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E' morto Valentino Parlato, tra i fondatori del manifesto, di cui è stato più volte direttore e presidente della cooperativa editrice. Era nato a Tripoli, in Libia, il 7 febbraio 1931. 

Comunista per tutta la vita, ha militato nel Pci fino alla radiazione, lavorato a Rinascita, fondato e difeso il manifesto in tutta la sua lunga storia

 

Per ora ci fermiamo qui, abbracciando forte la sua splendida famiglia e tutti i compagni che, come noi, l’hanno conosciuto e gli hanno voluto bene.

 

 

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Gianni Ferrara da "il manifesto" del 26 aprile 2016

Mélenchon rivela, dimostra, impone alla sinistra italiana, se c’è e vuol esserlo davvero, cose chiare e nette. Rivela che meritare di essere definita «estrema» non impedisce di ottenere tanti voti quanto quelli che la distanziano di poco dalle due maggiori formazioni politiche.
Il risultato del primo turno dell’elezione in Francia dimostra, anzi, che la somma dei voti della sinistra estrema e del partito socialista, che è quello di Hamon e non quello di Hollande e degli altri converti al liberismo, supera quelli di Macron (23,8 %), il primo dei duellanti al secondo turno, dato che 19,6%, più 6,3 % è eguale a 25,9%. Essere di sinistra, anche estrema, non condanna perciò alla irrilevanza politica. Perché la sinistra non è morta col crollo del muro di Berlino.
Dimostra Mélanchon che si può rappresentare, quindi raccogliere, esprimere, assumere come propri e manifestare i bisogni, gli interessi, le domande, i progetti che emergono della classe sociale dei lavoratori.
Evitando, fortunatamente, di denominarli come partecipanti ad una gara podistica, primi, secondi, ultimi, penultimi … e nascondendo così che la loro è la condizione di vita determinata dal rapporto capitalistico di produzione. Rapporto che non è stato trasformato né dalla rivoluzione informatica né dalla globalizzazione che altri profili, anche importanti, hanno modificato, ma non certo la sua struttura quella salariale, che accomuna operai e impiegati, che, come tali, vengono sfruttati.
È quello stesso rapporto che investe i precari in quanto aspiranti allo sfruttamento, così come i disoccupati permanenti, depauperati anche della condizione di sfruttati. È, infine, quello degli emarginati dalle crisi di sovrapproduzione o da quella che da dieci anni attanaglia l’Europa, e che, con la finanziarizzazione dell’economia, prova a frenare o a mitigare le conseguenze della caduta tendenziale del tasso di profitto.
Mélanchon indica senza infingimenti che questa Europa è la maggiore e più evidente responsabile della sua regressione incessante sul piano della sostenibilità sociale. Non solo su questo giornale e già sulla rivista di questo giornale abbiamo denunziato cento volte l’accumulo di assurdità istituzionali e di totalitarismo normativo contenuto nei Trattati e riassunto in quello di Lisbona.
Oggi una forza politica europea non sospetta di popolarismo come la «sinistra radicale francese» pone come suo obiettivo programmatico la democratizzazione dell’Unione europea. Democratizzazione, quindi, non uscita avventuristica dall’Ue, consapevolezza quindi della impossibilità di lottare efficacemente contro il capitalismo da una dimensione territoriale minore da quella continentale. Democratizzazione che, per essere tale, deve radiare l’immunità politica dei consigli europei che, sotto lo scudo della collegialità, offre agli esecutivi degli stati dell’Ue, cioè ai produttori dei regolamenti europei, l’irresponsabilità politica delle norme che produce su proposta della Commissione, l’esecutivo per eccellenza dei Trattati, che a loro volta furono deliberati dagli esecutivi degli stati. Quei Trattati che pongono come fine esclusivo dell’Ue e come mezzo per raggiungerlo l’economia di mercato aperto e in libera concorrenza.
Dalla vicenda della sinistra radicale europea, dal suo irrompere imponente ed improvviso sulla scena francese la sinistra italiana deve trarre tutte le conseguenze. Innanzitutto quella di sapere che può esistere, e lo può, senza accoppiamenti snaturanti, senza attenuazioni o falsificazioni abiuranti, senza revisioni stravolgenti. Lo può se decide di essere sinistra.

