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Mi preoccupa l'idea di affidare ai tecnici e al tecnicismo delle regole quella che è la scelta dei fondamenti politici e dei principi fondamentali

costituzione italiana - uno

La pubblicazione, curata da Giordana Pallone, raccoglie i contributi dei relatori presenti alla giornata di discussione promossa dalla Cgil nella sede nazionale di Corso d'Italia a Roma il 20 gennaio 2023, dal titolo "Tra autonomia differenziata e presidenzialismo, per un'altra idea di Repubblica fondata sul lavoro e la coesione sociale". Questa una parte dell'intervento del presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick.

Credo che per esaminare da tecnico i due grandi temi che avete proposto, presidenzialismo e autonomia, si debba partire da due questioni di fondo sulla Costituzione: il metodo, come agire per riformarla, come ragionarci sopra con il dialogo; e il merito, che cosa contiene e che cosa eventualmente vada aggiornato, modificato. Sono preoccupato che sia rispetto ai principi fondamentali fissati dalla Costituzione – quindi nel merito – sia nella prospettiva della riforma – cioè nel metodo – si battano strade molto nuove e molto poco approfondite. Parto dal presupposto che l’ipotesi di un’assemblea costituente non è

prevista dalla Costituzione.

So perfettamente che tecnicamente si può cercare di superare questo dato, ma l’appello diretto al popolo a 75 anni di distanza, per riscrivere in tutto o in parte la Costituzione – e quella che si propone è una parte molto rilevante – mi pare una proposta dettata più da ragioni politiche concrete: cercare di trovare una coesione nella maggioranza che evidentemente si teme non vi sia, alla luce di quello che vediamo nelle discussioni, anche attraverso un coinvolgimento un po’ finto dell’opposizione per poter dichiarare: «facciamo un’assemblea costituente e usciamo con una nuova Costituzione, con una nuova maggioranza». Non è il tempo in cui, nel 1946-48, si è riusciti a scrivere una Costituzione che era frutto di fame, sangue, guerra, lotta per la libertà, e che, come la maggior parte delle Costituzioni, nasce ed ha funzionato, sia pure con i suoi limiti, proprio per la sua origine.

Per noi era da un lato la Resistenza, cioè la lotta contro il tedesco purtroppo non invasore ma occupante, perché l’avevamo chiamato noi; il superare la sconfitta di una guerra in cui avevamo pensato di entrare per avere mille morti e sederci al tavolo della pace e invece ne abbiamo avuti molti di più e siamo rimasti in piedi, perché solo la dignità restava; dall’altro lato era il rifiuto del regime fascista voluto o accettato o subìto per un ventennio. Credo che prima di parlare di una nuova Costituzione si debba vedere quanto sia immodificabile il suo nucleo fondamentale di democrazia, di Repubblica; vedere se non è il caso di correggere ciò che c’è e non funziona, piuttosto che spazzarlo via. Mi preoccupa anche l’idea che sta prevalendo da un po’ di tempo: affidare ai tecnici e al tecnicismo delle regole quella che è la scelta dei fondamenti politici e dei principi fondamentali. Penso all’infelice esito della riforma costituzionale del 2000 sul Titolo V, che rispettava solo formalmente i criteri sostanziali di riforma previsti dall’articolo 138.

 

 

 

Le costituzioni sono certamente modificabili, ma vanno modificate rispettando una serie di criteri che presuppongono in primo luogo la coesione; e quest’ultima di solito si crea nei momenti di sofferenza. Dobbiamo riconoscere, senza estremismi dall’una o dall’altra parte, che non si tratta di cambiare in toto la Costituzione o di escludere a priori la necessità di adeguamenti. Si tratta di trovare un equilibrio per adeguamenti che sono inevitabili, necessari e positivi dopo 75 anni di vita di una costituzione, che bene o male, con tante limitazioni e con tanta non applicazione – perché la Costituzione in buona parte non è stata ancora attuata – ci ha tuttavia consentito in questi decenni di vivere e di sopravvivere, nonostante i problemi e le lacune. Penso però che affidarsi troppo ai tecnici sia pericoloso, perché i tecnici si occupano di contribuire alla formulazione di regole che devono applicare i principi; spesso e volentieri le regole possono essere calibrate – senza farlo capire troppo apertamente – in modo di svuotare i principi o di mascherarne l’elusione.