di fiducia del capo partito.
L’ATTUALE LEGGE elettorale senza esplicitare la soglia per l’elezione di fatto a livello nazionale porterà la soglia di accesso al 5% alla Camera, almeno il doppio al Senato. In tante situazioni la soglia sarà più alta, escludendo tutti i partiti minori.
Pochi partiti si spartiranno i parlamentari. Il vero obiettivo della modifica della Costituzione è avere meno parlamentari, più obbedienti. Non è un miglioramento del funzionamento del parlamento, al contrario, si fara’ un ulteriore balzo verso la riduzione del ruolo del parlamento.
Già ora tra continui decreti legge, voti di fiducia a raffica, provvedimenti disciplinari contro i dissenzienti, che in parlamento dovrebbero essere garantiti non repressi, abbiamo già un parlamento che conta poco, ridotto spesso al silenzio e perfino ad approvare a scatola chiusa provvedimenti che non conosce, imposti dai capi della maggioranza.
In futuro la funzione del parlamento sarà ancora di più di ratifica. La riduzione dei deputati e dei senatori insieme alla legge elettorale apre la strada ad un accentratamento ulteriore delle decisioni, fino a ribaltare l’assetto istituzionale definito dalla nostra Costituzione.
PERCHÉ il M5Stelle preme per questa decisione? All’origine era la spinta ideologica anticasta, ora prevale la possibilità di ottenere così un’assicurazione sulla vita di questo governo. Chi conta nel movimento non vuole la crisi di governo. Il conto è presto fatto. L’approvazione definitiva della modifica costituzionale dovrebbe avvenire entro luglio (Senato e Camera) ma se non otterrà i due terzi dei voti, che non consentirebbero il referendum costituzionale, questo ci sarà tra fine anno e primavera 2020. Se la maggioranza perde il referendum va a casa, ma se vince avrà bisogno di tempo per definire i nuovi collegi, come è previsto dalla nuova legge elettorale e quindi prima del 2021 il voto non è possible. Quindi la modifica della Costituzione è un modo per fare durare questa maggioranza e questo governo per almeno due anni, sperando nel frattempo di arrestare il crollo elettorale rilanciando argomenti anticasta, che però oggi avrebbero il difetto di investire anche chi li usa.
Il problema da risolvere, come sempre, è l’impaccio dell’opposizione. Senza sottovalutare la difficoltà dell’argomento, il problema si pone perché la maggioranza verde gialla proverà ad approvare la riduzione dei parlamentari comunque. A meno di incidenti di percorso punterà all’approvazione e quindi il referendum ci sarà. Se questo è lo scenario più probabile, è necessario individuare con rapidità, subito dopo l’approvazione, la linea di contrasto agli argomenti, pochi e strumentali, della maggioranza, preparandosi al referendum popolare.
CERTO, SI PUÒ ridurre il numero dei parlamentari, ma farlo così è sbagliato perché porta ad una riduzione della capacità di rappresentare il paese senza neppure risolvere il problema che pone la parità delle camera. Non l’ha risolto Renzi che proponeva un Senato posticcio, una specie di circolo della caccia per Regioni e Sindaci, non lo risolve questa riduzione dei parlamentari perché mantiene inalterati i difetti delle camere paritarie. Meglio sarebbe stato lasciare la sola Camera dei deputati con l’attuale rappresentanza, superando il raddoppio paritario senza compromettere la rappresentanza.
Ancora una volta un pasticcio. Ancora una volta occorre mettere in campo un’opposizione per evitare che venga manomessa la Costituzione senza valutarne le conseguenze negative. L’opposizione deve confermare la sua esistenza.