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Il lugubre voto in Francia: l’analisi di Rossana Rossanda | Il Manifesto Bologna

I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali a Parigi sono stati un poco lugubri: al secondo turno accanto a Emmanuel Macron è uscita Marine Le Pen, con sette milioni e mezzo di voti, più deldoppio di quanti ne avesse fatti suo padre nello scontro con Chirac nel 2002. Il risultato finale non è affatto sicuro.

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America Again. Intervista al filosofo americano: «Missili in Siria e Moab in Afghanistan, è l’America First. Il messaggio è che i brillanti risultati del Pentagono in 8 settimane superano quelli di Obama in 8 anni»

 

 

«Per la prima volta nella storia dell’umanita viviamo una situazione pericolosissima che rischia la stessa sopravvivenza della specie umana. Parlo della capacita mostruosa odierna di uccidere da parte degli Stati Uniti. Grazie al progetto iniziato anche con l’amministrazione Obama ed ora finito nelle mani di Trump, per l’ammodernamento tecnologico nucleare che ha raggiunto livelli radicalmente superiori all’arsenale nucleare russo quale deterrente. I margini si sono assottigliati al punto che non si può escludere una catastrofe nucleare».

 

 

È in questi termini drammatici che si apre l’intervista a Noam Chomsky concessa a il manifesto dopo l’attacco militare, unilaterale, in Siria con 59 missili Tomawak; il raid in Afghanistan con lo sganciamento della «madre di tutte le superbombe», la Daisy supercutter tecnologicamente perfezionata dal Pentagono che la impiegò già nel 1991 in Iraq; a seguito dell minaccia di ritorsioni militari per la tensione con la Corea del Nord; e mentre Trump annuncia la «revisione per verificare se Tehran si è attenuta ai contenuti», anche se «prudente, perché consapevole dei rischi» dell’accordo sul nucleare civile con l’Iran firmato da Obama.

Qual è la strategia e la motivazione dei nuovi attacchi militari in Siria e in Afghanistan?

Le aggressioni unilaterali da parte degli Stati Uniti in Siria e in Afghanistan sono state preparat a tavolino da questa nuova amministrazione incurante del crimine commesso che viola tutte le norme del diritto internazionale. Per uno show rivolto all’opinione pubblica in attesa della promessa «America First».

Con l’intento di perseguire indisturbati nel progetto selvaggio di smantellamento, passo dopo passo, dell’intera legislazione federale istituita 70 anni fa, per proteggere l’intera popolazione americana dalla logica dei profitti immediati e dalla massima concentrazione del potere. Di fatto la reazione immediata di Trump è stata quella di rassicurare l’opinione pubblica americana che un nuovo sceriffo è finalmente arrivato. Con questo messaggiio diretto: i brillanti risultati conseguiti dai nostri uomini del Pentagono, nelle ultime otto settimane sono superiori a quanto conseguito durante gli ultimi otto anni dalla presidenza Obama; siamo in grado di effettuare operazioni coraggiose. Insomma, ecco il nuovo sceriffo che dimostra di essere l’uomo forte che voi volete. E che ha dato mano libera a chi voleva intraprendere le cosiddette azioni coraggiose. Come quella di sganciare la superbomba in Afghanistan senza aver neppure idea quale territorio abbiamo distrutto, né di quanti civili abbiamo ucciso.

Paradossalmente qui negli Stati uniti l’applauso è stato univoco e totale anche da parte dei democratici, visto che in Siria il nuovo sceriffo Trump ha inviato un messaggio alla comunità internazionale per dimostrare che l’America è ancora una superpotenza che sa reagire con la nuova forza dell’ «America First».

L’attacco militare americano in Siria è stato interpretato in Europa ed in tutto il mondo occidentale come un messaggio contro Assad per avere impiegato armi di distruzioni di massa. Non dando però alcuna importanza ai dubbi, francamente credibili, di esperti di armi chimiche e dei russi che hanno chiesto subito una inchiesta internazionale indipendente degli organismi sulle armi chimiche delle Nazioni unite. L’obiettivo di Trump, Bannon e dei loro portavoce è quella di accentrare l’attenzione con costanti immagini televisive e twitter dei social media, dell’opinione pubblica su di loro e non sulle reali tematiche promesse pr l’America First. Passo dopo passo, dietro le quinte viene approvata una legislazione che toglie ogni speranza alla popolazione americana nel rivendicare i benefici di protezione sociale ed economica istituiti 70 anni fa. È questa l’organizzazione di potere piu pericolosa nella storia del mondo. Che , per continuare ad avere più profitti e sempre più potere, è capacere anche di usare l’arma nucleare. Sino alla distruzione dell’umanità.

Quali i rischi immediati prevede in questa situazione di strategia bellica che, per affermare la propria immagine promessa, va verso la catastrofe di una guerra nucleare?

L’ Atomic Bulletin of Scienctists nela marzo scorso ha pubblicato uno studio sul programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare messo in atto con l’amministrazione Obama ed in mano ora di Trump, dal quale risulta che il sistema dell’arsenale atomico statunitense ha raggiunto un livello da strategia atomica avanzata e radicale, tale da poter annientare la deterrenza dell’arsenale atomico russo. Questo non è all’oscuro di Mosca. Ma con l’intensificarsi della tensione diretta, specialmente nei paesi Baltici ai confini della Russia, determina il rischio di un confronto nucleare diretto con la Russia.

Che cosa dobbiamo aspettarci allora?

Questi dati devono farci capire i rischi per la sicurezza mondiale, dati i margini assottigliati e “al limite massimo” per una catastrofe nucleare provocata da “mutual destruction”. Perché si è messa in moto una situazione in base alla quale la Russia, con l’intensificarsi delle provocazioni degli Stati Uniti, possa decidere di sferrare un “preemptive strike” nucleare nella speranza di sopravvivere, dal momento in cui non ha più la capacità di un arsenale deterrente.

Ci troviamo in una situazione gravissima e pericolosa.Il rischio è dato dalle reazioni imprevedibili di Trump. Un Trump che, se non sarà in grado di mantenere le promesse di cambio fatte alla “working class” a cui si è riferito in campagna elettorale (e che sarà la prima vittima della sua presidenza), prima o poi seguirà un dilagare di accuse di terroristismo islamico verso gli immigrati per giustificare misure repressive eccezionali e nuovi bandi. Prefabbricando prove di un attacco all’America, tanto da giustificare il ricorso all’arma nucleare.

I missili in Siria e la superbomba in Afghanistan sono l’esemplificazione dell’America di Trump pronta a ritorsioni militari che superano ogni più perversa immaginazione. Un disegno politico che è prassi storica per questo paese sin dai tempi della Guerra Fredda.

 

 

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Il decreto. Il governo approva il provvedimento che recepisce i due quesiti referendari. La segretaria Camusso: «Un grande successo, ma va convertito in Parlamento». Il ministro Poletti: «Confronto con le parti sociali su un nuovo strumento per il lavoro occasionale»

Il governo ha abolito per decreto i voucher e ristabilito la responsabilità sociale negli appalti: il provvedimento, varato ieri dal consiglio dei ministri, ricalca i due quesiti del referendum indetto dalla Cgil. Ci sono tutte le condizioni, quindi, perché il 28 maggio non si voti più: ma ovviamente la consultazione resta in piedi fino a quando lo stesso decreto non verrà convertito dal Parlamento. Il premier Paolo Gentiloni ha spiegato che «sarebbe stato un errore dividere il Paese nei prossimi due mesi», mentre la segretaria Cgil Susanna Camusso, incassando quello che ha definito «un grande successo», ha comunque chiarito che «finché non sarà approvata una legge, la campagna di mobilitazione va avanti». Inclusa, tra le altre iniziative, la manifestazione nazionale dell’8 aprile a Piazza del Popolo.

«IL CONSIGLIO dei ministri – ha spiegato Gentiloni – ha approvato un decreto che abroga le norme sui voucher e sugli appalti, oggetto di referendum il prossimo 28 maggio. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che l’Italia non aveva certo bisogno nei prossimi mesi di una campagna elettorale su temi come questi e che questa decisione è coerente con l’orientamento maturato nelle ultime settimane in Parlamento». «Dividere nei prossimi mesi il Paese – ha proseguito il presidente del consiglio – sarebbe stato un grave errore per l’Italia. La nostra decisione azzera e in un certo senso apre una fase nuova».