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A Lampedusa non è stato previsto alcun dispositivo per lo sbarco dei 46 migranti Mediterranea accusa: "E' sequestro di persona, la gente ha necessità di andare in bagno" Il ministro tedesco Seehofer scrive al leader Lega: " Riapra i porti italiani"
dal nostro inviato MARCO MENSURATI e ALESSANDRA ZINITI
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I 54 salvati dalla ong Mediterranea saranno portati a La Valletta che ce ne consegnerà altri 55. Salvini firma il decreto per non far attraccare la nave Alex in porto. Tredici persone, tra le quattro donne incinte e bambini sono stati trasbordati dalla barca a vela, ferma davanti a Lampedusa, ad una motovedetta della guardia costiera. Gli altri restano sull'imbarcazione stipata all'inverosimile, sotto il sole che non dà tregua
dal nostro inviato MARCO MENSURATI
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Governo. Dopo il lungo vertice notturno a palazzo Chigi, i presidenti di Lombardia, veneto ed Emilia Romagna protestano: «Una riformicchia non ci interessa». Ancora in alto mare l'accordo sull'iter parlamentare, lunedì nuovo round tra Lega e M5S
Una schiarita sulla questione delle risorse, niente di fatto sul nodo delle competenze del parlamento nell’introduzione dell’autonomia differenziata per le tre regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che la chiedono. Questo il bilancio del mega vertice notturno di mercoledì a palazzo Chigi (quasi un Consiglio dei ministri), che quindi malgrado fosse annunciato come decisivo prelude a un nuovo appuntamento. Lunedì si parlerà dell’iter della legge in parlamento, ammesso che prima o poi il governo riuscirà a mettere a punto una proposta e che le tre regioni la accettino. L’accordo andrebbe a quel punto trasfuso in un disegno di legge – quanto dettagliato è argomento di contrattazione – che il parlamento dovrà approvare. Come?
Se la Lega – grande sponsor della riforma – fino all’altro ieri spingeva per un passaggio solo formale – relazione di Conte, rapido esame delle due commissioni bicamerali che si occupano di questioni regionali – adesso Salvini apre al coinvolgimento delle commissioni di merito. Che sono tante, e in tutti e due i rami del parlamento, vista l’ampiezza delle materie che le regioni chiedono di poter amministrare direttamente (23 materie Lombardia e Veneto, 15 Emilia Romagna). Questa «concessione» del vicepremier – obbligata visto che si tratta di una riforma di portata costituzionale – non risolve molto, perché il punto è se le commissioni e poi l’aula potranno o no emendare il contenuto degli accordi stato-regioni. Il presidente della Lombardia ha capito il rischio e ieri ha dichiarato: «L’accordo non può essere modificato in assenza delle regioni. Per essere modificato un accordo tra due persone serve che quelle due persone siano presenti. È una procedura che dovranno ancora chiarire».
L’allarme del governatore Fontana suona anche sulla questione delle risorse: «Una riformicchia non mi interessa», dice. E come lui anche il presidente del Veneto Zaia – «io non firmerò un accordo a ribasso, vogliamo un’autonomia vera con le 23 materie» – e il presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini: «È un anno che ogni settimana il governo ci dice che la settimana successiva firmeremo per l’autonomia. Ci si dica sì o no, non siamo gente abituata a farci prendere in giro».
Il fuoco di sbarramento si spiega con l’intesa che i 5 Stelle e i leghisti hanno firmato nella notte del vertice, grazie alla presenza del ministro Tria che ha ripetuto ancora una volta come lo stato centrale non possa essere messo di fronte al dilemma se aumentare la spesa o tagliare le prestazioni alle regioni meno ricche. Il nodo è ancora quello della quantificazione della componente regionale della spesa per le prestazioni pubbliche, una volta effettuata la quale il meccanismo prevede che la regione possa trattenere una corrispondente quota di Irpef.
I 5 Stelle hanno ottenuto dalla Lega un prolungamento del periodo nel quale la spesa regionale sarà conteggiata con il metodo del costo storico (da uno a tre anni), cancellando la fase intermedia originariamente prevista nelle prime bozze, durante la quale la spesa doveva essere calcolata con il metodo dei costi medi nazionali . Si tratta comunque di criteri che penalizzano, più o meno, le regioni del Sud, nell’attesa che vengano stabiliti i livelli essenziali delle prestazioni. Attesa che però dura dalla riforma del Titolo V, cioè da 18 anni.
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