IL GOVERNO STAREBBE già studiando uno strumento sostitutivo, o potremmo dire “compensativo” (se pensiamo alle proteste di parte della maggioranza, l’Ncd, e delle imprese): «Useremo le prossime settimane per rispondere a una esigenza che certamente l’eliminazione dei voucher non risolve – ha concluso Gentiloni – per una regolazione seria del lavoro saltuario e occasionale».

C’è chi parla di tradurre nel mercato italiano i mini-jobs tedeschi o i voucher alla francese, o chi pensa a un rafforzamento del lavoro a chiamata, rimuovendo le attuali limitazioni per fasce d’età. Sarà comunque essenziale non sovrapporre o confondere (come già si è fatto nelle ultime settimane) le esigenze delle famiglie con quelle delle imprese, e le tutele di cui dovrebbe essere dotato in ogni caso il prestatore.

LA CGIL HA UNA sua idea per la regolamentazione del lavoro accessorio o occasionale: è contenuta negli articoli 80 e 81 della Carta dei diritti universali del lavoro: si chiama «lavoro subordinato occasionale» e prevede – accanto alla inevitabile flessibilità dello strumento – comunque l’esistenza di un contratto e le tutele e i diritti base del lavoro dipendente. La platea dei prestatori è molto limitata (studenti, inoccupati e disoccupati, pensionati) come sono contingentate le attività di applicazione (lavoretti domestici saltuari o piccoli eventi organizzati da privati).

Il decreto varato ieri dispone lo stop immediato della vendita dei tagliandi, mentre quelli che sono stati già acquistati potranno essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, dal canto suo, ha negato che la decisione possa rappresentare un cambio di passo rispetto al Jobs Act: «Non c’è stata nessuna gara con la Cgil – ha spiegato – e non è previsto un cambio di passo nelle politiche del governo sul lavoro perché i voucher non erano materia del Jobs Act». Ma è abbastanza evidente che la scelta è da attribuire tutta al Pd, azionista di maggioranza dell’esecutivo, e in particolare all’ex premier Matteo Renzi: ha voluto evitare una seconda batosta da referendum dopo quella del 4 dicembre, ma in questo modo tenta anche di recuperare consensi nel grande popolo della Cgil e delle persone che lavorano.

IL MINISTRO POLETTI ha annunciato che «per la messa a punto di un nuovo strumento che risponda alle necessità del lavoro occasionale, verrà aperto al più presto il confronto con le parti sociali». Un punto di vista coincidente con quello della Uil, che con Carmelo Barbagallo chiede «un accordo con il governo, dopo che l’abolizione dei voucher, risolvendo un problema, ha creato uno scompenso». La Cisl, polemicamente, nota invece che il l’esecutivo ha preso «una decisione tutta politica e incomprensibile».

Hanno ribadito la loro contrarietà tutte le associazioni di impresa: Confindustria, Confcommercio, Confagricoltura, Coldiretti, Confapi.

NEL DECRETO è stato risolto, come detto, anche il nodo appalti: «Con riferimento alla disciplina in materia di appalti di opere e servizi- spiega la nota diffusa da Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri – il provvedimento mira a ripristinare integralmente la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per garantire una miglior tutela in favore dei lavoratori impiegati».

 

 

 

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Segnaliamo l'appello, molto critico sulla bozza di legge urbanistica regionale. promosso da 

Ilaria Agostini, Pier Giovanni Alleva, Rossanna Benevelli, Jadranka Bentini, Antonio Bonomi, Paola Bonora, Sergio Caserta, Piero Cavalcoli, Pierluigi Cervellati, Mauro Chiodarelli, Vezio De Lucia, Paolo Dignatici, Marina Foschi, Mariangiola Gallingani, Michele Gentilini, Giulia Gibertoni, Giovanni Losavio,Tomaso Montanari, Cristina Quintavalla, Ezio Righi, Giovanni Rinaldi, Piergiorgio Rocchi, Edoardo Salzano, Maurizio Sani, Sauro Turroni, Daniele Vannetiello

pubblicato sul manifesto Bologna, oltre che sul manifesto cartaceo, a seguito della giornata seminariale svolta a Bologna il 3 febbraio "Fino alla fine del suolo".

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La giunta dell’Emilia-Romagna il 27 febbraio ha deliberato il disegno di una nuova legge urbanistica regionale, proponendolo all’approvazione dell’Assemblea legislativa. Secondo l’assessore alla programmazione territoriale Raffaele Donini, che l’ha presentata, la nuova legge sarebbe fondamentale per affermare il principio del consumo di suolo a saldo zero, promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione degli edifici, semplificare il sistema di disciplina del territorio, garantire la legalità. Sono slogan che mascherano l’obiettivo essenziale del disegno di legge, ovvero l’impianto di un regime privilegiato a favore delle iniziative immobiliari private.

Proclamando risparmio di suolo e qualificazione urbana, la legge va in senso opposto. Il limite del tre per cento posto all’espansione dei territori urbani, già in sé molto elevato, è aggiuntivo, non alternativo all’ulteriore occupazione di suolo che i piani urbanistici ammettono. E l’«addensamento» indiscriminato, concepito e ribadito come unico modo della rigenerazione urbana, non promette qualità, ma ecomostri.

La realizzazione di nuovi insediamenti residenziali, produttivi, commerciali, e le operazioni di addensamento e rigenerazione urbana mediante la demolizione e ricostruzione di edifici o di interi isolati, sarebbero esenti da qualsiasi condizionamento e disciplina urbanistica cogenti, e interamente rimesse ad «accordi operativi» congegnati a esclusivo vantaggio della parte privata.

Ai comuni sarebbe tassativamente vietato disporre una disciplina urbanistica cogente per i nuovi insediamenti e per la «rigenerazione» di parti urbane. Esautorati dai poteri di pianificazione urbanistica e obbligati a raggiungere l’accordo con i privati entro scadenze brevi e perentorie, i comuni non avrebbero modo di impedire né selvagge intensificazioni in aree urbane già congestionate, né lo sparpagliamento di strutture commerciali, stabilimenti industriali, insediamenti residenziali attorno ai centri urbani. E per di più sarebbero defraudati di contributi oggi dovuti per questo genere di iniziative dai privati proprietari, che la proposta di legge intenderebbe invece esonerare, in tutto o in parte secondo i casi.

Le implicazioni per le centinaia di comuni di minore dimensione nella nostra regione, e per sistemi insediativi policentrici o diffusi, come nelle realtà montane, sono totalmente ignorate.

Sostanzialmente invariata resterebbe invece la condizione delle trasformazioni diffuse del patrimonio edilizio esistente. L’adeguamento di abitazioni, capannoni, uffici e negozi alle esigenze di famiglie e attività economiche resterebbe soggetto alle consuete e non sempre razionali limitazioni disposte dalla disciplina urbanistica ed edilizia, e ai consueti oneri.

L’autentico intento dalla proposta legge sta dunque nell’impianto di un doppio regime urbanistico, in cui le iniziative immobiliari poste in atto da imprese di costruzione e promotori godrebbero di privilegi e arbitrio inusitati, lasciando le esigenze di famiglie e attività economiche soggette ai vecchi dispositivi, del cui rinnovamento è in certa misura avvertita la necessità, ma non sono nemmeno intravisti i modi.

Con queste finalità il disegno di legge non esita a porsi in frontale contrasto con l’ordinamento nazionale, e violare con ciò la Costituzione. La diffusione di leggi analoghe in altre regioni andrebbe a soverchiare i fondamentali istituti di tutela e disciplina del territorio nel nostro paese, dalla periferia riuscendo in ciò che ripetuti tentativi parlamentari hanno fallito.

Non serve una nuova legge urbanistica regionale. La legge 20/2000, dall’origine mal compresa, peggio attuata e poi variamente pasticciata, ha certamente bisogno di una robusta rielaborazione, ma per fermare il dispendio di suolo e qualificare il territorio, in particolare quello urbano, servono buone politiche di cui i comuni siano attori principali, con rinnovati strumenti e nel quadro di solidi riferimenti nel piano territoriale regionale e nei piani di area vasta. La consegna del territorio agli interessi della speculazione fondiaria va in senso del tutto opposto.

 

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